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La brusca accelerazione della partita a scacchi in Ucraina

Analisi – Mosse e contromosse, annunci non rispettati, continue drammatizzazioni, aspirazioni incompatibili. E infine la guerra. Da settimane Stati Uniti e Russia sono al centro di una partita a scacchi per decidere il futuro posizionamento dell’Ucraina negli equilibri internazionali. Un Paese non troppo rilevante per Washington, ma disperatamente strategico per Mosca. 

PUTIN ORDINA L’ATTACCO

Alle 4 del mattino ore italiane del 24 febbraio è incominciato l’attacco della Federazione Russa all’Ucraina. Il Presidente russo, Vladimir Putin, ha annunciato l’inizio di “operazioni speciali“, dando di fatto il via libera alla guerra contro l’Ucraina. Al momento della stesura di questo articolo si registrano esplosioni in molte città, compresa la capitale Kiev, con bombardamenti mirati verso strutture militari, depositi di armi e munizioni, porti e aeroporti. Arrivano anche le prime immagini di morti tra i civili. L’invasione dell’Ucraina sembra avvenire su tre fronti. A Sud si segnalano avanzamenti di truppe russe in territorio ucraino dalla Crimea, mentre vengono riportati da diverse fonti sconfinamenti di mezzi militari di Mosca anche dalla Bielorussia, oltre che lo spostamento verso ovest della linea del fonte nel Donbass. Inevitabile anche il fuoco della propaganda. Kiev sostiene di aver inflitto pesanti danni all’esercito russo, compreso l’abbattimento di cinque elicotteri, parlando di diversi morti nelle fila di Mosca. Le stesse fonti del Governo ucraino riportano però anche di centinaia di vittime tra i civili e i militari ucraini.

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Fig. 1 – Primi danni a Kiev causati da un missile lanciato dalle forze russe, 24 febbraio 2022

LA PREPARAZIONE DEL CASUS BELLI

Negli ultimi cinque giorni la situazione sul campo ha subito una brusca accelerazione. Gli intensi scambi di artiglieria lo scorso fine settimana nella regione del Donbass tra esercito ucraino e ribelli filorussi con presunti morti e feriti tra la popolazione civile – e l’improbabile sconfinamento di “sabotatori” ucraini, secondo il linguaggio del Cremlino, in territorio russo – sono serviti a Putin come casus belli per riconoscere le già autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk. Nella serata di lunedì il Presidente russo aveva autorizzato l’esercito a svolgere funzioni di peacekeeping” nei territori controllati dai ribelli filorussi, autorizzando una missione militare dentro il territorio ucraino dopo un discorso alla nazione farcito di retorica imperiale. Mandando in soffitta gli accordi di Minsk, teorica base negoziale da cui partire, ma che non soddisfa nessuno dei contendenti. Putin ha quindi costruito una propria base giuridica per giustificare l’intervento armato contro l’Ucraina. Riconoscendo come autonome le sedicenti Repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk ha potuto legittimare – agli occhi della propria opinione pubblica, s’intende – la missione nella regione del Donbass, iniziata lunedì sera, a seguito dei presunti attacchi dell’esercito ucraino. Un intervento condotto senza particolari azioni violente dal momento che Mosca controlla indirettamente quella parte del Paese da otto anni, ma che ha dato il via a un’operazione su larga scala come quella che sta avvenendo in queste ore. 

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Fig. 2 – Il Presidente russo, Vladimir Putin, firma il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, 21 febbraio 2022

RUSSIA, STATI UNITI, UCRAINA: QUALI SONO GLI INTERESSI DEGLI ATTORI COINVOLTI

Per capire la crisi: individuare gli obiettivi degli attori coinvolti. E, di conseguenza, rifuggire la logica molto italiana e tutta ideologica del bene contro il male, del buono contro il cattivo. 
Da una parte la Russia, potenza revisionista per eccellenza, ma incapace di sfidare direttamente l’egemone americano per il primato mondiale. La finestra temporale che permette al Cremlino di tenere in questi giorni con il fiato sospeso le cancellerie europee è perfetta. Dopo la frettolosa ritirata dall’Afghanistan e la crescente attenzione al teatro dell’Indo-Pacifico, gli Stati Uniti vengono percepiti dalla Russia come deboli e distratti. Da qui il progressivo accumulo di truppe e di mezzi corazzati al confine con l’Ucraina. Un Paese che vuole entrare nella NATO, ma strategico per Mosca, che necessita di porre un diaframma tra sé e l’Alleanza Atlantica, facendo quindi dell’Ucraina una nazione quantomeno non ostile. La richiesta, perciò, è la neutralità di Kiev (possibilmente più vicina a Mosca che a Bruxelles), con conseguente garanzia scritta americana – che non avverrà mai – di un congelamento dell’ingresso ucraino nella NATO. Iniziativa ardita da parte russa, ma fondamentale per annullare la percezione di accerchiamento dell’Occidente che dal 1991 toglie il sonno agli strateghi del Cremlino. 
Dall’altro lato gli Stati Uniti, che vorrebbero ricalibrare il proprio baricentro concentrandosi sul contenimento della Cina, ma storicamente impegnati a mantenere saldo il fronte europeo. Da parte americana permettere alla Russia di riprendersi l’Ucraina – passata nell’orbita euroatlantica nel 2014 dopo la rivolta di Maidan – significherebbe creare un precedente molto grave che darebbe a Putin il via libera a estendere l’influenza russa anche in altri Paesi ex-sovietici. Inoltre, in caso di totale inazione, Washington farebbe passare il principio per il quale bastano 150mila soldati dislocati al confine di un Paese sovrano per ottenere il cambiamento dello status quo, in barba alle regole del diritto internazionale. 
In mezzo, l’Ucraina. Le cui legittime aspirazioni di integrazione nel campo occidentale anche in ambito militare contrastano con la realtà geografica in cui (non) si muove. La paura di finire nuovamente eterodiretta da Mosca spiega infatti l’impellenza di Kiev di aderire alla NATO, ma non tiene conto anche delle differenze etno-culturali che all’interno del Paese spingono in diverse direzioni e giustificano – agli occhi di Mosca – l’impegno del Cremlino per garantire il soccorso ai separatisti del Donbass. Una posizione davvero difficile, per non dire tragica, in particolar modo considerando il netto squilibrio delle forze tra Kiev e Mosca e l’indisponibilità americana a morire per Kiev.

