In 3 sorsi – L’ultimo atto nel confronto tra il Presidente Martín Vizcarra e il Congresso dominato dall’opposizione getta il paese in un limbo dai risvolti incerti.
1. Lo scioglimento del Congresso
Lo scorso 30 settembre, il Presidente peruviano Martín Vizcarra ha sciolto il Congresso del Paese e ha indetto elezioni parlamentari anticipate per il prossimo 26 gennaio, giustificando la legalità della decisione sulla base degli articoli 133 e 134 della Costituzione peruviana. Verso la fine dello stesso mese, Vizcarra aveva avanzato la proposta di modificare il meccanismo di nomina dei giudici del Tribunale Costituzionale, con l’obiettivo di renderlo più trasparente, e di contrastare la corruzione che piaga il Paese da svariati decenni.La decisione del presidente peruviano è stata dichiarata “anti-costituzionale” da molti esponenti della corrente fujimorista nel Congresso, organo dominato per quasi due terzi dall’opposizione con il partito Fuerza Popular (FP) capeggiato da Keiko Fujimori, figlia ed erede politica dell’ex presidente (e, tra il 1992 e il 2000, dittatore) del Perù Alberto Fujimori. In risposta allo scioglimento del Congresso, l’ala fujimorista ha votato per la sospensione del presidente dal suo incarico per “incapacità morale”, nominando la vice-presidente Mercedes Aráoz (Peruanos por El Kambio, PPK) come presidente ad interim del Paese. All’indomani dello scioglimento del Congresso, la vice-presidente Aráoz ha rinunciato alla carica, un “gesto democratico” secondo quanto dichiarato dal Primo Ministro peruviano Vicente Zeballos, ma che di fatto complica ulteriormente la crisi politica in Perù.
Fig. 1 – Il Presidente Martín Vizcarra al Congresso
2. Un problema complesso
L’attuale impasse costituisce l’ultimo atto di una diatriba iniziata ormai tre anni fa, quando il leader del PPK Pedro Pablo Kuczynski riuscì a strappare, per una manciata di voti, la vittoria nelle presidenziali al FP di Keiko Fujimori, che si assicurò tuttavia una netta maggioranza di seggi al Congresso. Parte della campagna elettorale di Kuczynski si basava sulla promessa di garantire trasparenza nelle istituzioni, ma a distanza di diciotto mesi dalla sua elezione il presidente fu costretto a dimettersi. Kuczynski, infatti, fu inchiodato dalla diffusione di un video che ne provava il coinvolgimento in uno scambio di voti, necessari per bloccare un processo di impeachment ai suoi danni avviato nel contesto delle indagini sul maxi-scandalo Odebrecht, ad oggi una delle piú grandi inchieste per corruzione a livello internazionale. Vizcarra, vice-presidente subentrato a Kuzcynski, dichiarò il suo obiettivo di debellare la corruzione che negli ultimi 28 anni ha assunto carattere strutturale nella politica del Paese. Tuttavia, la maggioranza fujimorista nel Congresso, minacciata dalla portata potenzialmente distruttiva di ulteriori indagini, cercò di bloccare sistematicamente ogni riforma in merito avanzata dall’avversario politico, contribuendo così ad inasprire i rapporti tra le branche del potere. Oggi, il Paese è spaccato, a più livelli: da un lato, il pantano politico provocato dal mutuo rifiuto di riconoscimento di legittimità tra i poteri; dall’altro, l’opinione pubblica divisa tra una maggioranza fortemente critica verso l’integrità morale e professionale del Congresso –schierata quindi dalla parte di Vizcarra – e una minoranza che rintraccia nella decisione unilaterale del presidente un eco del “Fujigolpe”del 1992, quando l’allora presidente Alberto Fujimori sciolse il Congresso, sospese la Costituzione, e sancì di fatto l’inizio della dittatura sul Paese.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Keiko Fujimori, la leader del partito Fuerza Popular.
3. Quale destino per il Perù?
Secondo l’articolo 115 della Costituzione peruviana, in mancanza di un presidente o di un vice-presidente, le funzioni del presidente dovrebbero essere trasferite al Presidente del Congresso. Tuttavia, l’attuale presidente Pedro Olaechea, affiliato al partito ultraconservatore Acción Republicana, ha a sua volta rifiutato la carica. A questo punto, il compito di dirimere la controversia tra i due poteri sembrerebbe spettare al Tribunale Costituzionale, il quale dovrebbe esprimere un giudizio di costituzionalità sia in merito alla decisione di Vizcarra, sia riguardo la sua sospensione dall’incarico decretata del Congresso. Considerando che la paralisi politica è stata inasprita proprio dalla proposta di rinnovare in modo radicale il processo di elezione dei membri – e per estensione, la composizione – del Tribunale Costituzionale, l’ala fujimorista nel Congresso potrebbe spuntarla e capitalizzare il successo per assicurarsi la vittoria alle prossime parlamentari, forte anche della recentissima scarcerazione della leader Keiko Fujimori, in detenzione preventiva dall’ottobre del 2018 dietro l’accusa di riciclaggio di beni nell’ambito dell’onnipresente scandalo Odebrecht.
Tuttavia, nonostante l’esiguo supporto politico di cui Vizcarra gode al Congresso, il presidente peruviano gode del supporto delle forze armate del paese, le quali hanno espresso l’appoggio all’esecutivo e la volontà di preservare l’ordine costituzionale. In un passato non troppo lontano i paesi dell’America Latina hanno conosciuto a fondo le conseguenze derivanti dalla politicizzazione delle forze armate, una tendenza che a distanza di quasi trent’anni minaccia di riemergere, aprendo potenzialmente un nuovo fronte di possibilità nell’evoluzione di una crisi sempre più intricata.
Marco Tumiatti