Il confronto bipolare è del tutto tramontato? La crisi in Ucraina riaccende le tensioni e inaugura nuove sfide globali in cui Russia e Usa sono protagonisti
UNO SCOMODO EREDE? – Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, la Russia ne ha preso il posto. Un ‘erede’ che ha continuato a rappresentare la principale minaccia geopolitica degli Stati Uniti. Le relazioni fra Russia e Stati Uniti, sin dal loro inizio, si sono mosse nel solco dell’integrazione e del dialogo. In particolare, le due potenze si sono preoccupate di collaborare in tre ambiti: i negoziati sugli armamenti nucleari, i tentativi di giungere a un’istituzionalizzazione dei rapporti fra Russia e Occidente e l’intensificazione dei reciproci legami commerciali e finanziari.
Per quanto riguarda i negoziati sugli armamenti nucleari, si è assistito a risultati quasi soddisfacenti, se consideriamo che l’accordo “Start” del 2010 abbia determinato una consistente riduzione degli arsenali nucleari russi e statunitensi. Un successo minore si è ottenuto con i tentativi di legare sul piano istituzionale Russia e Occidente: nel 2002 è stato istituito un Consiglio Nato-Russia, al fine di promuovere la collaborazione e la consultazione, ma questo si riunisce solo due volte all’anno, ottenendo scarsi risultati per la rigidità fra le parti. L’integrazione economica ha disatteso le aspettative: la Russia si è aperta soprattutto agli investimenti cinesi, rallentando in tal senso forme di integrazione economica con l’occidente, e negli ultimi anni la sua economia si è caratterizzata per la presenza di capitalismo oligarchico. Non va poi dimenticato che nel 1998 la Russia fu ammessa nel club dei Paesi più industrializzati del mondo, il G8. Tuttavia in quest’ambito non ha mai mostrato molta affinità rispetto altri membri, né dal punto di vista della cultura politica interna, né da quello delle alleanze e delle politiche internazionali.
I limiti di questa integrazione vanno rintracciati sia nell’incoerenza e nella lentezza della transizione post-sovietica, quanto nelle politiche realiste degli Stati Uniti, interessati a svolgere sempre ruoli da protagonisti nelle aree più strategiche del pianeta (Medioriente, Europa orientale, Asia). L’espansione della NATO, ormai giunta ai confini russi, e il sostegno americano a forze politiche filo-occidentali in Ucraina e Georgia, hanno fatto riemergere in Russia sentimenti di ostilità nei confronti degli Stati Uniti. Queste tensioni sono culminate dapprima nella guerra russo-georgiana dell’estate 2008, poi nell’attuale crisi ucraina. Non vanno poi dimenticate le posizioni dissidenti assunte nelle crisi balcaniche e nelle primavere arabe, dove l’importanza strategica delle aree in questione ha coinvolto l’attività diplomatica di Russia e Stati Uniti.
VENTI DI GUERRA FREDDA – A venticinque anni dalla fine della Guerra Fredda gli equilibri geopolitici appaiono tutt’altro che stabili e le due potenze in questione si ritrovano spesso a giocare importanti partite strategiche. Ciò avviene perché, forse, la Guerra Fredda non è mai realmente finita. La sua radice è geopolitica, prima ancora che ideologica. Quel che conta per gli Stati Uniti è frenare l’espansione russa in Eurasia, ciò che interessa alla Russia è spingere la frontiera occidentale il più lontano possibile dai propri confini. Gli Stati Uniti hanno scelto di non infliggere il colpo finale alla Russia dopo il collasso dell’Unione Sovietica, per evitare di gestire le rovine dell’impero sovietico. Così la scintilla della Guerra Fredda non si è del tutto spenta, anzi, di tanto in tanto corre il rischio di esplodere.
L’Ucraina è solo l’ultimo teatro di affronto. Come non era difficile prevedere, l’uso della forza militare è stato scongiurato per risolvere l’attuale crisi, ma ciò nonostante Putin tiene il pugno di ferro e ha ottenuto quasi due mesi fa l’annessione della Crimea. Visto agli occhi degli occidentali come uomo scomodo, negli ultimi mesi il Presidente russo si è comportato come un abile stratega rispetto ai rivali. Nel settembre 2013 ha evitato l’intervento americano in Siria offrendo il suo impegno a garantire il disarmo chimico siriano, sfruttando gaffe e indecisioni dei colleghi occidentali (si pensi al discorso del Segretario di Stato americano John Kerry, che durante un discorso a Londra, garantì la scongiura dei raid americani nel caso in cui la Siria avesse consegnato per intero il proprio arsenale chimico), oggi sembra riuscire a bloccare i tentativi di UE e NATO di allargarsi e inserirsi in Ucraina, per evitare di ritrovarsi gli acerrimi rivali nel “cortile di casa”. In questo panorama è rientrata la Crimea, regione che assume un connotato strategico fondamentale per Mosca. Tutto ciò dimostra la leadership con cui Putin gestisce le relazioni internazionali. Il Presidente russo, forte del potere che ha stabilito in patria, è deciso rilanciare lo status politico-diplomatico della Russia a livello internazionale, per questo è disposto a ostacolare i progetti e le strategie americane. È risaputo che il capo del Cremlino sia un uomo nostalgico dell’URSS – struttura economica a parte – quindi non è difficile scorgere il suo desiderio di costruire una specie di unione euroasiatica, che tenga unite sia sul piano geopolitico, sia su quello culturale le repubbliche dell’ex Unione Sovietica, fra le quali appunto l’Ucraina. In questa chiave è molto più semplice capire perché la Russia non gradisce uno spostamento di campo di Kiev. I tentativi di corteggiamento di UE e NATO nei confronti dell’Ucraina scombussolerebbero le ambizioni del Presidente russo, il cui disegno comprenderebbe anche le repubbliche baltiche.
