Entriamo nel dettaglio e spieghiamo quali sono le valutazioni svolte da ciascuno dei principali attori coinvolti nei recenti accordi sul nucleare iraniano, e quali opzioni politiche essi potrebbero esercitare o meno nel prossimo futuro.
(Qui la prima parte dell’analisi).
PIATTO (RELATIVAMENTE) RICCO – Come accennato precedentemente, l’ultima serie di sanzioni ha davvero affossato l’economia iraniana e ha contribuito ad alimentare il risentimento popolare contro gli Stati Uniti e i Paesi occidentali in genere. Nonostante tutto, però, ci sono interessanti opportunità che Teheran farebbe bene a non sottovalutare. In effetti, negli ultimi anni, l’Iran è stato meno isolato di quello che gli Stati Uniti e Israele avrebbero voluto. Sia la Russia che la Cina hanno continuato a intrattenere relazioni diplomatiche e commerciali con Teheran, che, seppur limitate, consentono di mantenere un discreto attivismo internazionale e la possibilità di aprire agevolmente le porte a flussi di investimenti, scambio di merci e materie prime e trasferimenti di tecnologia, non appena le sanzioni fossero allentate. Anche l’India si è dimostrata interessata a fare affari con l’Iran, in particolare a investimenti diretti: alcuni progetti sono già in cantiere, anche se procedono lentamente. Ma non è tutto. In seguito all’esito complessivamente positivo degli incontri di Ginevra, diverse compagnie petrolifere occidentali hanno mostrato interesse a tornare ad approvvigionarsi in Iran, previe garanzie politiche e diplomatiche. Ciliegina sulla torta, il cosiddetto “asse sciita” non è ancora crollato come molti si sarebbero aspettati. La Siria in primo luogo, ma anche lo Yemen e il Libano, restano Paesi virulenti nei quali il fattore sciita non potrà essere escluso dai giochi, provvedendo all’Iran un’altra occasione per fare la differenza.
In conclusione, allargando lo sguardo a una visione d’insieme che non guardi geograficamente al solo Medio Oriente, ma a un contesto più ampio, l’Iran potrebbe avere svariate occasioni per cambiare radicalmente il proprio percorso, pur mettendo sul piatto delle negoziazioni in corso (oltre a quelle già terminate) concessioni relativamente limitate. Sia la Russia che la Cina hanno più volte confermato interesse per una dinamica virtuosa così concepita, oltre ad aver sempre difeso il programma nucleare civile iraniano. Entrambe le potenze, però, hanno mostrato di condividere la preoccupazione (e l’intransigenza) occidentale di un Iran armato con testate nucleari. La maniera in cui Rohani saprà guidare l’Iran e le scelte che sarà in grado di perseguire o meno possono quindi fare la differenza tra vecchio e nuovo Medio Oriente.
INTERESSI A STELLE E STRISCE – Per ciò che ci è dato sapere, non è escluso che gli Stati Uniti approvino un disegno geopolitico simile a quello prospettato sopra. Un Iran ben inserito piuttosto che ostracizzato potrebbe essere la chiave di volta di una pacificazione di lungo periodo del Medio Oriente, seppur non risolutiva delle conflittualità etniche e ideologiche radicate nella regione. In parole povere, uno status quo tutto sommato accettabile e in equilibrio. Non è un segreto che Washington guardi a est e miri a sganciarsi progressivamente dal Medio Oriente. La prospettiva strategica statunitense è diversa da quella iraniana, ma ne condivide l’ampiezza di vedute, ben oltre le limitate dinamiche della regione. In quest’ottica, una politica basata su continui sforzi diplomatici e piccoli passi avanti, un negoziato dopo l’altro (tit for tat), si rivela molto più adeguata che un atteggiamento aggressivo. Peraltro, come dimostrato nelle fasi più calde della crisi siriana, le “red lines” possono trasformarsi in pericolosi autogol per la credibilità. Per non parlare del rischio di dover rallentare o abbandonare le ambizioni in Asia Orientale, che si prospettano decisamente più convenienti di quelle passate in Medio Oriente, dove le ingenti risorse (leggasi i dollari) spese non hanno mai fruttato le ricompense e i successi sperati. Tuttavia, con paradossali similarità alla situazione interna iraniana, anche l’amministrazione Obama potrebbe trovarsi limitata e imbrigliata dal fronte interno, specialmente dall’opposizione repubblicana, da sempre critica e scettica su scelte strategiche alternative a quelle tradizionali e ben conosciute.
