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India vs. Cina, confronto ad alta quota (II)

Il tetto del mondo e i suoi territori contigui sono sempre stati oggetto di contenziosi, ben prima della nascita di India e Repubblica Popolare Cinese come le conosciamo adesso, sin da quando l’India era ancora il diamante della corona imperiale britannica. Oggi, a causa anche del fatto che India e Cina sono i due Stati in assoluto più popolosi al mondo e tra le economie col tasso di crescita più alto, questi dissidi assumono una dimensione diversa.

 

 

LA BATTAGLIA PER IL TETTO DEL MONDO – Nell’aprile scorso le tensioni al confine himalayano tra Cina e India si sono acutizzate di nuovo. L’India ha infatti accusato la RPC di aver sconfinato, varcando la LAC (Line of Actual Control), confine de facto dell’amministrazione indiana nella zona contesa, allestendo un campo militare. Per tutta risposta, Nuova Delhi ne ha a sua volta stabilito uno a 300 metri di distanza da quello cinese. La situazione è poi rientrata grazie al lavoro di entrambe le cancellerie, ma questo episodio può far capire come i rapporti di confine tra le due potenze siano volatili. La “battaglia” per questi territori, inoltre, viste le loro caratteristiche morfologiche (il solo Aksai Chin ha un’altezza media di quasi 5.000 metri), non è combattuta solo via terra, ma anche via aria. L’India, difatti, oppone alla Cina diverse basi situate in punti strategici, come quelle di Chabua e Tezpur, poste proprio nel cuore dell’Arunachal Pradesh, mentre la Repubblica Popolare ha appena ultimato la costruzione di una base a 3.500 metri d’altezza a Gonkar, in Tibet, con un raggio d’azione che si spinge su tutto il nord del Subcontinente.

 

 

Un confine geopoliticamente molto “caldo”

VECCHIE TENSIONI MAI SOPITE – L’origine di questo contenzioso è piuttosto antica, e può essere fatta risalire ai tentativi inglesi, attraverso i vari studi di Johnson e McMahon, di delimitare rispettivamente le regioni di Kashmir e sud Xinjiang a est, e l’area compresa tra Bhutan, Cina e India a ovest. Il problema è che sia la linea Johnson sia quella McMahon erano controverse persino 150 anni fa, al tempo della loro formulazione. Da allora, la situazione si è evoluta, soprattutto dopo l’indipendenza dell’India, in un gioco di rilanci e controrilanci, tra scaramucce di confine e conflitti locali, che vedono ora il Kashmir sostanzialmente diviso tra India e Pakistan, con la separazione della cruciale zona dell’Askai Chin, in mano alla Cina, mentre l’Arunachal Pradesh a ovest, benché reclamato da Pechino, è sotto amministrazione Indiana.

 

 

L’IMPORTANZA STRATEGICA – Le zone in questione sono molto sensibili sotto diversi punti di vista: l’Arunachal Pradesh è una regione fondamentale per l’India dal momento che, oltre a rappresentare la porta di ingresso a est al proprio Paese, col suo milione e mezzo di abitanti, è anche un’area etnicamente delicata, già teatro di diverse sollevazioni nel passato. Tutto ciò è inoltre reso più complicato dal fatto che essa è collegata al resto del territorio nazionale solo da una sottile striscia di terra. Questa regione è anche inserita in un triangolo strategico fondamentale, confinando con Cina, Bangladesh e Myanmar, tutte aree molto sensibili, e componenti molto importanti della strategia regionale cinese. L’Aksai Chin, invece, è un territorio poco popoloso e desolato, ma di fondamentale importanza strategica: non solo è incuneato nel Kashmir, una delle zone più calde del globo, ma è anche un fondamentale corridoio di collegamento tra due delle regioni cinesi a più alta tensione interna, cioè il Tibet e lo Xinjiang. Basti pensare che attraverso le sue alture passa la più importante arteria di collegamento tra queste due Province cinesi, contribuendo cosí a renderlo uno snodo nevralgico irrinunciabile per Pechino.

 

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Pechino e New Delhi: amici… oppure no?

OBIETTIVI CONTRASTANTI? – Uno dei principalicore interestsdi Nuova Delhi è non solo contenere la presenza cinese nelle zone montagnose al nord, ma allo stesso modo limitare anche via terra la strategia espansiva cinese che può passare dal mare, attraverso il cosiddetto “Filo di perle”, ovvero una serie di porti e installazioni di importanza strategica ed economica disseminati per l’Oceano Indiano, evitando che questo si trasformi in una collana, proprio attorno al collo dell’India. La Cina, dal canto suo, vuole invece rafforzare la propria presenza nel Sud-Est Asiatico e mettere in sicurezza il proprio fianco a sud-ovest, dove le tensioni etniche sono all’ordine del giorno. Tenendo comunque conto di questa situazione, e non escludendo un riacutizzarsi, quasi inevitabile, delle tensioni locali, non bisogna però dimenticarsi del quadro più generale: la Repubblica Popolare Cinese e l’India hanno economie profondamente interdipendenti tra loro e condividono svariati progetti nell’area, senza tralasciare inoltre che Pechino non ha alcun interesse a inimicarsi eccessivamente Nuova Delhi, correndo il rischio di spingerla nelle braccia degli Stati Uniti. Non sembra dunque nell’interesse di nessuna delle due potenze lasciare che tali questioni, benché spinose, influiscano negativamente sullo sviluppo reciproco dei rispettivi Paesi.

 

(La prima parte dell’articolo è raggiungibile cliccando qui).

 

Marco Lucchin

 

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Marco Lucchin

Ho 27 anni, sono originario del Varesotto ed appassionato di diplomazia e geopolitica. Laureato in Scienze Politiche in Cattolica con una tesi sul ruolo geopolitico di Taiwan, ho lavorato alla sede regionale del WHO a Copenhagen e ora mi occupo di sviluppo di start up digitali e geopolitica.

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