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A volte ritornano…

Il colpo di stato attuato dalla forze militari thailandesi nel 2006 segnò la fine della stagione di governo di Thaskin Shinawatra. Dopo quell’evento il suo partito vinse nuovamente le elezioni, nel 2008, ma le accuse di corruzione, abuso di potere e di populismo costrinsero il Premier alle dimissioni e all’esilio nell’emirato arabo di Doha. Nonostante ciò, nel corso di tutti questi anni, egli non ha mai perso il suo carisma, il suo piglio e la sua influenza nella vita politica thailandese

 

LA PALLIDA POLITICA DI ABHISIT – Il governo di opposizione, guidato dal PAD (People’s Alliance for Democracy) dell’ormai ex Primo Ministro Abhisit Vejjajiva, e sostenuto dal movimento a sostegno e difesa della monarchia delle yellow shirts – salito al potere dopo l’esilio di Thaksin – nonostante gli sforzi e l’adozione di un programma politico pseudo-populista sulle orme di quello del predecessore non è riuscito ad avere la giusta presa sulla popolazione.

Il periodo di stagnazione in cui è entrata l’economia thailandese a partire dal 2006, l’irrisolto conflitto con la Cambogia a causa della disputa confinaria per il controllo dell’antico tempio khmer di Preah Vihear e l’opposizione pro-Thaksin facente capo al nuovo partito UDD (Union for Democracy against Dictatorship) e al fortissimo movimento di protesta delle red shirts, hanno profondamente minato le basi del governo di Abhisit costringendolo ad indire una nuova tornata elettorale solo due anni dopo l’inizio del suo mandato.

 

UN IMPORTANTE CAMBIO DI ROTTA – Le nuove elezioni furono indette il 9 maggio dopo lo scioglimento delle Camere da parte dell’ex Primo Ministro e l’apposizione della firma del Re sul medesimo decreto. I thailandesi andarono alle urne il 3 luglio scorso.

Il periodo precedente le elezioni è stato caratterizzato dalla tensione su tutti i fronti e più volte si è temuto che potessero scoppiare nuovamente violenti scontri come quelli verificatisi tra aprile e maggio dello scorso anno, dove persero la vita 91 persone.

Fortunatamente queste paure si sono rivelate prive di fondamento e le elezioni si sono svolte senza scontri e violenze. La partecipazione popolare è stata molto vasta e ha sancito la vittoria assoluta di Yingluck Shinawatra, la sorella minore di Thaksin. La conferma della volontà popolare è arrivata in seguito anche dal voto del Parlamento, con 296 deputati a favore, 3 contrari e 197 astenuti.

Lo stesso Abhisit ha riconosciuto la sconfitta e si è dimesso da capo del suo partito, il potente comandante dell’esercito ha dichiarato di non avere intenzione di intervenire per ribaltare il risultato politico così come era avvenuto nel 2006 e che l’esercito non si intrometterà nella politica nazionale accettando il responso delle urne.

A tal proposito, non può essere sottovalutato un aspetto, geografico e politico allo stesso tempo, molto importante in grado di dare delle risposte in merito al successo del leader in esilio e delle red shirts: Thaksin ha i suoi maggiori sostenitori soprattutto nelle zone rurali e piĂą povere del nord nord-est del paese, dove attraverso la sua politica populista è riuscito a guadagnarsi la fiducia della popolazione a prescindere dai risultati conseguiti dal suo governo, e quando necessario è riuscito a controbilanciare il suo potere con quello della casa reale cedendo talvolta il passo alle esigenze dell’aristocrazia. Al contrario il partito democratico – espressione della monarchia e dei ceti piĂą ricchi e minoritari della popolazione – si è radicato soprattutto nella capitale e al sud del paese senza riuscire a guadagnare l’appoggio delle fasce piĂą disagiate.

