Approfittando del caos in cui è precipitato lo stato iracheno dopo l’offensiva dell’ISIS nel nord del Paese, il Kurdistan, già regione parzialmente svincolata dal controllo di Baghdad, accelera la sua corsa verso l’indipendenza finanziaria e rafforza il suo controllo su aree storicamente contese col governo centrale. Erbil punta forse alla piena indipendenza? E può giocare un ruolo nel frenare l’avanzata sunnita?
ALLEATO AMERICANO – Mentre il Medio Oriente brucia e funeste Cassandre si rincorrono nel predire l’imminente, rovinoso crollo dell’ordine imposto alla regione dall’accordo Sykes-Picot nel 1916, al rischio di frammentazione che minaccia Siria e Iraq sembra accompagnarsi la parallela ascesa di una nuova entitĂ (proto)statale, le cui direttrici di politica estera potrebbero risultare decisive per gli assetti dell’intera area: il Kurdistan Iracheno.
Fin dal 1991, grazie alla no-fly zone imposta dagli Stati Uniti al regime di Saddam a seguito della Guerra del Golfo, questa regione ha conquistato un auto governo de facto, pur limitando le proprie rivendicazioni alla sfera economica senza mai veramente insidiare l’ordine territoriale esistente. L’invasione del 2003 ha visto poi ancora una volta il Kurdistan Iracheno schierarsi al fianco degli americani. La ricompensa per questo supporto si è materializzata nel 2005, quando è stato previsto nella nuova costituzione che il Paese adottasse un assetto federale che garantisse ai curdi un’ampia autonomia sulle tre provincie di Dohuk, Erbil e Sulaymaniyah.
AUTONOMIA GRAZIE AL PETROLIO – Il Kurdistan è riuscito ad ottenere nuova e insperata prosperitĂ tramite la creazione di ampie zone di cooperazione economica transnazionali via via createsi in un Medio Oriente dove i confini statali sono storicamente estremamente porosi, le quali hanno permesso ad Erbil di trovare mercati per le materie prime di cui il territorio curdo è particolarmente ricco, in primis petrolio. Certo, la prospettiva che il Kurdistan si svincolasse dal controllo del governo centrale non è mai stata particolarmente allettante per Baghdad, che si è sforzata in ogni modo di piegare le rivendicazioni curde, non raramente calpestando lo stesso dettato costituzionale.
Sfortunatamente per il governo di al-Maliki, diverse grandi compagnie petrolifere hanno negli ultimi anni iniziato a firmare contratti direttamente con il governo locale curdo scavalcando di fatto Baghdad (che ha minacciato ritorsioni), fornendo così un prezioso assist a Erbil nella sua ricerca dell’indipendenza finanziaria. Il loro calcolo è che, sebbene le riserve petrolifere sotto il diretto controllo del governo centrale siano certamente più ingenti, l’instabilità cronica irachena, aggravata dall’avanzata dell’ISIS e dal rischio concreto che il Paese si frantumi, nonché la presenza di un “business climate” decisamente più favorevole in Kurdistan, giustifichino il rischio di alienarsi le simpatie di al-Maliki per mettere le mani sul più sicuro petrolio curdo.
KURDISTAN BASTIONE CONTRO L’ISIS – Il timore provocato dall’offensiva dell’ISIS, oltre appunto a favorire un piĂą veloce approdo di Erbil   verso l’indipendenza economica, ha poi reso il Kurdistan un attore fondamentale nella delicata partita che Iran e Stati Uniti stanno giocando nella regione. Messa per ora da parte l’ipotesi di una suggestiva quanto improbabile alleanza tra Teheran e Washington, che temono entrambe l’offensiva sunnita e il crollo del governo centrale iracheno, ma che sono al contempo consapevoli che un fronte comune non farebbe altro che rafforzare il reclutamento jihadista, alimentando la convinzione che gli sciiti persiani e l’Occidente stiano complottando assieme per distruggere l’islam sunnita, agli Stati Uniti e all’Iran non resta che sperare che possano essere i peshmerga, l’esercito curdo, ad opporre quella resistenza all’ISIS che l’esercito regolare iracheno sembra essere incapace di fornire.
Tuttavia la posizione di forza in cui si trova attualmente il governo curdo, che ha recentemente approfittato della situazione di instabilità per occupare la città di Kirkuk, storicamente contesa con Baghdad, parrebbe suggerire che Erbil non abbia alcun interesse a farsi trascinare da attori esterni in una lotta contro l’ISIS che rischierebbe di mettere a repentaglio la stessa esistenza di un’entità autonoma curda. Solo se fossero gli stessi sunniti a condurre un’offensiva verso quei territori allora lo scontro si accenderebbe veramente, ma per ora l’ISIS è parso piuttosto intenzionato a puntare verso sud e pochi incidenti di rilievo si sono registrati con i peshmerga.
Per quanto la prospettiva di conquistare anche Mosul (oggi in mano all’ISIS) certamente stuzzichi la fantasia di Erbil, Washington dovrebbe dunque lo stesso scendere a compromessi e fare concessioni importanti se spera di ottenerne il supporto militare. In primis probabilmente al-Maliki e la sua politica settaria e divisiva andrebbero definitivamente sconfessate, quindi sarebbe forse necessaria la promessa di agevolare la vendita del petrolio curdo sui mercati internazionali (ostacolata oggi da Baghdad) e il tacito accordo che i territori riconquistati in questi giorni rimangano nelle mani del governo di Erbil.
 E L’INDIPENDENZA? – C’è chi sostiene che a questo punto i curdi potrebbero addirittura puntare sulla nascita di uno stato indipendente non solo de facto ma anche de iure. In realtĂ , la posizione ufficiale del governo regionale è che l’indipendenza non è oggi in agenda. Dopotutto, un Iraq frammentato, parzialmente in mano agli islamisti e travolto da incontrollabili flussi di profughi, non è decisamente negli interessi di Erbil. Inoltre, lo stesso Kurdistan è al momento diviso e conteso tra due partiti dominanti, che rischierebbero di tramutare presto il sogno di un Kurdistan unito in quello di un Paese dilaniato da scontri tra milizie rivali. Per finire, l’indipendenza economica è in vista ma non ancora raggiunta. Verosimilmente ci si potrebbe approdare nel 2017, ma fino ad allora i fondi provenienti dal governo centrale di Baghdad saranno ancora necessari. Oltretutto, forzare la mano e puntare all’immediata indipendenza significherebbe indispettire senz’altro gli americani, che ancora credono in un Iraq unito, ma soprattutto la Turchia.
Con Ankara Erbil si è sforzata negli ultimi anni di costruire relazioni positive e fruttuose. Il petrolio estratto in Kurdistan viene pompato direttamente verso la Turchia, sempre più assetata di fonti di energia necessarie a sostenere la propria economia, permettendo ai curdi di aggirare i controlli di Baghdad e ricavarsi uno spazio sempre più autonomo nella gestione del proprio greggio (che da accordi andrebbe venduto dal governo centrale in cambio del ricavato della vendita, in teoria il 17%). A sua volta il Kurdistan si è impegnato a non raccogliere le istanze della minoranza curda in Turchia. Evidentemente la nascita di un Kurdistan Iracheno indipendente produrrebbe un effetto calamita nell’area, destabilizzando la Turchia orientale e riaccendendo pericolosi focolai di tensione, che a nessuno, né a Erbil, né ad Ankara, porterebbero alcun bene.
 Pietro Eynard