In 3 sorsi – Il saccheggio del museo di Baghdad nel 2003 rappresenta un singolo episodio nella cronologia dei furti di reperti storici all’interno dei siti archeologici iracheni. Il mercato clandestino dei beni culturali, con un volume d’affari rilevante, si è trasferito quasi completamente sul web, a causa dell’attuale pandemia.
1. IL SACCHEGGIO DEL MUSEO DI BAGHDAD NEL 2003
Nella primavera del 2003, nel corso dell’invasione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti, il museo di Baghdad venne ripetutamente saccheggiato, con la conseguente perdita di numerosi oggetti di valore, tra cui reperti archeologici risalenti alla civiltà sumera, assira e babilonese. Jonathan Steele, nel suo articolo per il The Guardian di aprile 2003, spiega come all’epoca l’esercito USA presente a Baghdad non avesse accolto le richieste locali finalizzate alla tutela dei reperti conservati nel museo, lasciando la struttura in balia degli eventi e delle bande locali. Nonostante il museo fosse scampato ai bombardamenti, circa l’80% dei reperti allora conservati furono rubati o distrutti. Tali furti non vennero perpetrati da professionisti, bensì da persone comuni che approfittarono del momento di conflitto. Secondo il diritto internazionale sul patrimonio culturale, Baghdad invasa ricadeva sotto la responsabilità delle truppe occupanti, tuttavia gli USA negarono ogni implicazione circa l’episodio del museo. La vicenda ebbe una certa risonanza, sebbene non rappresentasse un evento singolo e isolato. In seguito alla prima guerra del Golfo del 1990 e alle conseguenti sanzioni imposte all’Iraq, la grave crisi economica e sociale causò l’aumentare di saccheggi all’interno dei siti archeologici. La comunità internazionale lanciò diversi appelli alle nazioni circostanti affinché venisse adottata una certa etica contro il traffico di opere e reperti archeologici. Nonostante ciò solamente in seguito al saccheggio del museo di Baghdad le Nazioni Unite elaborarono una risoluzione (2003) che intendeva sottolineare la necessità di tutela del patrimonio storico, archeologico e culturale dell’Iraq. Si richiedeva inoltre la restituzione dei reperti prelevati illegalmente dai siti storici e culturali iracheni, imponendo al contempo il divieto di commercio o trasferimento di tali oggetti, inseriti in seguito all’interno di una red list.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Museo Nazionale di Baghdad, novembre 2018
2. RISOLUZIONI PER CONTRASTARE IL TRAFFICO CLANDESTINO DI ANTICHITĂ€
In situazioni di caos e conflitti i siti archeologici possono trasformarsi in obiettivi bellici o subire saccheggi e devastazioni. In tal caso scavi clandestini finalizzati al prelievo di reperti rivelano spesso l’utilizzo di tecniche scientifiche che presuppongono a loro volta determinati strumenti e conoscenze di carattere archeologico. A partire da tali fonti prende avvio una vera e propria catena: molti reperti storici entrano a far parte di un mercato clandestino per essere poi rivenduti nell’area del Golfo o in Europa, soprattutto attraverso canali online, per cui risulta difficoltoso fermarne la distribuzione illecita. Nel 1970 l’Unesco ratifica la prima Convenzione internazionale mirata a contrastare il traffico clandestino di antichità attraverso la condanna nei confronti di qualsiasi trasferimento illegale di beni culturali. In seguito all’affermarsi delle milizie di Daesh In Iraq e Siria, le Nazioni Unite adottano nel 2015 una risoluzione finalizzata a condannare qualsiasi commercio con i gruppi terroristici, oltre che le distruzioni del patrimonio storico e culturale nei territori interessati. Attraverso tale strumento si intende ostacolare il traffico illecito di reperti archeologici e oggetti d’arte, una cospicua fonte di finanziamento per i miliziani. Peter Campbell pone il commercio illegale di antichità tra le maggiori risorse per i trafficanti: un mercato di enorme valore che tuttavia non può essere quantificato in modo preciso in quanto complesso da accertare. Appare chiara la scarsa adeguatezza delle leggi nei confronti del furto di antichità , debolmente percepito come crimine da parte dell’opinione pubblica in generale.
3. LA PANDEMIA TRASFERISCE IL MERCATO SUL WEB
Il 2020 ha profondamente colpito l’Iraq. Gli effetti della pandemia hanno aggravato la situazione economico-politica, causando di fatto diverse difficoltĂ nell’approvazione di aiuti economici e misure a tutela della salute pubblica. A partire dall’autunno del 2019 si protraggono le proteste in diverse aree del Paese, contribuendo a una forte instabilitĂ sociale. Tali fattori hanno altresì favorito l’evolversi del traffico illecito dei beni culturali, andando a finanziare il mercato nero di livello globale. Paolo Fontani, direttore dell’ufficio Unesco di Baghdad, in un’intervista a France24 ha sottolineato il fatto che i siti archeologici e i musei si trovino attualmente in uno stato di abbandono causato da un inesistente movimento di persone per le restrizioni dovute alla situazione sanitaria. Tale abbandono facilita dunque l’accesso a siti di interesse storico-culturale e di conseguenza i furti al loro interno. L’aumento generale delle attivitĂ online nell’ultimo anno ha riguardato anche il traffico clandestino di antichitĂ , trasferitosi quasi completamente nel mondo del web e dunque difficilmente monitorabile. Nel frattempo, fronteggiando una grave crisi sanitaria ed economica, l’Iraq si prepara alle prossime elezioni pianificate a giugno e poi posticipate a ottobre 2021. La questione della preservazione del patrimonio culturale resta comunque cruciale in un’ottica di ricostruzione del Paese.
Egle Milano
Immagine di copertina: “mesopotamia, iraq – assyrian gateway” by Xuan Che is licensed under CC BY