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E se in Africa la cannabis diventasse strumento di emancipazione?

In 3 SorsiLa liberalizzazione della cannabis in Africa presenterebbe al Continente, trainato dal settore primario, l’opportunità di eliminare i retaggi proibitori del colonialismo, che non hanno permesso un adeguato sviluppo agricolo ed economico di alcuni Paesi. Nonostante l’incontro fra economie del Sud e del Nord del mondo produca spesso effetti contraddittori, i primi risultati sembrano definire scenari positivi.

1. COME TUTTO EBBE INIZIO

Per capire e conoscere la storia che lega l’Africa alla coltivazione di cannabis si deve tornare indietro di circa mille anni, quando la canapa proveniente dall’Asia approdò sulle coste mediterranee dell’Africa e in Madagascar. Se in un primo momento rimase una coltivazione marginale e per uso personale, ben presto se ne capì l’immenso potenziale, specialmente in Africa settentrionale, con Marocco e Tunisia che riuscirono a costruire un vero e proprio monopolio commerciale resistente anche al periodo coloniale. Al contrario nell’Africa subsahariana questo tipo di produzione non riscosse lo stesso successo e per le amministrazioni coloniali non era abbastanza redditizio da poter evitare di essere considerato immorale e illegale ancor prima del 1925 (anno in cui venne firmata la Convenzione Internazionale di Ginevra concernente l’uso degli stupefacenti) e di vedersi soffocato nello sviluppo agricolo. Ebbene, a partire dai primi anni del Novecento e per circa un secolo in avanti si assistĂ© a una massiccia diffusione di coltivazioni illegali di cannabis. A fronte della povertĂ  dilagante, vendere un prodotto proibito dalla legge garantiva agli agricoltori africani piĂą vulnerabili e che se ne assumevano il rischio un introito molto piĂą vantaggioso di quello guadagnato con le regolari coltivazioni tassate dal Governo.

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Fig. 1 – Una serra per la coltivazione della cannabis in Uganda

2. RETAGGI DEL PASSATO

Nel 2017 l’Africa appare al secondo posto per uso e produzione illegale di marijuana dopo le Americhe, senza aver risolto i problemi legati alla povertà estrema degli agricoltori. Diventa, dunque, opinione comune che una strategia per sostenere lo sviluppo economico del continente possa essere quella di far accedere legalmente gli agricoltori africani al mercato domestico e internazionale di cannabis. Il Continente eccelle sia per l’estensione delle piantagioni sia per la qualità del prodotto e la legalizzazione della cannabis avrebbe tutti i presupposti per creare un business fiorente. L’obiettivo sarebbe quello di sottrarre il mercato alla criminalità organizzata, renderlo una fonte di reddito per lo Stato e offrire al consumatore un prodotto controllato dalle Autorità sanitarie nazionali. Purtroppo, però, non è così semplice. Come Ercole davanti alle nove teste autorigeneranti dell’Idra, così l’Africa subsahariana davanti al commercio internazionale: per ogni soluzione trovata, ulteriori problematiche insorgono. Secondo alcuni il mercato della cannabis non è altro che l’ennesimo tentativo di neocolonialismo da parte del Nord del mondo, che genera ricchezza e benessere a proprio vantaggio espropriandone l’Africa. Una volta approvata la legalizzazione, infatti, sarebbero le compagnie straniere a pagare ai Governi africani i contratti d’affitto, solitamente troppo onerosi per gli agricoltori locali, per l’utilizzo delle piantagioni di cannabis destinata all’esportazione. Tale approccio non farebbe altro che perpetrare quel circolo vizioso di ineguaglianza e disparità fra Nord e Sud del mondo all’interno del quale a rimetterci sono spesso i lavoratori del settore primario.

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Fig. 2 – Zorodzai Maroveke della Zimbabwe Industrial Hemp Trust (a sinistra) e Prerence Shiri, ex ministro dell’Agricoltura dello Zimbabwe, all’inaugurazione della prima piantagione industriale di cannabis nel Paese, nella Harare Central Prison, ottobre 2019

3. LIBERALIZZAZIONE: SĂŚ O NO?

Il mercato legale della cannabis è un fenomeno piuttosto recente, in continua espansione dal 2017, tanto che la Commissione sulle sostanze stupefacenti delle Nazioni Unite ha ufficialmente riconosciuto il potenziale terapeutico della cannabis nel dicembre 2020. In Africa si è sviluppato un acceso dibattito interno fra i sostenitori della legalizzazione e chi si oppone, solitamente leader religiosi. Ben presto qualcosa è cambiato. Il Lesotho è stato il primo Paese africano a legalizzare la produzione e il consumo di marijuana per uso medico nel 2017, diventando così il principale esportatore di cannabis nella regione e un produttore esclusivo per l’alta qualitĂ  della materia prima. L’anno successivo anche lo Zimbabwe ne approvò la legalizzazione per scopi medici o scientifici con una legge che permette ai produttori di cannabis di iscriversi al Ministero della SanitĂ  per ricevere l’autorizzazione alla coltivazione sotto stretto controllo statale. Per richiedere la licenza quinquennale è necessaria la cittadinanza zimbabwana e ogni produttore privo di licenza sarĂ  soggetto a una pena di 12 anni di reclusione. I compratori potranno essere universitĂ , ospedali, industrie farmaceutiche, farmacie e lo stesso Ministero della Salute, con il Governo che prevede per il 2021 entrate per 1,25 miliardi di dollari dalla vendita delle licenze. Oltre a Lesotho e Zimbabwe, i Paesi africani che hanno legalizzato la coltivazione della cannabis per scopo industriale e medico sono l’Uganda, il Sudafrica, il Malawi e lo Zambia, mentre la questione si sta attualmente discutendo anche in Ghana, Eswatini (Swaziland) e Ruanda. Che sia l’inizio di un progetto pilota per trasformare i “vizi” in virtĂą dell’Africa?

Francesca Carlotta Brusa

Photo by AV_Photographer is licensed under CC BY-NC-SA 

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Perchè è importante

  • Per circa un secolo la coltivazione e la produzione di cannabis in Africa sono state proibite, stimolando la crescita della criminalitĂ  organizzata e della povertĂ .
  • Aprire il commercio legale di cannabis all’Africa scatena i timori di chi prevede una fase di neocolonialismo.
  • Sono vari i Paesi africani che recentemente hanno legalizzato la cannabis per uso medico o scientifico, aprendo così un dibattito nel Continente.

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Francesca Carlotta Brusa
Francesca Carlotta Brusa

Francesca Carlotta Brusa, 27 anni, da Imola, Emilia-Romagna. Laureata in Relazioni Internazionali alla LUISS Guido Carli a Roma, curiosa lettrice di geopolitica e appassionata di tematiche riguardanti la transizione sostenibile, la just resilience e il cambiamento climatico. Amante dell’Africa, del cibo, dei cani e delle passeggiate, ma anche di un sacco di altre cose, fra cui gli Avengers e i libri che si basano su fatti realmente accaduti.

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