LA BATTAGLIA DEL GAS – L’arma di ricatto più efficace di Putin è finora il gas naturale, grazie al colosso Gazprom, che ha che ha minacciato di tagliare le forniture di gas all’Ucraina se Kiev non salderà il suo debito di 1,8 miliardi di dollari. Come conseguenza di tale gesto non va escluso il possibile tentativo dell’Ucraina, che dipende per oltre il 50% dei propri consumi dalle forniture di Gazprom, di sottrarre parte dei volumi di gas destinati all’Europa per utilizzarli sul mercato interno. Dal canto suo, Mosca potrebbe decidere di tagliare le proprie forniture energetiche ai Paesi europei, ma ciò si rivelerebbe un boomerang economico per la Russia, considerando che i suoi maggiori acquirenti sono proprio gli europei. In realtà il Cremlino si sta già guardando attorno per indirizzare le esportazioni di gas verso altri mercati, tagliando fuori l’Europa, ma sa di non poter permettersi questa mossa nel breve periodo.
Il problema energetico non tocca invece gli Stati Uniti. Il boom della produzione Usa di gas naturale, dovuto principalmente alle nuove tecniche che permettono l’estrazione del gas di scisto, lo shale gas, induce la Casa Bianca a inaugurare una diplomazia energetica che permetterebbe agli Stati Uniti di ridurre le vendite di gas naturale russo, mettendo in difficoltà il Cremlino. La suddetta strategia avrebbe riscontrato anche un giudizio positivo dei repubblicani. Tuttavia Obama teme che, in seguito a queste mosse, la Russia possa avvicinarsi repentinamente alla Cina mettendo a rischio il più ambizioso progetto strategico dell’amministrazione democratica, il Pivot to Asia. Per questo motivo molti analisti ritengono che la diplomazia energetica statunitense possa essere considerata un bluff.
IL PESO DELLE SANZIONI – Resta da capire che peso avranno le sanzioni nei confronti della Russia. Mosca è già stata esclusa dal G8, il cui vertice si sarebbe tenuto proprio in Russia. Obama e i leader del G7 hanno assicurato che si muoveranno rapidamente, ribandendo la loro condanna per il “tentativo illegale” di Mosca di annettere la Crimea e Sebastopoli. Intanto, vista la caduta libera del rublo e i venti di recessione sull’economia russa, Putin tende il braccio alle elezioni presidenziali del 25 maggio in Ucraina, sospendendo il referendum sulla secessione di Donetsk e Luhansk da Kiev, oltre ad annunciare il ritiro delle truppe russe dal confine. Sembra quindi che le sanzioni economiche stiano dando i loro frutti, anche se gli effetti negativi non hanno risparmiato l’occidente: multinazionali come Carlsberg, Société Générale, Imperial Tobacco e Telenor , tanto per fare dei nomi, hanno registrato cali nei profitti superiori ai 7 punti percentuali. Questo trend negativo ha incoraggiato la diplomazia occidentale a smorzare i toni con Putin. Proprio il Presidente russo ha rivelato che il cambio di rotta verso le elezioni presidenziali ucraine sia avvenuto in seguito a un dialogo con Angela Merkel, costretta negli ultimi mesi a dover affrontare le proteste dei principali industriali tedeschi, preoccupati per le conseguenze delle sanzioni imposte a Mosca.
EQUILIBRI GLOBALI – In ultima istanza è importante comprendere come la crisi Ucraina abbia influito sullo scacchiere globale e sui meccanismi d’alleanza. Da un’analisi di Foreign Policy emerge che, nell’ultimo confronto, Stati Uniti e Russia abbiano fatto ricorso a un notevole dispendio di energie diplomatiche, strategiche ed economiche. Tutto ciò non avrebbe fatto altro che consolidare lo status della Cina, fautrice di una politica abbastanza imparziale in Ucraina. Pechino mantiene buone relazioni con la Russia, ma non fa mistero della sua contrarietà a qualsiasi forma di secessione, pertanto non ha digerito l’annessione della Crimea. Inoltre, la sfida che tiene impegnato Obama nella partita con la Russia distrae gli americani dal loro progetto di insediarsi e guadagnare quote consistenti nei mercati finanziari asiatici. Ciò favorisce la Cina nel consolidare la propria influenza in Asia, limitando le strategie e i piani di Russia e Stati Uniti nella regione.
Infine non va dimenticato l’Iran. Putin, per isolare gli Stati Uniti e consolidare i propri interessi in Medioriente, tende la mano proprio a Teheran. I due Paesi sarebbero vicini a un importante accordo petrolifero, che consentirebbe alla Russia di acquistare 500.000 barili di petrolio al giorno. La Casa Bianca ha espresso grave preoccupazione sull’accordo poiché potrebbe potenzialmente aumentare le esportazioni iraniane di petrolio di oltre il 50%, mandando in frantumi il limite d’esportazione previsto dall’accordo nucleare dello scorso anno firmato a Ginevra, dove fu stabilito per l’Iran il limite d’esportazione complessiva pari a un milione di barili al giorno. La maxi operazione non è ancora stata siglata ma Bijan Namdar Zanganeh, ministro del Petrolio iraniano, ha affermato che la Repubblica islamica è determinata ad aumentare il volume dei suoi “rapporti economici” con la Russia. Gli Stati Uniti sono avvisati e la diplomazia di Obama dovrà ricorrere a nuovi sforzi strategici.
Andrea Ursi