 

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IL PREZZO DA PAGARE PER IL CONSENSO DELLE OPPOSIZIONI – Certo da questo momento sarĂ  la sorella minore di Thaksin a dover formalmente garantire il rispetto e l’attuazione del programma elettorale – di stampo populista come quello del fratello – ma la maggioranza dei thailandesi sa chi c’è effettivamente alla guida del paese.

Il nuovo governo nasce quindi con alle spalle la pesante ombra dell’ex Premier. Tra l’altro sono in tanti a pensare che sia stato lui stesso a scegliere i membri del gabinetto convocandoli prima della nomina per dei colloqui privati a Dubai o nel Brunei, e a scegliere di lasciare fuori da qualunque incarico i capi del movimento delle red shirts eletti con il Puea Thai. Questa decisione, per quanto Thaksin sia consapevole che la vittoria di sua sorella e quindi sua, sia dovuta proprio al sostegno di questi ultimi, è legata alla effettiva convinzione che concedere troppo al movimento potrebbe allarmare nuovamente le yellow shirts, le quali per il momento hanno adottato una posizione politica di attesa e di giudizio in base ai risultati concreti e lo stesso esercito – strenuo difensore della casa reale e dello status quo – che si è detto favorevole alla nascita di un governo formato dal Puea Thai Party solo in cambio della promessa da parte dello stesso Thaksin di tenere a freno gli elementi antimonarchici presenti nel suo partito e di non intervenire nel campo degli affari militari.

L’utilizzo di questa strategia lascia senz’altro intendere la volontà del nuovo governo, così come espressa nello stesso programma elettorale, di dare avvio al percorso di riconciliazione nazionale che, secondo le dichiarazioni di Yingluck dovrebbe avvenire attraverso la formazione di un’ulteriore commissione d’inchiesta indipendente, da affiancare a quella già esistente per l’accertamento dei fatti della primavera del 2010. Non solo la stessa Premier si è dimostrata molto cauta inserendo tra i suoi obiettivi la celebrazione del compleanno del Re e facendogli un elogio pubblico durante l’inaugurazione del suo nuovo incarico.

Tutto ciò non può non far pensare che dietro questo avvio di riconciliazione ci siano degli accordi raggiunti dietro le quinte tra Thaksin, la casa reale e gli alti vertici militari già prima delle elezioni.Thaksin e il movimento delle red shirts sono percepiti come la più grande minaccia al potere tradizionale, ma probabilmente attraverso questi accordi preliminari almeno per ora sarà improbabile un ritorno in piazza delle yellow shirts.

 

IL PROBLEMA DELL’AMNISTIA GENERALE – Yingluck sembra estremamente cauta anche a proposito dell’eventuale legge che dovrebbe concedere al fratello di rientrare in patria da cittadino libero. Questa, infatti, è sicuramente la mossa piĂą a rischio capace di riportare le masse in piazza, se non un altro golpe. Certamente la possibilitĂ  di un’amnistia per tutti, non solo per le red shirts, ma anche per l’ex Premier Abhisit, accusato in quell’occasione di aver usato eccessiva forza contro i dimostranti, potrebbe essere un gesto di conciliazione nazionale ma rimarrebbero comunque dubbi molto forti sulle reazioni che un ritorno dall’esilio di Thaksin potrebbe provocare. Per i suoi oppositori c’è senz’altro una netta differenza tra il vederlo tirare le file della politica nazionale dall’estero e dargli la possibilitĂ  di fare un ritorno trionfale in patria.

Insomma il successo di questo governo è senz’altro legato alla controversa figura di Thaksin – che legalmente non può partecipare alla vita politica fino a maggio 2012 -, alle alleanze e agli accordi che riuscirĂ  a stringere e alle soddisfazioni che riuscirĂ  a dare ai gruppi d’interesse che si trovano sotto il suo ombrello politico. Questi saranno i fattori che determineranno in larga parte la stabilitĂ  e la longevitĂ  del nuovo governo, anche perchĂ© Yingluck è considerata una principiante della politica quindi poco adatta a governare senza i consigli e le direttive del fratello.

 

Marianna Piano

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