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L’Unione Europea ai tempi della pandemia: tra crisi individuali e debiti comuni (I parte)

Analisi – L’emergenza Covid-19 ha messo a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari e del tessuto sociale dei vari Paesi europei. Respinta la prima ondata epidemica, e in attesa dell’autunno e di un’eventuale recrudescenza, dinanzi all’Unione Europea si agita un’altra minaccia alla sua tenuta sociale: lo spettro di una pesante recessione economica. Dopo aver superato la grande crisi del triennio 2008-2011 che aveva messo in pericolo la tenuta del progetto comunitario e della moneta unica, l’Unione Europea affronta una nuova sfida che ne minaccia l’esistenza. Con la necessità però questa volta di trovare strumenti diversi per rispondere a una crisi diversa.

DUE CRISI, DUE STORIE DIVERSE

La crisi attuale che si trova ad affrontare l’Unione Europea presenta caratteri radicalmente diversi da quella finanziaria e del debito sovrano del triennio 2008-2011.
Innanzitutto, si tratta di uno shock simmetrico, non imputabile alle deficienze di alcuni Stati membri o a gestioni dei conti poco rigorose, sebbene esistano profonde differenze nella virtuosità dei conti pubblici da Paese a Paese.
Inoltre la crisi si preannuncia molto più pesante, con una riduzione del PIL europeo prevista attorno al 10% circa (a fronte del 5% della crisi precedente) secondo le stime OCSE, e che colpirebbe in maniera particolarmente ingente Paesi come Spagna, Francia e Italia, per i quali si prevede una contrazione del PIL che oscilla tra l’11 e il 14% nel 2020. Inoltre, sempre secondo le stime OCSE, anche la Germania andrà incontro a una contrazione, sebbene più contenuta, tra il 6 e l’8%.  
Ulteriore elemento di differenziazione è costituito dal quadro politico comunitario e internazionale, con la forte presenza di partiti populisti e apertamente euroscettici che cavalcano il crescente sentimento di sfiducia nei confronti delle Istituzioni comunitarie. Non va inoltre dimenticato il fatto che l’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, metta in mostra un atteggiamento apertamente ostile nei confronti dell’Unione Europea, modificando sostanzialmente l’asse transatlantico e logorando il perno degli equilibri globali e geopolitici post-Seconda Guerra mondiale.
Da ultimo, il braccio di ferro intrapreso dalla Corte Costituzionale tedesca, che con la sentenza del 5 maggio (caso Weiss) ha rilevato il mancato rispetto del principio di proporzionalità da parte della BCE con l’adozione del Quantitative Easing, che così facendo avrebbe esondato i limiti imposti dai Trattati.

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Fig. 1 – Le Istituzioni comunitarie si preparano ad affrontare le conseguenze economiche e sociali della pandemia

LA RISPOSTA DELL’UNIONE EUROPEA

In questo quadro profondamente intricato, ciò che ci si attendeva dall’Unione Europea era uno scarto deciso per mettere al riparo la costruzione comunitaria dalla tempesta in arrivo. Ma le prime reazioni non sembravano andare in quella direzione. Quando il 12 marzo Christine Lagarde, Presidente della BCE, pronuncia la ormai famosa frase “We are not here to close spreads”, la reazione dei mercati è di panico e la crisi che si stava innescando ormai in tutto il continente sembrò sul punto di esplodere. Da quel momento in poi, però, le Istituzioni comunitarie hanno intrapreso una strada di senso opposto, evidentemente consapevoli della gravità della situazione.
Chiaro segnale in tal senso la decisione del 23 marzo di attivare la Clausola Generale di Salvaguardia (General Crisis Clause), che ha consentito di sospendere parzialmente il Patto di Stabilità, ovvero le regole che governano le politiche di bilancio degli Stati membri e che fissano il limite deficit/PIL al 3% e il tetto del debito pubblico al 60% del PIL nazionale. Si tratta di una decisione senza precedenti, segno dell’eccezionalità della situazione.
Ulteriore misura introdotta dalla BCE questa volta è il Pandemic Purchase Emergency Programme (PEPP), ovverosia il programma di emergenza per l’acquisto di titoli di Stato sino alla fine del 2020 per il quale erano stati stanziati inizialmente 750 miliardi di euro, aumentati di ulteriori 600 miliardi nelle scorse settimane. Il piano ha l’obiettivo di immettere liquidità e porre i Paesi che adottano l’euro al riparo dalla speculazione e dalle turbolenze finanziarie. Lo scopo ultimo di questo strumento, pertanto, è quello di rafforzare e preservare il flusso del credito verso imprese, famiglie e cittadini iniettando liquidità negli istituti di credito dell’Eurozona, affrontare gli stravolgimenti economici determinati all’interno dell’unione monetaria fino al termine della fase critica del coronavirus. Un cambio di rotta netto e deciso rispetto ai tentennamenti della Lagarde del 12 marzo che i mercati hanno particolarmente apprezzato.

