Analisi – Minsk punta sull’energia nucleare per raggiungere una forte autosufficienza energetica e una maggiore indipendenza da Mosca. Tuttavia gli ambiziosi progetti bielorussi incontrano numerosi ostacoli, soprattutto sul piano internazionale, che si intrecciano con la turbolenta fase politica in atto.
NON SOLO GAS E PETROLIO
Crocevia strategico per il transito delle risorse energetiche russe verso l’Europa, la Bielorussia ha storicamente sviluppato una forte dipendenza dalle materie prime di Mosca, che ne ha plasmato economia e infrastrutture. Gasdotti, oleodotti e raffinerie sono infrastrutture fondamentali per Minsk, che vede la maggioranza del proprio export legato proprio al petrolio russo e al gas naturale che qui transitano e vengono lavorati. Negli ultimi decenni, tuttavia, il Paese ha tentato una graduale diversificazione economica, cercando di attrarre investimenti tanto in Occidente quanto in Oriente, nel tentativo di superare lo stringente vincolo con il Cremlino, spesso influenzato da rapporti alquanto altalenanti, e l’estrema dipendenza dalle sue risorse. Fu proprio la crisi energetica tra Mosca e Minsk del 2007 a riaccendere l’ipotesi di un’alternativa nucleare per la Bielorussia. Lo stop al transito e gli aumenti imposti in quella occasione da Gazprom e Transneft, ai quali Lukashenko dovette forzatamente cedere, spinsero Minsk alla ricerca di una soluzione che la rendesse meno esposta ai rincari o ai tagli russi. L’idea di un atomo bielorusso risaliva già all’URSS degli anni Ottanta, allo scopo di rifornire essenzialmente la capitale e le sue industrie, ma l’incidente di Chernobyl, che colpì gravemente parte del territorio dell’allora RSS Bielorussa, fece accantonare ogni disegno. Con l’indipendenza post-sovietica, la neonata Bielorussia ripropose la costruzione di almeno due centrali, ma nessuna decisione ufficiale venne presa e negli anni seguenti i progetti furono nuovamente messi da parte, fino al 2007.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Lavori lungo il tratto bielorusso dell’oleodotto Druzhba
VERSO UNA ‘INDIPENDENZA’ ENERGETICA?
Nel 2008, la Bielorussia adottò finalmente i decreti per la costruzione di una centrale nucleare, la prima del Paese, situata presso Ostrovec, a pochi chilometri dal confine lituano. La realizzazione dell’impianto fu affidata ad Atomstroyexport, filiale del colosso nucleare russo Rosatom, attualmente operante una politica estera di progetti e investimenti decisamente espansiva. La costruzione della prima unità iniziò nel 2013, seguita un anno dopo dalla seconda. L’impianto sarebbe stato fornito di due reattori di terza generazione VVER-1200, di fattura russa, da 1.110 MW ciascuno, per un costo complessivo stimato a circa $11 miliardi, largamente coperto dalla compagnia statale russa. Il progetto ha registrato circa due anni di ritardo rispetto al piano originale, che vedeva entro la fine di quest’anno il completamento di entrambe le strutture. Ad oggi l’unità Bielorussia-1 ha ricevuto il primo carico di combustibile nucleare dalla Russia lo scorso maggio, ha raggiunto la prima fissione in ottobre ed è stata finalmente connessa alla rete per la produzione di energia elettrica il 3 novembre 2020. Come decretato del Governo bielorusso lo scorso 2 dicembre, la prima unità otterrà l’operatività commerciale all’inizio del 2021, mentre la seconda alla metà del 2022. Stimando la copertura di circa un terzo del fabbisogno energetico del Paese grazie alla produzione nucleare, il Ministro dell’Energia Roman Golovchenko ha sottolineato il traguardo come una garanzia per uno sviluppo sostenibile a lungo termine e come un deciso rafforzamento della sovranità economica bielorussa. L’anelata “indipendenza”, tuttavia, rimane di facciata. La costruzione di una centrale nucleare, infatti, vincola per diversi decenni il fruitore al soggetto artefice della sua progettazione, del suo rifornimento e della sua manutenzione, Rosatom appunto. Il legame energetico tra Mosca e Minsk non si è, dunque, allentato, quanto piuttosto esteso in un nuovo settore.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – La centrale nucleare “Bielorussia” in costruzione presso Ostrovec, 16 km dal confine lituano
