Gravemente ignorata dagli attori internazionali e dai media, la crisi in Libia continua e rischia di rendere definitivamente il Paese mediterraneo uno Stato fallito, destabilizzante per tutti i vicini. In 3 sorsi un aggiornamento sulla situazione del Paese.
1. LA SITUAZIONE SUL CAMPO – Da oltre un mese la capitale, Tripoli, è sotto il controllo delle milizie islamiche riunite sotto la sigla di Alba Libica. Allo stesso modo, anche Bengasi è nelle mani dei gruppi islamisti, sebbene ormai circondata dalle truppe del generale Haftar. Ciò che si presenta è una divisione interna del Paese che ripercorre all’incirca i confini fra Tripolitania e Cirenaica: la prima “occupata” del Congresso nazionale generale (General National Congress – GNC), assemblea parlamentare a maggioranza islamista, la seconda controllata invece dal Consiglio dei rappresentanti (Council of Representatives – COR), parlamento laico emerso dalle elezioni della scorsa estate e attualmente radunato a Tobruch. La parte meridionale del Paese è invece divisa tra le tribù che tradizionalmente la popolano, coinvolte in minor misura negli scontri che coinvolgono invece ampiamente le fazioni a nord.
Per quanto riguarda il coinvolgimento internazionale nelle vicende libiche, continua, sebbene senza regolarità secondo quanto riportato dall’International Crisis Group, il supporto aereo egiziano in favore del COR, mentre aumenta la presenza di combattenti islamisti stranieri, tra i quali si riportano anche elementi vicini allo Stato islamico.
2. LA SITUAZIONE POLITICA – Come è possibile evincere da quanto appena riportato, continua lo stallo a livello politico. Non si intravedono spiragli o possibilità di miglioramento nei rapporti tra le fazioni, che ancora rifiutano di riconoscere alcuna legittimità alle controparti. Sotto gli auspici di UNSMIL, missione della Nazioni Unite in Libia, hanno avuto luogo il 29 settembre dei colloqui presso la città di Gadames. Le speranze di un cessate-il-fuoco sono svanite rapidamente quando il giorno successivo Alba Libica ha affermato che l’unico modo per porre fine ai combattimenti sia il disarmo dei suoi avversari e l’arresto dei leader.
Combattenti di Alba Libica nei pressi dell’aeroporto di Tripoli
3. I RIFUGIATI IN TUNISIA – Un effetto degli scontri in Libia che non deve essere dimenticato è il flusso di rifugiati che giungono in Tunisia. Si tratta in parte di persone coinvolte nei combattimenti alla ricerca di un ricovero presso gli ospedali tunisini, ma la maggior parte sono semplicemente in fuga dal conflitto. Sono diversi i campi preparati da svariate agenzie per portare assistenza, ma far fronte alla situazione pone serie sfide. Secondo quanto affermato da un medico della Mezzaluna rossa tunisina, in agosto il numero di persone che ogni giorno attraversavano il confine era pari a 6mila. Flussi difficili da gestire e che possono destabilizzare la situazione interna di Paesi già fragili come la Tunisia, essa stessa alle prese con il consolidamento delle Istituzioni emerse a seguito della rivoluzione. La Tunisia terrà infatti elezioni sia il 26 ottobre che il 23 novembre, le prime parlamentari e le seconde presidenziali, al fine di eleggere le nuove cariche dopo l’approvazione della nuova Costituzione. Le divisioni tra gli esponenti politici crescono, accentuate dalla campagna elettorale, e si sono registrati diversi episodi di violenza.
Matteo Zerini
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
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