IL MIO MIGLIOR NEMICO – I tradizionali alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente, Israele e Arabia Saudita in testa, hanno approfittato del vertice 5+1 per risollevare le loro istanze e il loro malcontento nei confronti del (super)potente alleato. Le visioni geopolitiche israeliana e saudita, paradossalmente, non differiscono di molto e hanno in comune le dimensioni e le prospettive limitate alla sola regione mediorientale. Entrambi i Paesi, per ragioni tuttavia diverse, sembrano aver bisogno che l’Iran continui a giocare il proprio ruolo di avversario aggressivo, male assoluto e minaccia alla sicurezza della regione. In particolare, Israele vorrebbe evitare la diminuzione dell’impegno americano e garantirsi la costante attenzione di Washington verso le problematiche, ormai croniche, dello Stato ebraico. Sebbene Obama abbia più volte ribadito che il rapporto privilegiato tra Stati Uniti e Israele non sia mai stato, né sarà messo in discussione, Netanyahu non ha considerato le garanzie sufficienti e, anzi, si è sentito tradito dalla disponibilità statunitense al negoziato con l’Iran. Il Primo Ministro israeliano ha definito il compromesso di Ginevra un errore storico, ritenendo che l’intransigenza e l’imposizione del disarmo incondizionato siano le uniche possibilità per una pace duratura. Anche l’Arabia Saudita, nemico storico di Israele, ha stavolta condiviso, indirettamente, la linea dura. Ma le necessità saudite hanno una radice diversa, e provengono invece dall’ambizione non troppo celata che l’Arabia Saudita si erga a Paese-guida dell’area sunnita. Come tale, Riyadh ha bisogno di continuare a vedere l’Iran come un nemico sciita contro il quale ergersi a baluardo. Non è un caso, infatti, che sia Israele che l’Arabia Saudita abbiano tentato di ingrossare la matassa dei negoziati buttando nel pentolone anche la questione siriana, che in realtà era un po’ fuori tema nel contesto, e tenuto conto della natura parziale dei colloqui di Ginevra.
AUX ARMES, CITOYENS – Per completare il quadro, vediamo la posizione francese. Parigi si è fatta sentire nel corso dei negoziati, e ha tenuto una posizione sostenuta. Il presidente Hollande sembra aver raccolto le istanze di sauditi e israeliani e averle portate di fronte al vertice 5+1. Visione condivisa? Non proprio. Piuttosto, il tentativo francese di riacquistare smalto e prestigio internazionale prosegue secondo una politica tutta nazionale. Lo scarso coinvolgimento dell’Unione Europea nelle vicende internazionali più scottanti, perfino quelle alle porte di casa (Africa e Medio Oriente), che hanno colpito duramente imprese e interessi europei, hanno frustrato il tradizionale attivismo di Parigi, che invece ha sempre fatto della politica estera un proprio cavallo di battaglia. Dopo gli interventi in Libia e Mali e la posizione intransigente tenuta nel corso della crisi siriana, la posizione francese è oggi ben delineata. I negoziati di Ginevra appena conclusi hanno ribadito che la Francia, indipendentemente dall’operato dell’Unione Europea, non starà a guardare e, in mancanza di appropriati strumenti comunitari di politica estera, proteggerà da sola e strenuamente i propri interessi all’estero. In questo caso si tratta di investimenti e accordi bilaterali sia con i Paesi sunniti moderati che con Israele. La visione d’insieme francese è sicuramente più ampia e articolata di quella media europea (la visione italiana, poi, non pervenuta), ma più limitata – per estensione territoriale, risorse disponibili e ambizioni – di quelle statunitense, russa o cinese. In termini semplici, una mappa più piccola su cui giocare fa sì che la Francia, al pari di Israele e Arabia Saudita, veda l’Iran in maniera più “classica”, il nemico di sempre da contenere per difendere i propri affari e clientele in una regione dai confini ben definiti. Col raggiungimento di un primo accordo sul nucleare, però, non mancano già i detrattori di questa visione, che vedono nella rigidità dell’esecutivo francese il pericolo di perdere preziose occasioni di ingresso nel mercato iraniano se un nuovo equilibrio geopolitico in Medio Oriente vedesse davvero la luce dai prossimi sei mesi in poi.
Marco Giulio Barone