Le negoziazioni tra Stati Uniti e Unione Europea per la definizione del Partenariato transatlantico su commercio e investimenti procedono. Ma chi sono gli attori non statali che le influenzano maggiormente?
TTIP: CHE COS’È – Nel luglio del 2013 le delegazioni degli Stati Uniti e dell’Unione europea hanno formalmente avviato una serie di incontri per la definizione del Transatlantic Trade and Investments Partnership, il nuovo Partenariato transatlantico, anche conosciuto come TTIP. Prima dell’inizio delle negoziazioni, in virtù di un’idea già condivisa dalle parti, era stato istituito un Gruppo di lavoro ad alto livello, che si era occupato di studiare la fattibilità dell’accordo e di formulare delle raccomandazioni da utilizzare come base di partenza per la concertazione. L’obiettivo fondamentale del TTIP è la semplificazione delle relazioni commerciali tra Unione europea e Stati Uniti attraverso l’abbattimento dei dazi e delle barriere tariffarie e non (sussidi, legislazione antitrust, appalti e commesse pubbliche, regolamentazioni) in una serie di settori.
IL PROBLEMA DELLA TRASPARENZA – In aggiunta alle discussioni su benefici e criticità che l’avvio del Partenariato comporterebbe, una spinosa questione che riguarda i negoziati è quella della trasparenza. Questo problema, da tempo correlato ai processi di lobbying dell’Unione europea, sembra infatti amplificarsi durante le negoziazioni per il TTIP. Consapevole del fatto, già prima dell’inizio delle consultazioni, la direzione generale (DG) Commercio della Commissione europea ha avviato delle procedure di consultazione pubblica sul TTIP, che coinvolgono anche le altre DG competenti per materia (Agricoltura, Impresa, Ambiente, Comunicazione): tra gli scopi principali l’aumento del livello di trasparenza e del coinvolgimento della società civile nel sistema. Ma rispetto al raggiungimento di questi obiettivi, sono emerse alcune criticità, che si intrecciano a doppio filo con il tipo di soggetti che stanno maggiormente esercitando lobbying sull’approvazione del TTIP.
LOBBYING E TTIP – Un primo aspetto riguarda la rilevanza delle lobby del settore industriale privato, che come già avvenuto altre volte in passato stanno avendo un ruolo di primo piano nelle negoziazioni, principalmente a scapito delle lobby portatrici di interessi pubblici, come le associazioni di categoria o quelle per la tutela dei consumatori. Stando a un rapporto riferito al periodo di consultazioni pubbliche gennaio 2012-aprile 2013 pubblicato dal gruppo Corporate Europe Observatory (che da diversi anni analizza il lobbying sulle Istituzioni europee criticandone soprattutto la mancata trasparenza), anche stavolta gli interessi maggiormente rappresentati sono stati quelli delle lobby legate al settore industriale. Infatti, dei 560 incontri di preparazione alle negoziazioni organizzati dalla DG Commercio, solo 26 hanno coinvolto gruppi di pubblico interesse, mentre i restanti 534 hanno coinvolto lobby legate ai settori economici più rilevanti per il Partenariato.
LE LOBBIES PIÙ INFLUENTI – Secondo Corporate Europe Observatory, le industrie europee del settore agroalimentare sono quelle che hanno esercitato maggiori pressioni sulla DG Commercio durante le fasi di preparazione dei negoziati. Seguono le lobby rappresentative di interessi trasversali (come le unioni industriali) e poi quelle legate a telecomunicazioni e informatica, automobili, ingegneria, prodotti chimici, finanza, tecnologie per la salute, audiovisivi e farmaci. Il forte coinvolgimento delle lobby legate al mondo dell’industria agricola e alimentare aumenta i dubbi rispetto alla possibilità che il TTIP porti a una diminuzione delle tutele per ciò che riguarda l’uso dei pesticidi e degli OGM, che oggi sono molto più stringenti nell’Unione europea rispetto agli Stati Uniti. Guardando ai soggetti più influenti, si incontra inoltre un secondo problema, che è quello relativo al tipo di lobby coinvolte e alla loro attività in seno all’Unione. La maggior parte di queste appartiene al panorama europeo (tra l’altro con uno scarso, se non nullo, coinvolgimento dei Paesi dell’area orientale), ma una discreta percentuale è di provenienza statunitense. Circa il 30% delle lobby che sono state coinvolte nelle consultazioni non è inserita nel Registro per la Trasparenza, e nulla dunque si sa sulla sua effettiva attività all’interno dell’Unione: una ulteriore dimostrazione che la registrazione su base volontaria potrebbe non portare agli effetti sperati.
QUALCOSA STA CAMBIANDO? – Non sembra. Un altro gruppo che si occupa di trasparenza e lobbying nell’Unione europea, Friends of the Earth Europe, ha a sua volta ricercato informazioni sulle lobby coinvolte nei negoziati TTIP. Dopo un’apposita richiesta fatta alla Commissione, i membri del gruppo sono riusciti a ricostruire quale sia stato l’andamento dei colloqui tra luglio 2013 e febbraio 2014, dando così la possibilità di verificare se vi siano state variazioni rispetto all’analisi di Corporate Europe Observatory. A eccezione della DG Ambiente (che ha ascoltato portatori di interessi pubblici in cinque incontri sui sei totali), nelle altre direzioni generali la maggior parte degli incontri ha coinvolto soggetti rappresentanti il mondo industriale. Concentrandosi sulla DG Commercio, su un totale di 154 incontri, 113 sono stati con membri dell’industria, a fronte di 19 con portatori di interessi pubblici. La difficoltà di reperimento di informazioni inerenti alle negoziazioni rappresenta la terza sfaccettatura del problema della trasparenza e riguarda sia l’effettiva partecipazione delle lobby, sia i reali termini dell’accordo.
L’assenza di trasparenza e le forti pressioni del settore industriale sulle negoziazioni stanno alimentando manifestazioni di protesta in molte parti dell’Unione, sintomo del malcontento per un accordo dai termini non molto chiari (sembra essere servita a poco la recente pubblicazione del mandato di negoziazione, appositamente desecretato) che quando entrerà in vigore avrà ampio impatto non solo sugli attori economici, ma su tutti i cittadini dell’Unione.
Giulia Tilenni
[box type=”shadow” ]Un chicco in più
Il rapporto di Corporate Europe Observatory, pubblicato lo scorso luglio, ha condotto le proprie ricerche considerando simultaneamente tre canali informativi: i contributi presentati alla Commissione durante il periodo della consultazione pubblica, i soggetti che si sono registrati per la partecipazione ai meeting di dialogo con la società civile indetti dalla Commissione e una lista (appositamente richiesta alla Commissione) di portatori di interessi ascoltati durante audizioni a porte chiuse. Il periodo preso in esame è ridotto, perché dopo aprile 2013 non è stato possibile reperire informazioni per tutti e tre i canali informativi. [/box]
Foto: garryknight