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Al-Sisi e l’esercito: strategia win-win?

In 3 sorsiL’Esercito in Egitto oltre a gestire numerose infrastrutture, produrre beni di consumo di vario tipo – dal cibo ai prodotti chimici industriali, passando per gli elettrodomestici – gode oggi di un’autonomia ai massimi storici. Tale militarizzazione ha un’incidenza oltre che sull’agenda politica del Governo anche sulla vita quotidiana dei cittadini.

1. L’IMPERO ECONOMICO DELL’ESERCITO EGIZIANO

L’ondata di nazionalizzazioni che si diffuse in Egitto negli anni Cinquanta aveva l’obiettivo di dar vita a un Paese libero e indipendente economicamente. Il risultato, però, fu quello di innescare un processo che portò all’appropriazione militare dei beni produttivi della nuova Repubblica. Il socialismo-arabo di Nasser è infatti stato attuato da una rivoluzione (militare) che ha visto nascere una nuova élite – quella degli ufficiali, – che ha scientemente occupato ruoli di responsabilità nelle nuove aziende statali. È in questo contesto che nasce quindi la figura dell’imprenditore militare egiziano.
Oggi, secondo The Economist, il monopolio industriale detenuto dall’Esercito – rafforzato dalla salita al potere di al-Sisi – inaridisce la competizione e l’iniziativa privata, il che si traduce per il cittadino egiziano in una crescita più lenta, in prezzi maggiori e nell’incancrenirsi del mercato del lavoro. Infatti il giornale precisa che nessuna azienda ordinaria può competere con un organo che non paga tasse e che ha anche la libertà di mandare in galera chiunque possa pregiudicare il consolidamento di un tale potere economico.
Purtroppo esistono molti casi di industrie – anche longeve – che hanno dovuto chiudere a causa dell’intervento militare nel mercato: si pensi per esempio all’azienda statale al-Qumia, dopo 62 anni di attività, così come più recentemente alla chiusura della fabbrica di fertilizzanti Delta.
Le implicazioni di una tale prassi sono però molteplici, e toccano i lavoratori anche oltre la perdita del lavoro, i quali si vedono impossibilitati a protestare davanti alla chiusura della propria fonte di reddito in quanto facilmente tacciabili di terrorismo. Oppure, nel caso in cui si ritrovino a lavorare in un’azienda controllata dall’esercito, la perdita dei propri diritti sindacali.

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Fig. 1 – Le fonderie di metallo ad Alessandria d’Egitto resistono alla chiusura

2. LA POLITICA MILITARE DI AL-SISI

Dalla nascita della Repubblica nel 1952 il Cairo ha visto quattro Presidenti su cinque provenire dalle Forze Armate. Escludendo i periodi di transizione, solo Mohamed Morsi si distingue per l’ambiente di provenienza, oltre a essere stato il primo Presidente eletto in modo democratico.
Diverse ricostruzioni accademiche e giornalistiche hanno definito l’operato di al-Sisi in relazione ai rapporti tra politica ed Esercito come innovativo, seppur non in netta discontinuità con il passato. L’autonomia istituzionale dell’esercito è infatti cresciuta esponenzialmente nel periodo di presidenza di quest’ultimo.
Ad esempio, la Costituzione del 2019 afferma il dovere dei militari di intervenire nella protezione della Nazione senza prevedere alcuna consultazione o ratifica di altra autorità. Inoltre, è stato anche consacrato il principio per il quale il Ministro della Difesa, per essere designato, oltre a dover essere un ufficiale, deve essere approvato dalla Corte Suprema Militare.
Ci sono diversi fattori che spiegano la relativa popolarità di al-Sisi tra le file dell’esercito rispetto ai suoi predecessori, ma due possono essere particolarmente rilevanti. In primo luogo il prestigio di cui gode e le relazioni che ha intessuto, dovuti al fatto che proviene dall’intelligence militare, a differenza di Mubarak, che – invece – ha un più “umile” background nell’Aeronautica. Inoltre il fatto che, nonostante l’apparato militare goda di una maggiore autonomia, l’Esercito è stato utilizzato da al-Sisi in maniera originale ed estensiva – come il rafforzamento del suo ruolo nell’economia statale, – nonostante un controllo capillare che si sostanzia nella scelta personale e nella rotazione del corpo ufficiali, sfruttando conoscenze e legami familiari in posti chiave.

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Fig. 2 – Il Presidente al-Sisi festeggia il quarantatreesimo anniversario della vittoria militare su Israele, 2016

3. UN ‘BRACCIO DI FERRO’ PERICOLOSO

È sicuramente difficile definire con certezza quanto il Presidente egiziano benefici dal nuovo ruolo ricoperto dall’istituzione militare e quanto non sia più in suo controllo.
Ad ogni modo, sembra che il sostegno elettorale dell’Esercito ad al-Sisi sia dipeso dalla concessione di un tale livello di autonomia. Seguendo questa lettura, possiamo immaginare – portandola all’estremo – un Presidente con le spalle al muro più che uno statista che sappia perfettamente come gestire tale rapporto di forza.
Inoltre, appare imminente la necessità di promuovere una riforma strutturale tenendo in considerazione l’incidenza dell’esercito sull’economia nazionale. Prendersi la responsabilità di scegliere o meno di invertire la rotta sarà fondamentale oltre che per definire la militarizzazione del Paese, anche per la continuazione della vita politica dell’attuale Presidente in carica e le risposte che riuscirà a fornire a un’opinione pubblica insoddisfatta.
Per questo motivo la strategia di militarizzazione della politica e dell’economia statale sembra oggi mettere al-Sisi nella scomoda posizione di dover scegliere il male minore.

Bruno Bevilacqua

Immagine di copertina: “A Boy Confronts Egyptian Military Police South of Tahrir Square – A Potentially Tragic Disparity of Power and Equipment.” by alisdare1 is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • Nonostante l’esercito abbia da sempre rivestito – anche se in maniera altalenante – un ruolo fondamentale nella società egiziana non limitandosi alla mera sicurezza, dalla salita al potere di al-Sisi la sua autonomia è cresciuta raggiungendo forse il punto più alto della sua storia.
  • Le implicazioni di un tale potere militare sono molteplici e trasversali, svariando dall’aspetto socio-economico a quello politico e democratico.

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Bruno Bevilacqua
Bruno Bevilacqua

Classe 1998, laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna e all’Università di Parigi-Nanterre, ora sono iscritto al master in “Security and International Relations” all’Università di Genova.
Appassionato di scrittura in maniera universale, mi dedico all’analisi geopolitica specialmente per ciò che riguarda la Turchia e l’area ex ottomana, mondo che ho cominciato ad amare dopo la mia prima esperienza in Anatolia.
Amante del trekking e di un buon libro, ho evidenti difficoltà a restare fermo.

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