I disastri preannunciati alla vigilia del Mondiale non si sono avverati. Le partite si sono svolte correttamente, non si sono registrate proteste violente e i brasiliani hanno reagito con relativa compostezza alla batosta subita dai tedeschi. Nonostante abbia ancora molta strada da fare, il Brasile è un Paese più maturo di quanto sembri. Ecco perchè
CONTRO I CATASTROFISTI – Proteste violente al pari di una guerra civile, disagi tali da non consentire il corretto svolgimento delle partite, suicidi di massa in reazione al “Mineiraço” sofferto contro la Germania. I catastrofisti, alla fine, si sono dovuti ricredere e hanno dovuto fare i conti con la realtà di un Mondiale brasiliano che, alla fine, è andato meglio di quanto previsto. Certo, il risultato sarebbe potuto essere ancora migliore se le infrastrutture fossero state ultimate nei tempi – e soprattutto nei limiti delle spese – concordati e se la seleçao avesse vinto la sua sesta coppa. Tuttavia, il dato che ci interessa rimarcare in seguito alla finale di Rio de Janeiro è che il Brasile ha – complessivamente – superato l’esame e dimostrato di essere un Paese maturo politicamente, economicamente e socialmente.
PERCHE’ E’ ANDATA BENE – L’organizzazione non è stata immune da pecche, specialmente nella fase preparatoria alla manifestazione. I lavori degli stadi e delle infrastrutture connesse hanno accumulato pesanti ritardi e le spese previste si sono ‘gonfiate’ rispetto a quanto preventivato, comportando una spesa complessiva di 13 miliardi di dollari, circa il triplo del denaro utilizzato in Sudafrica quattro anni fa. Tuttavia, le strutture si sono manifestate all’altezza e non si sono registrati disagi particolari nell’accedere agli stadi né per quanto riguarda la connettività stradale o aeroportuale.
Per quanto riguarda le proteste, poi, nulla di quanto si temeva è avvenuto. I disordini si sono limitati ad alcuni episodi circoscritti di vandalismo e saccheggio al termine del 7-1 patito dai verdeoro nella semifinale contro la Germania. Perché non si è materializzato lo scenario da guerra civile teorizzato da alcuni profeti di sventure? La risposta va cercata nella natura specifica di queste proteste: non più espressione degli strati più poveri, esclusi ed emarginati della popolazione, ma elaborazione delle rivendicazioni di una classe media che non reclama il “pane” bensì l’accesso a servizi sociali (in ambito sanitario ed educativo) di migliore qualità. Le politiche sociali dei governi Lula e Rousseff sono riuscite a ridurre enormemente la povertà estrema in Brasile e di conseguenza anche a ridurre il distacco tra la gente delle favelas e il resto della popolazione. Questo si è tradotto in un evoluzione del malcontento in una serie di proposte più mature ed articolate, ed è il segno di una popolazione più partecipe e matura.
Matura anche nel senso della capacità di assimilare le delusioni sportive. Mai come in Brasile il calcio è vissuto in maniera viscerale ed è considerato ben più di un semplice sport. Ma, alla fine, la vita va avanti. Al di là di una nazionale e di un movimento calcistico nazionale che dovrà essere completamente rifondato (in questo senso Brasile e Italia non sembrano poi tanto diverse), le vite di duecento milioni di brasiliani proseguono senza scene di isteria collettiva o suicidi in preda alla disperazione e alla vergogna per un risultato su un campo di calcio che non può tuttavia cancellare i progressi compiuti da un’intera nazione nell’ultimo ventennio.
L’EREDITA’ DEL MONDIALE – Se possibile, arriva ora la parte più difficile da gestire: l’eredità del Mondiale. Innanzitutto da un punto di vista economico. Come fare per garantire che le opere costruite e le spese sostenute non si trasformino in un’esplosione del deficit e del debito pubblico, contando anche che tra due anni Rio ospiterà le Olimpiadi? L’impatto positivo sul PIL sarà immediato e si attende un +0.5% aggiuntivo di crescita economica quest’anno, una vera manna in un’economia che da un paio di anni sta arrancando. Ma poi? Esempi del recente passato come la Grecia dovrebbero insegnare come non ripetere certi errori. Qualcosa sembra già muoversi: l’amministrazione del Distretto Federale di Brasilia, per esempio, ha manifestato l’intenzione di privatizzare la bellissima arena Garrincha, costata un investimento di circa mezzo miliardo di Euro. Più complicato sarà garantire la sopravvivenza di “cattedrali nel deserto” come gli stadi di Manaus e Cuiabà, isolati nella regione amazzonica.
Inoltre, la partita si giocherà sul terreno politico, in vista delle elezioni presidenziali di ottobre. Se prima dei Mondiali solo il 45% dei brasiliani manifestava orgoglio per fare parte del Paese organizzatore, la percentuale si è ora alzata al 60%. Questo potrebbe aiutare Dilma Rousseff, che gode comunque ancora di un discreto vantaggio nei confronti dei suoi rivali, Aécio Neves ed Eduardo Campos. Per lo stesso motivo di cui dicevamo prima, difficile pensare che la pessima performance della nazionale brasiliana possa affondare la carriera politica di Dilma. È ora il momento per il Brasile di confermare di essere davvero un Paese moderno e meritevole di fare parte delle grandi potenze mondiali.
Davide Tentori