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Deterrenza nucleare e deterrenza petrolifera

La questione dello sviluppo di tecnologie nucleari in Iran, nella lettura strategica oggi più popolare, è legata al rischio che Teheran sviluppi un arsenale nucleare da puntare contro Israele. Non in un quadro di reciproca deterrenza, ma in vista di un bombardamento genocida. Israele non lo smentisce di certo, e le periodiche invettive del presidente iraniano sulla inesistenza della Shoah e sulla futura sparizione dello stato ebraico certo inducono l’opinione pubblica a fare due più due con il programma atomico. Quanto tale lettura è vicina alla realtà?

 

LA LETTURA APOCALITTICA – Nell’attuale costellazione strategica e di politica internazionale un attacco iraniano contro Israele comporterebbe l’autodistruzione dell’Iran: se davvero l’Iran attaccasse Israele, vi sarebbero risorse militari e volontà politica che garantirebbero una sicura, anzi automatica, massiccia ritorsione sia da parte degli Usa che da parte della stessa Israele. Lo scenario di un possibile attacco nucleare a Israele che si delinea in alcune ipotesi mescola il fanatismo di parte dell’elite e delle masse alla fredda consapevolezza di un nuovo ordine mondiale. Questo nuovo equilibrio non è proprio all’orizzonte, ma non si può escluderlo dal futuro possibile, e naturalmente l’arsenale nucleare è un investimento geopolitico di lungo periodo. Si dovrebbe infatti immaginare una costellazione di forze in cui non semplicemente la Cina sia diventata una superpotenza globale almeno pari agli Usa (e questa è la profezia più facile e condivisibile, anche se dal punto di vista militare il divario tra i due Paesi è ancora gigantesco), ma si siano stabiliti rapporti conflittuali tra questi due grandi poteri, come ai tempi della guerra fredda. In un simile scenario (che, va detto, attualmente è tutt’altro che all’ordine del giorno), l’Iran poi dovrebbe essere parte così integrata del Blocco Cinese da meritare una sorta di “garanzia cubana”. O israeliana, appunto. E ciò rende il gioco a somma zero: in ogni caso su ciascuno dei due contendenti mediorientali, varrebbe un interdetto nucleare da parte dei rispettivi “protettori”. In altri termini, potrebbe anche essere possibile che in un futuro prossimo l’Iran diventi politicamente “intoccabile” come oggi lo è Israele grazie alla garanzia Usa. E’ ben difficile immaginare che però cada quella vitale garanzia su Tel Aviv: chi volesse bombardare lo stato ebraico con armi nucleari dovrebbe comunque mettere in conto la propria apocalisse, se non la guerra mondiale.

 

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UNA LETTURA PIU’ REALISTICA – Questa ricostruzione è indebolita da una riflessione. In una densa intervista di due anni fa a Oil Tabloid (bimestrale dell’Eni) il grande scrittore israeliano Abraham Yehoshua, tra molte acute considerazioni di ordine storico e sociale, e memorie personali, sviluppava una interessante lettura geopolitica del petrolio, della dote petrolifera nel contesto mediorientale. La presenza di enormi risorse di idrocarburi nei paesi arabi (in particolare del Golfo e in Iraq, ma anche in Egitto e Maghreb) e islamici (Iran), rappresenterebbe una manna economica, ma anche un formidabile tallone d’Achille strategico: le riserve, e ancor più l’infrastruttura di trasporto e distribuzione, sono particolarmente vulnerabili a un eventuale attacco militare, costituiscono un naturale deterrente rispetto a iniziative militari su Israele (che non soffre reciprocità), quasi un ostaggio strategico che avrebbe di per sé inibito politiche aggressive da parte degli arabi. E’ una ipotesi solida, e utile. Viene da chiedersi, pensando all’impasse iraniana, se questo paradigma non operi, rovesciato, a favore di Teheran, quando la questione verta sulla deterrenza nucleare. L’atomica è la più potente, e la meno controllabile delle armi, il suo impatto è enorme, durevole e scarsamente circoscrivibile: è, appunto, lo strumento dell’Armageddon, la rottura del Settimo Sigillo. Oltre ad uccidere milioni di esseri umani, di fatto si renderebbero inaccessibili per molti decenni, o per sempre, giacimenti di idrocarburi che ammontano a una quota esorbitante delle riserve mondiali. L’Iran, il Golfo non sono la Russia, la concentrazione territoriale di quelle risorse è elevatissima. Solamente il complesso gasifero (offshore) di South Pars/north Field tra Iran e Qatar vale quasi una intera Russia.

 

In quel teatro ci si deve muovere col bisturi, se si deve preservare l’accesso alle risorse. Rispetto al deterrente nucleare le posizioni si rovesciano: il tallone d’Achille è occidentale (e mondiale), l’ostaggio in mano ai persiani. Eppure, perfino in un ipotetico e un po‘ fantapolitico futuro in cui dovesse indebolirsi la garanzia nucleare americana sullo Stato ebraico, questo comunque sarebbe in grado di portare il suo second strike, quel secondo colpo da mettere a segno anche dopo aver subito il bombardamento – dalle batterie montate sui sottomarini atomici della marina israeliana.

 

La lettura apocalittica, comunque, non sembra essere quella prevalente (o prescelta) nel governo o nell’intellighenzia di Israele.

 

Andrea Caternolo

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