Analisi – Nonostante il Medio Oriente non sia una priorità dell’Amministrazione Biden, il prossimo Presidente degli Stati Uniti avrà grandi responsabilità per il futuro della regione, a partire dal disimpegno militare e dalla questione iraniana fino al problema delle alleanze regionali.
CONTINUITÀ E DIFFERENZE
La politica estera non è e non sarà una delle priorità su cui Biden concentrerà la propria presidenza. E quand’anche il nuovo Presidente proverà a distogliere lo sguardo dai più pressanti affari interni, sicuramente investirà maggiore capitale politico rispetto a questioni aperte con Russia o Cina che con il Medio Oriente. Nonostante quindi le relazioni degli Stati Uniti con la regione MENA non siano all’ordine del giorno, gli obiettivi e le modalità che l’Amministrazione Biden sceglierà rispetto a questo fronte determineranno (come sempre) il futuro del Medio Oriente nei prossimi anni.
Per quanto riguarda gli obiettivi strategici, l’Amministrazione Biden probabilmente non devierà troppo da quella Trump, prediligendo la strada della continuità. È quindi molto probabile che Biden voglia tornare sui tre seguenti dossiers, obiettivi anche dell’Amministrazione Trump:
- Il disimpegno militare in Medio Oriente;
- La questione iraniana;
- Il problema delle alleanze in area MENA, fra Israele e Golfo.
Rispetto, invece, alle modalità, tutti si aspettano che Biden intraprenda una retorica diplomatica molto meno “aggressiva” e molto più di “principi”. Multilateralismo, cooperazione diplomatica, coordinamento con partners e alleati faranno da sfondo a un approccio strategico verso il Medio Oriente che cambierà quindi nei toni, un po’ meno nella sostanza.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Presidente eletto Joe Biden in un discorso dal Queen Theater a Wilmington, Delaware, il 14 dicembre 2020
IL DISIMPEGNO MILITARE
La questione del disimpegno in Medio Oriente non è nuova ed era già stata posta come prioritaria dal programma elettorale di Trump nel 2016. Biden ha voluto rimarcare chiaramente nel suo programma elettorale che il disimpegno americano in Medio Oriente sarebbe stato altrettanto prioritario, con un ridimensionamento della presenza in Afghanistan e Iraq. Per dare qualche numero, stando al Dipartimento della Difesa, gli Stati Uniti si apprestano a richiamare in toto circa 2.500 soldati da Afghanistan e Iraq entro metà gennaio: in Iraq le truppe passerebbero da 3mila a 2.500, mentre in Afghanistan da 4.500 a 2.500.
Sembra, quindi, quasi naturale e obbligatorio per i Presidenti dell’era post-Obama inserire il disimpegno militare come priorità assoluta rispetto alla visione americana per il Medio Oriente, frutto soprattutto della spinta di una nazione che desidera tagliare i ponti con i lontani e logoranti conflitti del passato.
Questo aspetto, poi, collima perfettamente con la nuova strategia di concentrare i propri sforzi diplomatici in Medio Oriente su Israele e sui Paesi del Golfo in ottica anti-iraniana. Inoltre il ritiro americano potrebbe rappresentare il via libera che i talebani stanno aspettando per prendere il potere in Afghanistan, sapendo che la milizia del Governo sciita afghano (sostenuto da Teheran) difficilmente riuscirebbe a fermarli. L’Iran si troverebbe così alla frontiera non solo alleati sciiti afgani indeboliti, ma anche i talebani, pronti a destabilizzare i confini. E ciò garantirebbe forte potere negoziale a Washington rispetto a Teheran.
Fig. 2 – Truppe americane a Frot Drum, New York, mentre recuperano i loro bagagli di ritorno dall’Afghanistan
LA QUESTIONE IRANIANA
L’Iran rappresenta il fulcro della strategia per il Medio Oriente di Biden, il quale ha criticato Trump per il suo approccio fallimentare rispetto al tema, portando la Repubblica Islamica sempre di più ad auto-isolarsi e i due Paesi sul filo di un conflitto aperto. Biden vuole invece offrire a Teheran la possibilità di riaprire un serio e credibile dialogo diplomatico, che porterebbe gli Stati Uniti a rientrare nel JCPOA e l’Iran a rispettare le limitazioni dell’accordo sul nucleare.