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Fig. 2 – Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea

I NUOVI STRUMENTI

Accanto allo strumento del PEPP predisposto dalla BCE, l’Eurogruppo ha a sua volta formulato un piano di intervento che si muove lungo tre direttrici, a ognuna delle quali corrisponde uno strumento diverso. Queste tre reti di sicurezza, per un valore complessivo di 540 miliardi di euro, sono state proposte il 9 aprile e definitivamente messe a punto a maggio. Esse sono principalmente rivolte verso tre categorie diverse: gli Stati, i lavoratori e le imprese. I tre strumenti approvati dai Ministri delle Finanze dell’Eurogruppo sono:

  • il MES: il famigerato Fondo Salva-Stati, spauracchio dei principali partiti euroscettici, che lo vedono come l’anticamera della Troika e il grimaldello per l’applicazione di pesanti condizionalità. Sebbene il suo discutibile utilizzo ai tempi del salvataggio greco, in questa situazione si è raggiunto un compromesso circa il suo intervento. I fondi messi a disposizione dal MES sono 240 miliardi di euro, meno della sua totale potenza di fuoco, e ciascun Paese non potrà accedere a un ammontare pari a più del 2% del suo PIL. Cadono tuttavia, assecondando le richieste dei Paesi del Sud, le pesanti condizioni precedentemente imposte, se non l’obbligo di utilizzare la linea di credito a condizioni rafforzate (ECCL) per le spese sanitarie dirette e indirette dovute alla crisi della Covid-19.
  • Il fondo di garanzia paneuropeo da 25 miliardi di euro creato dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) allo scopo di fornire prestiti alle imprese fino a 200 miliardi di euro da reperire sui mercati.

Questi tre livelli di protezione, dunque, abbinati all’azione della BCE e alla decisione dell’UE di allentare le norme che vietano il ricorso agli aiuti di Stato, hanno il dichiarato obiettivo di immettere inedite quantità di denaro in circolo al fine di dare ossigeno agli Stati e, tramite essi, giungere a cittadini e imprese per preservare la coesione sociale. Una reazione senza precedenti per contenere il tracollo del tessuto sociale oltre che economico del continente. Ma la partita più importante, dai risvolti politici prima ancora che finanziari, è quella che si è appena giocata su un altro tavolo: il Recovery Fund.

Luca Cinciripini

Immagine in evidePhoto by denzel is licensed under CC BY-NC-SA

Dove si trova

Perchè è importante

  • L’Unione Europea si prepara ad affrontare una recessione economica senza precedenti, con caratteristiche differenti da quella del triennio 2008-2011 e dalle conseguenze potenzialmente elevate.
  • Dopo l’iniziale tentennamento di Christine Lagarde, le Istituzioni comunitarie hanno iniziato ad approntare strumenti per contenere gli effetti della pandemia sul tessuto economico e sociale
  • Sono stati introdotti diversi strumenti innovativi, rivolti a diversi settori della società. Ma la partita vera, è quella appena conclusa nel corso dei negoziati sul Recovery Fund.

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Luca Cinciripini
Luca Cinciripini

Nato nel 1991, laureato in Giurisprudenza e attualmente dottorando in Istituzioni e Politiche presso l’Università Cattolica di Milano. I miei interessi di ricerca sono concentrati in particolare sulle politiche di sicurezza e di difesa europee, i rapporti tra NATO e UE e la politica estera comunitaria. Da grande amante del mondo anglosassone, seguo anche tutte le vicende rilevanti della politica e della società britannica.

Ma, soprattutto, tre cose non possono mancare mai per me: l’Inter, il cinema e gli U2.

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