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Fig. 3 – Movimenti di veicoli militari russi nella città di Armjansk, nel nord della Crimea, 24 febbraio 2022

PERCHÉ SI È ARRIVATI ALL’ESCALATION NELLA PARTITA A SCACCHI IN UCRAINA

Dietro le spaventose immagini di queste ore c’è quindi un enorme negoziato sull’allineamento internazionale dell’Ucraina che non si interromperà mai del tutto, nonostante gli ultimi sviluppi abbiano preso un’evidente piega militare. Attaccando Kiev, Putin ha compiuto una scelta azzardata, ma quasi inevitabile dopo gli sviluppi delle ultime settimane. La partita a scacchi giocata tra Biden e Putin in Ucraina è stata infatti condotta attraverso mosse e contromosse, giocate continuamente al rialzo. Aver ammassato quasi 200mila militari al confine con l’Ucraina è servito alla Russia come strumento di pressione per cercare di ottenere concessioni sul futuro strategico dell’Ucraina, o quantomeno la sua ridiscussione. Senza la pistola puntata, difficilmente il Cremlino avrebbe ottenuto il palcoscenico mediatico che si è ritagliato in queste settimane. Allo stesso tempo Biden ha risposto alla mossa di Putin con scaltrezza: facendo sapere al Cremlino di non voler inviare truppe in Ucraina e, quindi, di non essere pronto a morire per Kiev, annunciando un giorno sì e l’altro pure l’imminente invasione russa, compattando il fronte europeo terrorizzato dalla guerra alle porte dell’Europa e rendendo l’extrema ratio russa un’eventualità molto vicina. Come spiegato da Lorenzo Nannetti, però, si possono condurre solo un determinato numero di azioni di escalation prima di arrivare alla guerra vera e propria. 
Così, nelle scorse ore Putin si è trovato di fronte a due scelte. Scartata subito la prima (procedere con una de-escalation dopo aver ottenuto degli obiettivi soltanto simbolici), ha stabilito a sua volta che era il momento di drammatizzare lo scenario e procedere prima a una escalation controllata: riconoscendo le cosiddette Repubbliche separatiste di Luhanks e Donestk ed entrando in Ucraina nella regione filorussa del Donbass già da otto anni sfuggita al controllo di Kiev. Poi, iniziando un conflitto più ampio. Lo fa per due motivi: rendere credibile la minaccia rimasta solo potenziale per troppe settimane e puntare al bersaglio grosso. Forse il ritorno dell’Ucraina sotto la propria sfera di influenza. Invece di continuare a giocare a scacchi, ha scelto il tavolo di poker, decidendo di rilanciare piuttosto che passare. Sicuramente non scoraggiato dalla scelta americana di evacuare il personale diplomatico dell’ambasciata dal Paese, dislocato temporaneamente in Polonia. Adesso gli scenari sono molteplici, ma la prospettiva di una risoluzione della crisi in tempi brevi si fa sempre più lontana.

Vittorio Maccarrone

Immagine di copertina: “A Ukrainian soldier stands guard at a position in Slovyansk, Ukraine, Saturday, May 31, 2014.“, by Александр Лысенко, is licensed by CC BY

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Perchè è importante

  • Alle 4 del mattino ora italiana del 24 febbraio Putin ha ordinato l’inizio delle operazioni militari in Ucraina.
  • Mosca nei giorni scorsi aveva preparato accuratamente il casus belli, riconoscendo le Repubbliche separatiste del Donbass.
  • Russia, Stati Uniti e Ucraina: per capire la crisi vanno individuati gli interessi degli attori coinvolti.
  • Putin ha scelto l’escalation per due motivi: rendere credibile la minaccia rimasta solo potenziale per troppe settimane e puntare al bersaglio grosso.

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Vittorio Maccarrone
Vittorio Maccarrone

Catanese di nascita, ho conseguito la laurea specialistica all’Università di Pavia (città d’adozione) in World Politics and International Relations con tesi sulla guerra in Siria. Durante il periodo accademico colgo l’opportunità fornita dal progetto Erasmus per ben tre volte: Atene e Budapest sono le mete che scelgo per due tirocini in organizzazioni internazionali e non governative, mentre Gent mi accoglie per il periodo di studio all’estero. Seguo molto sia la politica interna che quella estera. Nelle dinamiche internazionali pongo particolare attenzione al martoriato Medio Oriente. Sono un accanito sostenitore del Calcio Catania, un fervente amante dello sport, appassionato di fotografia, aspirante giornalista e sì… bevo una modesta quantità di Caffè giornaliera!

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