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Mazara del Vallo e le nostre debolezze

Editoriale – Incapacità di usare la forza e inaffidabilità nelle alleanze: l’Italia non conta più nel Mediterraneo. I pescatori rapiti da Haftar sono a casa, ma perdiamo per l’ennesima volta la nostra credibilità internazionale.

La vicenda dei pescatori di Mazara del Vallo liberati il 17 dicembre da Haftar mostra tutta la debolezza dell’Italia in Libia e nell’arena internazionale. La perdita d’influenza sul Paese che fu di Gheddafi e le continue sconfitte in quello che consideravamo fino a poco tempo fa il nostro giardino di casa sono ascrivibili a due realtà ormai consolidate nella politica estera italiana. 
La prima è l’abbandono dello strumento militare. Il Presidente del Consiglio, insieme al Ministro degli Esteri, ha più volte affermato che l’Italia non interverrà in un conflitto in corso, non utilizzerà boots on the ground contro qualcuno per perseguire gli interessi nazionali. «Se lo scenario libico prende una piega militare, l’opzione militare chiama chi è disponibile a combattere, chi manda uomini, eserciti, armamenti. Questo l’Italia non lo farà mai» diceva Conte poco più di due mesi fa al settimo Festival di Limes.

Annunciare che il nostro Paese non è disposto a impiegare la forza – salvo poi utilizzarla in altri scenari, sicuramente meno preminenti, ma necessari per ribadire l’appartenenza all’Alleanza Atlantica – ci indebolisce e ci espone alle assertive politiche estere dei nostri vicini avversari geopolitici. Fare sapere a Turchia, Egitto e Russia – ormai disinvolti abitanti dei deserti libici – che non utilizzeremo le nostre fregate per tutelare i nostri interessi nel Mar Mediterraneo significa rinunciare a qualsiasi potere di deterrenza. Astenersi anche solo dalla minaccia dell’uso della forza consente a potenze di medio rango di muoversi liberamente in quello che dovrebbe essere lo spazio strategico italiano. È per questo motivo che Haftar, sostenuto in primis da quel Presidente egiziano, al-Sisi, al quale abbiamo venduto le nostre Fremmsi comporta da pirata, rapendo i nostri pescatori e imponendo la sua politica estera sulla nostra. 

In secondo luogo, in Libia non veniamo considerati alleati affidabili. Non abbiamo una coerenza nello scegliere i nostri alleati e i nostri avversari: utilizziamo tatticismi sterili per alienarci la simpatia di chi dovrebbe essere il nostro primo interlocutore; ci tiriamo indietro quando, sotto assedio delle forze fedeli al maresciallo della Cirenaica, il premier da noi sostenuto al-Serraj chiede l’intervento italiano per respingere l’offensiva, prontamente stoppata dalla più credibile fanteria turca, formata da jihadisti provenienti dai contesti levantini e coadiuvata dai droni Bayraktar TB2 di Ankara. Invece che puntellare il cavallo scelto per tutelare i nostri interessi energetici nell’altra sponda del Mediterraneo, nel gennaio 2020 invitavamo a Palazzo Chigi Haftar, suscitando l’ira del Governo onusiano di Tripoli. Il quale ha stipulato poi accordi con Erdogan sulla delimitazione delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) a ridosso dell’Europa. 

Il palcoscenico messo in piedi ieri dal generale Haftar a Bengasi è il risultato di questi due fattori. Il volo di Conte e Di Maio nella parte di Libia controllata dal nostro teorico rivale riflette le nostre carenze in politica estera. In un contesto geopolitico in cui la politica di potenza torna prepotentemente sulla scena, la riluttanza tutta italiana ad adattarsi agli eventi consente a Khalifa Haftar di ottenere ciò che voleva: riconoscimento politico e rinnovata centralità nelle vicende libiche. Il paradosso di possedere una Marina Militare – possibilmente armata– incapace, per volontà politica, di utilizzare la forza quando opportuno dal punto di vista tattico-strategico è per noi segno di debolezza. Il risultato è davanti ai nostri occhi. Subiamo le iniziative geopolitiche di Haftar e perdiamo la credibilità su tutti i fronti. Veniamo usati dal nostro avversario in Libia, il quale sfrutta la crisi dei pescherecci, creata ad arte per rilanciarsi come interlocutore legittimo della comunità internazionale. Il ritorno a casa dei pescatori siciliani è una buona notizia. L’incapacità di muoverci liberamente in quello che fu il Mare Nostrum molto meno.

Vittorio Maccarrone

Immagine di copertina: “Giuseppe Garibaldi 551 23-03-2017” by Burmarrad (Mark) Camenzuli is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • La vicenda dei pescatori di Mazara rapiti da Haftar mostra l’inconsistenza italiana sul piano internazionale.
  • I motivi sono principalmente due: l’Italia ha rinunciato all’uso dello strumento militare e non è considerata affidabile dagli alleati.

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Vittorio Maccarrone
Vittorio Maccarrone

Catanese di nascita, ho conseguito la laurea specialistica all’Università di Pavia (città d’adozione) in World Politics and International Relations con tesi sulla guerra in Siria. Durante il periodo accademico colgo l’opportunità fornita dal progetto Erasmus per ben tre volte: Atene e Budapest sono le mete che scelgo per due tirocini in organizzazioni internazionali e non governative, mentre Gent mi accoglie per il periodo di studio all’estero. Seguo molto sia la politica interna che quella estera. Nelle dinamiche internazionali pongo particolare attenzione al martoriato Medio Oriente. Sono un accanito sostenitore del Calcio Catania, un fervente amante dello sport, appassionato di fotografia, aspirante giornalista e sì… bevo una modesta quantità di Caffè giornaliera!

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