LE OSTILITÀ DEI VICINI BALTICI
Oltre all’emancipazione energetica da Mosca, con il nucleare Minsk ha puntato a esportare l’elettricità interamente prodotta dentro i suoi confini verso i vicini occidentali, allentando a sua volta le loro dipendenze dall’export russo. Tuttavia le rosee previsioni di mercato bielorusse si sono duramente scontrate con gli equilibri politici regionali. La più forte delle opposizioni viene dalla vicina Lituania, dalla cui capitale la centrale Bielorussia dista meno di 40 chilometri. Vilnius lamenta da anni presunte carenze nel progetto di Ostrovec, minacce alla salute dei cittadini e assenza di misure di sicurezza adeguate. Negli ultimi mesi le Autorità lituane hanno persino iniziato a distribuire in via preventiva pastiglie di iodio ai propri concittadini, in caso di fughe radioattive. Eppure la Lituania avrebbe potuto essere una delle principali beneficiarie della nuova elettricità di Minsk. Incapace di coprire il proprio fabbisogno energetico, dipendente dalle risorse di Mosca (maggior importatrice di GNL russo in tutta l’Europa orientale) ed esposta a vertiginosi rincari, Vilnius si è ritrovata così compromessa proprio in seguito alla chiusura della sua centrale nucleare, quella di Ignalina. Chiuso su imposizione di Bruxelles in cambio dell’ingresso lituano nell’UE e principale fonte di energia primaria della Lituania fino al 2008, l’impianto a sua volta era operante al confine con la Bielorussia e fu ritenuto “poco sicuro” per i suoi standard di epoca sovietica. Nell’eterogeneo quadro energetico dei Baltici, il nucleare bielorusso ha creato una clamorosa spaccatura iniziale tra i tre Stati, con la Lettonia dichiaratasi invece interessata a importare elettricità da Minsk. Le proteste scoppiate in Bielorussia dopo il 9 agosto hanno, tuttavia, compattato il fronte baltico, al quale si è unito la Polonia, contro Lukašenko, rafforzando la ferma opposizione alla centrale di Ostrovec.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – Il design originario dell’impianto mostrato come promozione pubblicitaria
OLTRE I PRIMI REATTORI
Nonostante la complessità dello scenario, i preparativi per il funzionamento a pieno regime della centrale Bielorussia continuano, monitorati degli osservatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), che ne riconoscono il pieno rispetto degli standard internazionali. I Paesi baltici insistono sul boicottaggio della produzione elettrica bielorussa, pressando la Commissione europea per creare misure contro le importazioni commerciali di elettricità da impianti nucleari di Paesi terzi (leggasi Bielorussia) che non soddisfino i livelli di sicurezza riconosciuti dall’UE. Per adesso la visita dello European Nuclear Safety Regulators Group prevista in dicembre presso il sito bielorusso è stata rinviata dalle Autorità di Minsk. Ad agitare ulteriormente la vicina Vilnius un primo incidente, avvenuto poche ore dopo la connessione dell’impianto bielorusso alla rete: il reattore 1 è stato spento per consentire la sostituzione di alcuni trasformatori, finiti fuori uso. Un evento minimo, come riportato del Ministero dell’Energia bielorusso, privo di ripercussioni. Sebbene la situazione non sia semplice, Minsk intende proseguire e ampliare le proprie ambizioni energetiche. La costruzione di una seconda centrale nucleare in Bielorussia, infatti, è attualmente sul tavolo delle trattative, allo scopo di coprire quasi il 100% del consumo energetico del Paese, come riferito dal Segretario di Stato dell’Unione Russia-Bielorussia, Grigory Rapota e ribadito da Alexey Likhachev, direttore generale di Rosatom, che si confermerebbe come unico appaltatore. Se il piano venisse realizzato comporterebbe una notevole autosufficienza per la rete bielorussa che, tuttavia, resterà ancorata all’operato delle compagnie energetiche russe, sia per le caratteristiche proprie della produzione nucleare, sia per la sua centralità strategica per il transito di gas e petrolio da Mosca verso l’Europa, sia, infine, per le resistenze dal vicinato occidentale alla “diversificazione” tentata da Minsk.
Mattia Baldoni
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