Tuttavia le mosse degli ultimi quattro anni di presidenza Trump, unite ai recenti accordi di normalizzazione di Israele ed Emirati in ottica anti-iraniana (insieme all’uccisione del direttore del programma nucleare iraniano probabilmente a opera di agenti del Mossad) potrebbero aver compromesso la strada del dialogo prima ancora che Biden inizi il proprio mandato. Inoltre è probabile che Teheran collabori soltanto se le sanzioni americane, che hanno distrutto l’economica iraniana, venissero totalmente eliminate, aspetto che Biden potrebbe non accettare.
Come uscire da questa impasse? Una possibile via di fuga potrebbe essere l’eliminazione di alcune sanzioni (per esempio quelle sul petrolio, le più “pesanti”) in cambio di uno stop di determinate attività nucleari da parte di Teheran. Tuttavia, vista la recente deteriorazione dei rapporti fra le due nazioni, è difficile prevedere quale scenario possa prevalere. L’unica certezza è che, senza una nuova strategia da parte degli USA, la questione iraniana potrebbe riservare spiacevoli sorprese anche per l’Amministrazione Biden.
Fig. 3 – Da sinistra a destra, il ministro degli Esteri del Bahrain Abdullatif al-Zayani, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il Presidente americano Donald Trump e il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al-Nahyan mentre firmano gli “Accordi di Abramo” alla Casa Bianca il 15 settembre scorso
ALLEANZE REGIONALI
Il terzo dossier su cui si concentrerà l’Amministrazione Biden è la situazione delle alleanze regionali in Medio Oriente, in particolar modo fra USA, Israele e il Golfo.
Per quanto riguarda Israele, Biden non farà passi indietro rispetto a quanto raggiunto da Trump. Biden, strenuo supporter di Israele, si mostrerà sicuramente favorevole a un clima di continua normalizzazione politica fra Israele e Stati arabi. Magari l’Amministrazione Biden garantirà maggiore sostegno umanitario e politico ai palestinesi (ripristinando i fondi all’UNRWA e riaprendo l’ambasciata palestinese a Washington), ma indubbiamente non investirà capitale politico nel conflitto arabo-israeliano, che non è una priorità strategica, e continuerà a favorire le alleanze regionali fra Paesi arabi e Israele.
Rispetto alle alleanze fra Stati Uniti e Paesi del Golfo la situazione è più complicata. Il Golfo cerca stabilità politica ed economica e vede nei recenti accordi di normalizzazione fra Israele e Paesi arabi un modo per portare gli Stati Uniti dalla propria parte. Allo stesso tempo Biden ha intenzione di diminuire le tensioni fra Israele, Golfo e Iran tramite una ripresa del dialogo diplomatico fra i vari attori. Un dialogo strategico di sicurezza regionale, che includa magari anche l’Europa, e che garantisca maggiori prospettive di stabilità rispetto al programma HOPE voluto dall’Iran, potrebbe essere una possibile soluzione per una maggiore cooperazione nella regione. La guerra in Yemen potrebbe rappresentare il punto di partenza di questo nuovo dialogo regionale, un conflitto che vede sia Paesi del Golfo che Stati Uniti alla ricerca di una via d’uscita e che, dal canto suo, anche Biden non ha intenzione di continuare.
Se gli Stati Uniti riusciranno quindi a trovare la giusta formula che includa cooperazione da un lato e politiche restrittive dall’altro (in special modo nei confronti paesi come l’Arabia Saudita, che violano i diritti umani), allora l’Amministrazione Biden potrebbe, nei prossimi quattro anni, essere promotore di un possibile spiraglio di stabilità in tutta la regione MENA.
Paolo Sasdelli
Immagine di copertina: “30th Armored Brigade Combat Team” by The National Guard is licensed under CC BY