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Le inevitabili conseguenze di evitabilissimi errori

L'attacco alla Freedom Flotilla diretta a Gaza è stato condannato dalla quasi totalità delle diplomazie mondiali. Uno spargimento di sangue sicuramente evitabile che comporterà pesanti conseguenze a livello regionale, ma non solo.

LE REAZIONI – Non è stato esclusivamente il mondo arabo ed islamico a ribellarsi a quella che molti hanno definito una barbarie inconcepibile. I video andati in onda sulle televisioni satellitari, al-Jazeera in primis, e le cruente immagini diffuse da svariate agenzie di stampa internazionali hanno mobilitato non solo le coscienze dei palestinesi, ma anche di molta parte delle società europee. Importanti manifestazioni di protesta si sono tenute a Roma, Parigi ed Atene. In queste ultime due città i manifestanti sono anche giunti a scontri abbastanza duri con la polizia dimostrando un astio nei confronti di Israele che sembrava ormai sopito da tempo. Epicentro di tutte le contestazioni è stata comunque la città di Istanbul dove migliaia di turchi si sono raccolti in piazza Taksim chiedendo l'espulsione dell'ambasciatore israeliano e la revisione delle relazioni, fino ad oggi molto forti, con Tel Aviv. Come opportunamente sottolineato in più di un occasione da Stefano Torelli, quello che era un felice matrimonio rischia oggi di divenire un divorzio a tutti gli effetti.

HAMAS VERSO LA LOTTA "GLOBALIZZATA"? – Se il primo "successo" dell'operazione militare israeliana era stato quello di bloccare "ad ogni costo e con qualsiasi mezzo" la Freedom Flotilla, il secondo è certamente stato quello di riaccendere un sentimento anti-israeliano che non si era così evidentemente manifestato nemmeno in occasione della pur drammatica operazione Cast Lead nel 2009. Bandiere di Hamas ed Hezbollah hanno sventolato indisturbate durante le ultime manifestazioni di protesta per le strade di Gaza, ma anche di Istanbul e più sorprendentemente di Atene. Questo a dimostrazione che l'appello di ieri lanciato dal movimento di resistenza islamico di Hamas è stato raccolto. A poche ore dall'assalto alla nave madre Mavi Marmara, i leader di Hamas avevano chiamato ad un Intifada globale contro le sedi di rappresentanza israeliane all'estero. E' la prima volta che il movimento palestinese chiama alla lotta contro Israele al di fuori dei confini palestinesi. Ecco che si materializza il terzo "successo" delle operazioni di lunedì 31 maggio: la globalizzazione di operazioni di resistenza palestinesi finora sempre limitate all'ambito nazionale. Non solo. Da alcuni giorni la polizia israeliana è in stato di massima allerta al fine di contenere il probabile scoppio di violenze nella West Bank. Nella Striscia di Gaza sono in corso scontri fra forze militari israeliane ed alcuni miliziani palestinesi i quali hanno invano tentato di entrare in Israele per compiere, con tutta probabilità, un'azione di vendetta. Le recenti cronache parlano di 4 morti fra le fila di Hamas.

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LA TATTICA ISRAELIANA – Isolamento internazionale, con la particolare rottura dei rapporti con la Turchia, probabile ripresa della violenza nei territori occupati ed ultimo, ma non certo in ordine di importanza, legittimazione nemmeno troppo indiretta delle politiche di resistenza di Hamas. Tali conseguenze sarebbero state probabilmente evitabili qualora si fosse deciso di affrontare diversamente la questione delle navi appartenenti alla Freedom Flotilla. L'esempio della "Rachel Corrie" (nella foto sopra) ne sembra evidente dimostrazione. Sembra inoltre difficile credere ad una trappola tesa da alcuni pacifisti in cui il migliore esercito del mondo, quello israeliano appunto, sarebbe ingenuamente caduto. Se così fosse gli israeliani avrebbero di che preoccuparsi. Ma c'è di più. Appare infatti anche più difficile credere ad un errore quando le autopsie ufficiali rilasciate dal Turkish Council of Forensic Medicine, dimostrano la presenza di ripetuti colpi d'arma da fuoco a distanza ravvicinata (meno di 45cm) e quando i corpi degli attivisti turchi preseentano, in quasi tutti i casi, più di un foro di proiettile. Sorge allora spontaneo il dubbio che non vi sia stata alcuna volontà di affrontare diversamente la faccenda. Ed il perchè è presto spiegato. Capovolgendo infatti i termini del ragionamento quest'ultimo trova una sua precisa logica.

OBIETTIVO RAGGIUNTO – Le dure condanne internazionali hanno permesso di spostare il focus dell'attenzione altrove. Dalla possibile apertura di un tavolo di dialogo con l'ANP di Abu Mazen, o addirittura con la Siria di Assad per le Alture del Golan, alla dura ed inequivocabile condanna da parte di quasi tutte le diplomazie occidentali. Tranne una. La Casa Bianca si è prudentemente tenuta al di fuori del coro di accuse lanciate dai paesi europei e dalla Russia, in attesa di "conoscere meglio i fatti". Le decisioni e le condanne dell'ONU inoltre non hanno mai portato, e non lo faranno certo in questo caso, a conseguenze pratiche e finchè Israele avrà al suo fianco Washington può ben permettersi di inimicarsi Londra, Parigi e Mosca. Le probabili violente reazioni dei palestinesi forniranno ulteriori pretesti per conservare pressochè intatto l'embargo su Gaza. Considerando che l'obiettivo primario di Israele è conservare l'attuale status quo attraverso il congelamento di qualsiasi trattativa (anche e soprattutto per quanto riguarda gli insediamenti nella West Bank e le Alture del Golan), la manovra sembra perfettamente riuscita. In ultimo grazie all'attacco della nave principale battente bandiera turca, Tel Aviv ha lanciato un messaggio di fondamentale importanza ad Ankara. La Turchia è da alcuni mesi impegnata nelle trattative di riconciliazione nazionale inter-palestinese fra Hamas e Fatah e non si deve dimenticare che il 17 maggio Turchia, Iran e Brasile avevano firmato siglato una collaborazione su un progetto di scambio di combustibile nucleare. Occhio per occhio, dente per dente.

Marco Di Donato

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