In 3 Sorsi – Dopo nove mesi di proteste e nonostante l’opposizione a nuove elezioni da parte dei manifestanti, il popolo algerino è stato chiamato a scegliere il successore di Bouteflika. Riuscirà Abdelmadjid Tebboune a placare l’hirak?
1. UNA PROTESTA LUNGA NOVE MESI
Iniziate a fine febbraio dopo l’annuncio della quinta ricandidatura a Presidente di Abdelaziz Bouteflika, le proteste in Algeria non si sono ancora esaurite dopo nove mesi di muro contro muro fra i manifestanti e quel pouvoir che chi è sceso in strada sta cercando di scardinare.
Se le dimissioni di Bouteflika ad aprile, il rinvio delle elezioni inizialmente in programma il 4 luglio e una campagna di arresti “di facciata” contro esponenti dell’ancien régime possono annoverarsi fra le vittorie dell’hirak (il “movimento” di protesta), anche il sistema algerino ha fatto registrare alcuni successi. In primo luogo, la resilienza dei moti si è scontrata con una struttura di potere consolidata, che da luglio ha impiegato anche le maniere forti per placare le manifestazioni. Non è dunque un caso che la mancata transizione abbia causato una certa frustrazione tra i manifestanti, come analizzato dal Washington Post. In secondo luogo, nuove elezioni sono state messe in calendario per il 12 dicembre, suscitando una forte opposizione della piazza, alla quale però l’esercito ha risposto con la forza, e del SNM, il Sindacato Nazionale dei Magistrati.
Fig. 1 – Un seggio elettorale ad Algeri
2. CHI SONO I CANDIDATI
Per le elezioni di dicembre i candidati erano inizialmente 23. Le valutazioni dell’Autorità nazionale indipendente delle elezioni (ANIE) del 2 novembre e del Consiglio costituzionale algerino del 9 novembre hanno però ridotto la lista a cinque candidati.
Innanzitutto vi è Ali Benflis, candidato per Avant-garde des Libertés, già Primo Ministro dal 2000 al 2003 e principale sfidante di Bouteflika alle presidenziali del 2004 e del 2014: un fatto che lo ha spinto più volte a presentarsi come l’unica proposta invisa all’ex Presidente.
Abdelmadjid Tebboune, Ministro delle Comunicazioni dal 1999 al 2000, Ministro dell’Edilizia abitativa nel biennio successivo e premier per tre mesi nella primavera del 2017, è invece il solo candidato indipendente arrivato a questo punto. Nonostante ciò può godere del supporto di alcune importanti figure, come il businessman Omar ‘Alilat e Soliman Karouch, ex leader delle organizzazioni sindacali algerine, e può vantare una certa connessione con l’esercito.
Il terzo candidato è Azzedine Mihoubi, leader del Democratic National Rally, formazione politica fondata nel 1997 e da sempre parte del network di patronaggio di Bouteflika.
Fra i candidati vi è anche l’ex Ministro del Turismo e islamista moderato vicino ai Fratelli musulmani Abdelkader Bengrina, volto di Al Binaa.
Infine, Abdelaziz Belaïd, leader di Mustakbal Front (Fronte del Futuro), il cui programma è incentrato più sulle riforme economiche – taglio agli sprechi e alla corruzione sono i suoi cavalli di battaglia – che sulla revisione costituzionale del sistema politico.
Sebbene concorrenti, i cinque candidati hanno alcuni tratti in comune: provengono da aree rurali; hanno ricoperto ruoli, più o meno importanti, nei precedenti Governi; sono parte, o fortemente legati, al sistema politico algerino. Va infine notato come per la prima volta dalla fine della guerra civile non ci sia alcuna candidata donna: un dettaglio particolare, se si considera che l’Algeria è stato il primo Paese arabo a veder concorrere una donna, Louisa Hanoune nel 2004, per la più alta carica dello Stato.
Fig. 2 – Il neopresidente eletto Abdelmadjid Tebboune
3. I RISULTATI
Nonostante l’elevato astensionismo (circa il 40%), le elezioni hanno incoronato Abdelmadjid Tebboune con il 58% di consensi, anche grazie alla mano tesa ai manifestanti, alle promesse circa una revisione della Costituzione e allo smarcamento del futuro Presidente da alcune figure dell’establishment. Secondo, ma molto distante, si è posizionato Abdelkader Bengrina con il 17%. Ali Benflis è arrivato terzo con l’11%, seguito da Azzedine Mihoubi e Abdelaziz Belaid, entrambi con circa il 6% dei voti.
Se è vero che è presto per valutare l’esito di questa tornata elettorale, si possono fare alcune considerazioni sulle difficoltà di una risoluzione della crisi algerina. Innanzitutto, l’hirak ha mostrato alcuni limiti, sia nella mancanza di strutturazione e leadership consolidata sia nell’eterogeneità del movimento, che vede fianco a fianco sostenitori di una transizione verso una democrazia liberale filo-occidentale ed esponenti di gruppi islamisti. Bisogna infine considerare l’esercito, pilastro dello Stato guidato saldamente da Ahmed Gaid Salah, che per ora ha assunto un atteggiamento “equilibrista”, non soffocando l’hirak e non rimuovendo il pouvoir, ma il cui eventuale riposizionamento potrebbe decidere le sorti del Paese.
Francesco Teruggi