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L’Unione Europea ai tempi della pandemia: tra crisi individuali e debiti comuni (II parte)

Analisi – Nelle lunghe trattative sul Recovery Fund, i vari Paesi europei hanno disegnato nuove alleanze mossi da considerazioni non solo economiche, ma anche politiche.

Come analizzato nell’articolo precedente, tra gli strumenti messi in campo a livello europeo per contrastare la crisi economica prodotta dalla pandemia di Covid-19, la proposta della Commissione di introdurre il Recovery Fund ha attirato consensi, ma anche forti opposizioni interne, ed è stata oggetto di un faticoso e contrastato negoziato tra le cancellerie europee.

LA PARTITA A SCACCHI DEL RECOVERY FUND

La partita del Recovery Fund è strettamente intersecata al negoziato sul bilancio pluriennale dell’Unione Europea 2021-2027. Il Recovery Fund è stato inserito nel contesto ampio di una proposta della Commissione Europea datata 27 maggio, composta da una potenza di fuoco di 750 miliardi di euro da distribuire ai Paesi membri e da una revisione del bilancio a lungo termine dell’UE pari a 1.100 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. L’intera iniziativa prende il nome di Next Generation EU. L’elemento di estrema rilevanza nel piano proposto dalla Commissione consiste nel fatto che sarà l’Unione Europea stessa, per reperire i 750 miliardi previsti, a indebitarsi attraverso un’emissione comune di bond e a ripagare tale debito (anche se in un lasso di tempo estremamente ampio ed esteso, tra il 2028 e il 2058). Per far ciò si prevede che il bilancio dell’UE venga incrementato nel periodo 2021-2027 dall’attuale valore dell’1% del PIL europeo al 2%. Questo aumento, nelle intenzioni della proposta iniziale, potrebbe avvenire tramite l’introduzione di nuove imposte a livello europeo, quali ad esempio quelle contro i giganti del web o sull’utilizzo della plastica. Ma ciò che preme maggiormente sottolineare è che, secondo questo piano, il ripagamento spetterebbe all’Unione Europea e non ai singoli Stati membri. Secondo la proposta della Commissione, i 750 miliardi sarebbero stati composti da una maggioranza di sussidi a fondo perduto (500 miliardi) e da una parte minoritaria di prestiti (250 miliardi) da restituire poi successivamente dai Paesi beneficiari.
Questa proposta è stata oggetto di negoziati estremamente tesi e duri nel corso del vertice europeo del 18-19 luglio. Un negoziato conclusosi solo all’alba del 21 luglio e che ha prodotto importanti modifiche all’impianto iniziale proposto dalla Commissione. Secondo il nuovo accordo, la quota di sussidi scende a 390 miliardi, mentre la restante parte ammonterà a prestiti che dovranno essere restituiti dai beneficiari. All’Italia spetterà il 28% di queste risorse, ossia 209 miliardi: più dei 172,7 originariamente previsti con un aumento della quota di prestiti, che sale da 91 a 127 miliardi.

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Fig. 1 – Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea

MOMENTO HAMILTON?

Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti nonché Segretario del Tesoro, nel 1790 riuscì nel compito di trasformare il debito che le allora 13 colonie americane avevano accumulato nel corso della guerra per l’indipendenza dal Regno Unito in debito pubblico unico del nuovo Stato federale, ponendo così le fondamenta per la nascita dei moderni Stati Uniti, trasformando la Confederazione in uno Stato federale dotato di un forte Governo centrale. Nel dibattito europeo più recente si fa spesso ricorso all’espressione “Momento Hamilton” per indicare la svolta storica che starebbe, secondo alcuni, vivendo l’Unione Europea. La proposta di creazione di un fondo finanziato con emissioni di debito comune attraverso soldi presi in prestito dai mercati internazionali e garantiti dall’Unione nel suo complesso e non dai singoli Stati viene considerata da più parti epocale, soprattutto se corredata dall’idea di finanziare questo progetto attraverso l’emissione di tasse europee.
Il dibattito in corso poggia su queste ragioni per descrivere il momento come una svolta hamiltoniana, il primo passo verso una vera, compiuta, federazione. Il punto di approdo originario dei Padri Fondatori dell’Unione Europea, lo scopo finale che dovrebbe dare senso e compimento a decenni di integrazione europea. L’esito del negoziato sul Recovery Fund presenta scenari contrastanti. Se da un lato infatti si nota un radicale cambio di passo rispetto a posizioni che sembravano inscalfibili fino a pochi mesi fa, restano tuttavia alcune criticità non del tutto chiarite. Innanzitutto la durissima contrapposizione tra Nord e Sud Europa, tra i Paesi mediterranei e i cosiddetti frugali, che ha prodotto frizioni complesse da gestire e ha aumentato il divario politico tra queste due sponde d’Europa. Da non sottovalutare neanche la scelta di non abbinare gli aiuti al rispetto dello Stato di diritto, frutto del netto rifiuto dei Paesi del blocco Visegrad. Quest’ultimo elemento è stato ampiamente trascurato nei giudizi emessi al termine del negoziato, eppure resta una zona d’ombra ambigua e pesante per un progetto come quello comunitario, fondato su valori che sembrano sempre più incompatibili con le posizioni assunte da Ungheria e Polonia nello specifico.
Resta indubbiamente centrale nella narrazione dei negoziati l’asse finalmente convinto ed efficace tra i pesi massimi dell’economia europea, Francia e Germania, condannate dalla storia continentale a dover cercare una perenne intesa, ma perennemente destinate a mancarla. Macron e Merkel hanno dato uno scatto di reni dopo anni di intese cercate e mai realmente partorite, confronti di stili diversi e sfumature sfocate. Ora però sembra essersi invertita la tendenza. Gli scenari futuri che si spalancano dinanzi a questo piano sono molteplici e condizionati da fattori interni alla UE, ma anche interni ai singoli Stati. Sfide comuni a tutti gli Stati membri e problematiche individuali frutto di specifiche congiunture economiche e politiche del tutto peculiari a ciascun contesto nazionale.

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Fig. 2 – Emmanuel Macron e Angela Merkel, attori centrali nel negoziato sul Recovery Fund

CAMBIARE PER SOPRAVVIVERE

Tutti questi scenari e queste opzioni scontano il prezzo dell’incertezza e dell’indeterminatezza. Conclusa la fase negoziale, infatti, occorrerà utilizzare le risorse stanziate evitando sprechi ed errori. C’è in ballo il salvataggio della coesione sociale e della tenuta economica del continente. E c’è in ballo anche il futuro stesso dell’Unione Europea, che sta cercando di liberarsi di alcune regole eccessivamente rigide per cercare di compiere un passo avanti decisivo verso un approfondimento della propria integrazione economica. Un traguardo che contribuirebbe a “disinnescare” gli argomenti dei movimenti populisti che affollano le platee politiche nazionali. Dotarsi di regole nuove e coraggiose può essere l’unica strada per arginare il terremoto finanziario e sociale imposto dalla pandemia di Covid-19 e definitivamente archiviare i gattopardismi che hanno dominato la politica europea degli ultimi anni.

Luca Cinciripini

Immagine in evidenza: Photo by Guillaume Meurice is licensed under CC0

Dove si trova

Perchè è importante

  • Accanto ai diversi strumenti sin qui proposti, la vera partita si è giocata attorno all’ambizioso piano proposto dalla Commissione Europea che prende il nome di Next Generation EU.
  • Molti osservatori parlano di “momento Hamilton”, ovvero la svolta verso una prima forma di indebitamento comune che potrebbe segnare la nascita di una vera federazione europea.
  • Tuttavia la durezza del negoziato e la profonda divergenza di visioni emersa testimoniano che la strada è ancora lunga. Ora si apre per i singoli Paesi la delicata fase in cui scegliere come investire le risorse stanziate.

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Luca Cinciripini
Luca Cinciripini

Nato nel 1991, laureato in Giurisprudenza e attualmente dottorando in Istituzioni e Politiche presso l’Università Cattolica di Milano. I miei interessi di ricerca sono concentrati in particolare sulle politiche di sicurezza e di difesa europee, i rapporti tra NATO e UE e la politica estera comunitaria. Da grande amante del mondo anglosassone, seguo anche tutte le vicende rilevanti della politica e della società britannica.

Ma, soprattutto, tre cose non possono mancare mai per me: l’Inter, il cinema e gli U2.

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