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La politica di diversificazione energetica dell’Arabia Saudita

In 3 sorsi – L’Arabia Saudita è consapevole del fatto che il proprio territorio non offre soltanto petrolio, ma anche risposte agli attuali problemi energetici per diversificare le fonti e procedere verso il trend globale di riduzione della dipendenza dal greggio.

1. LA SITUAZIONE ENERGETICA ATTUALE

L’Arabia Saudita è uno dei più grandi esportatori di petrolio: il settore petrolifero rappresenta quasi il 90% delle entrate del bilancio saudita, il 90% dell’export e il 42% del PIL. Il 10% della produzione mondiale di petrolio infatti arriva dal Regno saudita. Ma Riyadh è anche il sesto consumatore al mondo di greggio, con circa 3 milioni e mezzo di barili utilizzati al giorno. La popolazione è in continuo aumento, con un tasso annuo dell’1,6%, e con un’aspettativa per una qualità della vita sempre più alta (i sauditi, a ragion veduta, fanno un grande utilizzo di condizionatori d’aria, la cui produzione di elettricità deriva dal greggio). Si sviluppa così un aumento della domanda di energia interna, che sarà di significativo interesse sulle future esportazioni di energia. Per evitare che l’efficienza energetica sia condizionata da questi fattori, Riyadh deve avviare una serie di riforme per diversificare il proprio portfolio energetico, anche e soprattutto per evitare il crollo dell’export di greggio, che potrebbe tramutare l’Arabia Saudita in un importatore netto di petrolio entro il 2030. Già con la crisi del 2014-2015 le riserve di petrolio ebbero un crollo in soli dodici mesi, diminuendo da 732 miliardi a 623, causando anche minori ricavi nelle esportazioni di greggio. Petrolio che, come abbiamo visto nelle ultime settimane, deve affrontare anche una crisi dei prezzi, dovuta sia all’attuale pandemia da coronavirus in corso, sia alle conseguenze del recente scontro tra la Russia e il gruppo OPEC.

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Fig. 1 – Il Principe ereditario Mohammed bin Salman durante una cerimonia a Riyadh, ottobre 2019

2.PUÒ LA “VISION 2030” ESSERE UNA POSSIBILE SOLUZIONE?

Una verosimile soluzione a queste problematiche è la Vision 2030 annunciata dal Principe ereditario Mohammad bin Salman il 25 aprile 2016, con quale l’Arabia Saudita vuole ridurre la dipendenza dal petrolio, diversificare l’economia, sviluppare settori come infrastrutture e turismo incrementando gli scambi commerciali non legati al petrolio, e aumentare i posti di lavoro per una popolazione in crescita, per il 65% sotto i 30 anni. Infine, nei piani correlati alla vision c’è la creazione di un fondo d’investimento sovrano, che scaturirà dallo spin out di alcuni asset della Saudi Aramco, la multinazionale saudita del petrolio e del gas fra le maggiori aziende al mondo per fatturato, unico modo di raccogliere ricavi per finanziare l’idea di MbS. Il concetto è di rendere Riyadh sempre meno subordinata al greggio, continuando quella transizione energetica che il mondo ha già avviato e che porterà gli Stati ad avere sempre meno bisogno degli idrocarburi. Tra i punti forti della Vision 2030 l’energia rinnovabile e il turismo hi-tech, con la realizzazione di Neom, la mega-città sul Mar Rosso, il cui costo si aggira intorno ai 500 miliardi di dollari. Il progetto, così come i previsti investimenti per la vision, hanno subìto una battuta d’arresto (allo stesso modo della credibilità di MbS) in seguito ad alcuni “scivoloni” internazionali, quali il caso Khashoggi, gli arresti e i rimpasti governativi nella retata anticorruzione del 2017, nonché la minor sicurezza delle infrastrutture critiche dovuta allo scontro con i ribelli Houthi dello Yemen.

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Fig. 2- Uno degli stabilimenti petroliferi della Saudi Aramco che nell’ottobre 2019 subì un attacco da parte del movimento yemenita Houthi (noto anche come Ansar Allah).

3. FUTURI SCENARI DI DIVERSIFICAZIONE

Ridurre la domanda di petrolio, usata anche e soprattutto per generare elettricità, è possibile, anche per un Paese come l’Arabia Saudita. Come? Diversificando. Passando dall’attuale 8% della produzione di elettricità a un 15% entro il 2030, attingendo a una risorsa come l’energia solare, onnipresente nel Regno. In questo campo nel 2019 Riyadh sviluppò lo Al Faisaliah Solar Project, per sfruttare l’energia solare della provincia della Mecca, con un impianto fotovoltaico da 2,6 gigawatt di capacità. I sauditi, unici nel Golfo assieme agli emiratini, stanno anche sviluppando programmi nel campo dell’energia nucleare. Infatti l’Arabia ha previsto la costruzione di due reattori che potrebbero far raggiungere al Paese la capacità produttiva di 17 gigawatt, in pratica il 15% del fabbisogno energetico saudita, entro il 2032. In questo modo, nell’ambito del National Renewable Energy Program (NREP), il Regno punta a diversificare il mix energetico locale previsto dalla Vision 2030. Senza questi processi di diversificazione economica ed energetica, Paesi come l’Arabia Saudita si ritroverebbero ad affrontare sconvolgimenti macroeconomici e quindi periodi di instabilità politica e sociale. Rischi non da poco, considerando che l’ultima crisi in tal senso è stata una delle cause delle Primavere arabe.

Alessandro Manda

Immagine di copertina: Photo by MichaelGaida is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • Uno dei più grandi esportatori di petrolio al mondo analizza le problematiche relative al suo efficientamento energetico.
  • La proposta del principe ereditario Mohammad bin Salman per ridurre la dipendenza saudita dal greggio è contenuta nella Vision 2030.
  • L’energia solare e nucleare sono solo due dei possibili modi di diversificare il portfolio energetico di Riyadh.

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Alessandro Manda
Alessandro Manda

Nato a Napoli, classe ’87, cresciuto a Civitavecchia. Laureato in Giurisprudenza e da sempre appassionato di storia, geopolitica e affari internazionali. Alla continua ricerca di metodologie per mettere alla prova le mie conoscenze, ho frequentato Corsi di Perfezionamento presso l’Istituto Affari Internazionali – IAI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – ISPI e seguito corsi in e-learning presso la School of Oriental and African Studies – SOAS di Londra e il Middle East Institute di Washington.

 

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