In 3 sorsi – Le elezioni indette in entrambi i Paesi hanno avuto epiloghi discordanti. Se da un lato si percepisce aria di cambiamento, dall’altro i rapporti fra Israele e Palestina rimangono complessi anche a causa della partecipazione di diversi attori nello scacchiere regionale e globale.
1. LA SVOLTA ELETTORALE
Il 23 marzo scorso, per la quarta volta in due anni, in Israele sono state indette nuove elezioni. Inizialmente nessuna coalizione sembrava aver raggiunto i 61 seggi necessari a formare una maggioranza e l’eventualità di ricorrere alle quinte elezioni per uscire dall’impasse appariva sempre più verosimile. Infatti, sebbene il Likud di Netanyahu si confermasse vincitore con 30 seggi, la coalizione era costituita solamente da 52 deputati.
Il 13 giugno, dopo le consultazioni, il Presidente Rivlin ha affidato a Naftali Bennett il compito di formare un nuovo Governo, seppur sostenuto da una maggioranza tutt’altro che omogenea (sette partiti con orientamenti e ideologie diversificate per la prima volta appoggiati dal partito arabo-israeliano).
Il voto ha così messo fine alla dodecennale carica del premier Netanyahu con 60 voti favorevoli, 59 contrari e un astenuto. Nasce un Governo a rotazione biennale tra l’attuale Primo Ministro Bennet e il ministro degli Esteri Lapid. Resta da domandarsi se una maggioranza così disomogenea rappresenterà un fronte unito a seguito di 12 anni di immutata leadership.
Fig. 1 – Il Presidente israeliano Reuven Rivlin (C) posa insieme al Primo Ministro israeliano Naftali Bennett (S) e al Ministro degli Esteri and Foreign Minister Yair Lapid (D)
2. ASPETTATIVE DISATTESE
In Palestina, a partire dal 22 maggio, si sarebbero dovuti tenere i tre turni elettorali che, dopo 15 anni, avrebbero riportato i cittadini alle urne. Dopo l’elezione del Consiglio Palestinese, annunciata per lo stesso giorno, erano state fissate le elezioni presidenziali il 31 luglio e quindi l’elezione degli organi interni della Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) il 31 agosto. Queste elezioni rappresentavano la speranza di un riavvicinamento tra i due maggiori partiti politici palestinesi Fatah e Hamas che, dopo la rottura avevano dato i primi segnali di rinnovato dialogo.
Il 29 aprile, però, le elezioni sarebbero state nuovamente rimandate. La ragione ufficiale è stata attribuita all’impossibilità, da parte dei palestinesi di Gerusalemme est, di esercitare il loro diritto di voto: Israele avrebbe impedito lo svolgimento delle normali procedure elettorali. Il Ministro degli esteri israeliano, al contrario, ha fatto sapere che nessun intervento avrebbe ostacolato il voto, in quanto si trattava di una ”questione meramente interna”.
Un’altra ipotesi sul rinvio suggerirebbe che la diminuzione del consenso verso Abbas e il timore di una sconfitta del suo partito avrebbe determinato il rinvio, unico modo per preservare la posizione strategica di Fatah nel contesto politico palestinese.
Fig. 2 – Dimostranti palestinesi
3. CAMBIAMENTI IN VISTA?
Lo scenario è storicamente complesso e in continuo fermento. Basti pensare agli avvenimenti dello scorso maggio che hanno interessato il quartiere di Sheikh Jarrah, sfociati nell’ennesima escalation di scontri.
Tuttavia, dopo 12 anni di Governo Netanyhau, un mutamento nelle relazioni israelo-palestinesi potrebbe forse dirsi auspicabile grazie all’insediamento di un nuovo esecutivo che vede la partecipazione di una minoranza arabo-israeliana. Inoltre ad agosto il Presidente palestinese e il ministro della Difesa israeliano si sono incontrati in Cisgiordania per la prima volta dopo 10 anni.
D’altro canto è noto che i rapporti fra i due Paesi siano spesso influenzati dalle relazioni politico-economiche con altri attori internazionali, in particola modo con gli Stati Uniti. A tal proposito si ricordi la visita del 27 agosto a Washington del premier Bennett, occasione in cui gli USA hanno rinnovato il sostegno americano a Tel Aviv, nonostante la disputa relativa al quartiere di Sheikh Jarrah e i conseguenti scontri dello scorso maggio avessero rischiato di complicare ulteriormente la trattativa sul nucleare con l’Iran. Infine, a inasprire ulteriormente i rapporti concorre il noto processo, in continua espansione, di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele che interessa sempre più Paesi arabi, considerati alla stregua di traditori dalla leadership palestinese.
Michol Romeo
Immagine di copertina: Photo by Nick115 is licensed under CC BY-NC-SA