Parliamo del recente attentato a Peshawar e delle prospettive per il Pakistan con Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera. Gli avvenimenti in Pakistan riportano alla cronaca un Paese che ha nel suo DNA i golpe e la destabilizzazione. In molti hanno provato a domare queste zone, ma nessuno ce l’ha fatta. Come sottolineava Winston Churchill, si tratta di popoli fieri, combattenti, che tendono all’indipendenza.
Lorenzo, di chi è la responsabilità di quanto accaduto in Pakistan?
In realtà non c’è niente di nuovo. Quello che cambia è la quantità e la qualità dei morti. Il Pakistan è storicamente destabilizzato dalla sua nascita e diviso tra diverse etnie, delle quali la più forte è la pashtun, condivisa con l’Afghanistan. Negli ultimi venti anni, con la lunga serie di golpe nel Paese, sono stati inflitti colpi terrificanti ai suoi vertici.
Come hai detto, il Pakistan fa parte di una zona destabilizzata da sempre. Perché questo attentato colpisce più degli altri?
Perché è stato fatto contro i bambini. Ma questa è una zona di guerra. Peshawar è attaccata costantemente e alle bambine è vietato andare a scuola. Ricordo negli anni gli attentati a Karachi, al Marriot di Islamabad, i tentativi di uccidere Musharraf. Stavolta i talebani hanno attaccato i figli dei militari pakistani per far capire loro il dolore di quando sono essi stessi a perdere i propri di figli, uccisi dall’esercito nel Waziristan, zona tribale del Pakistan a sud di Kandahar, vicino alla regione meridionale dell’Afghanistan dove, secondo le stime, sono morti tra i 2.000 e i 3.500 giovani talebani. È evidente che stavolta i talebani pakistani si sentono più forti, come tutto l’universo talebano, del fatto che la coalizione internazionale si stia ritirando.
Ti riferisci al ritiro della coalizione internazionale dall’Afghanistan?!
Sì. Noi guardiamo agli italiani, che lasceranno in circa 750, ma la maggioranza è costituita dalle forze americane e inglesi, che in questi anni hanno sostenuto le forze afghane.
Mi spiegavi però che non sarà un vero e proprio ritiro, anzi gli americani saranno più operativi…
Obama ha detto che gli americani avranno compiti più operativi, non saranno più addestratori, ma delle teste di cuoio che potranno agire anche di notte contro chiunque cerchi di destabilizzare il Paese.
Questo avrà delle conseguenze anche in Pakistan, Paese in cui regna l’ambiguità, di cui non ci si fida, come spesso sottolinea il Governo statunitense?
Certamente, è un Paese soggetto ai golpe nel suo DNA e se i politici non piacciono vengono fatti fuori dall’esercito. Una parte dei militari ha un ottimo rapporto con il mondo dell’estremismo islamico, vede nei pashtun alleati che combattono contro l’India e per questo nel Kashmir li protegge. Nel contempo, l’altra parte dell’esercito – poiché i militari sono finanziati dagli americani – “accontenta” gli USA, recita il ruolo dell’esercito buono.
La leadership però, e mi riferisco agli apparati di sicurezza militare, ritiene che il maggior nemico per il Pakistan e l’India siano le forze occidentali e vede nei talebani gli alleati. Come dire Lorenzo, i talebani sono lì e non possono essere ignorati.
L’attentato dimostra questo. Ultimamente ha prevalso l’elemento moderato dei militari? Questo ai talebani non va bene e fanno sentire la loro voce.
In tutto ciò che ruolo gioca l’ISI (servizi segreti pakistani)?
L’ISI ha storicamente aiutato, armato e sostenuto gli estremisti islamici sunniti di etnia pashtun. Una delle più grandi ambiguità di cui si parla troppo poco è che Osama bin Laden sia stato ucciso ad Abbottabad, ovvero la città dei militari pakistani. In mezzo alle loro villette viveva bin Laden, un caso?!
Soldati pakistani in pattugliamento nella sensibile regione del Waziristan
Tu hai potuto intervistare, unico giornalista italiano, il famoso Radio Mullah, Mullah Maulana Fazlullah. Che ricordi hai dell’intervista?
Radio Mullah è quello che ha distrutto i buddha nella valle di Swat. Ricordo i numerosi talebani presenti nella sua madrassa (letteralmente scuola, in questa accezione “scuola coranica”), algerini, ceceni, palestinesi, afghani, pakistani. La sua forza sta nel riuscire a sopperire alla carenza dello stato in Pakistan. Quando nel 2005 ci fu il terremoto in Pakistan, 130.000 morti, le prime a muoversi furono le organizzazioni talebane. Inoltre, era impressionante come il Mullah amministrasse la giustizia, per esempio: aveva nella sua madrassa una specie di corte dinanzi alla quale si presentavano famiglie che avevano contenziosi territoriali e lui faceva il giudice in nome della sharia.
Questo mi ricorda una frase che mi disse nel 2009 l’ambasciatore Sequi, allora rappresentante UE in Afghanistan, che il Governo non deve parlare solo al cuore e alle menti delle persone, ma anche al loro stomaco.
È una definizione che calza a pennello, occorre che il Governo riesca a parlare alla periferia del Paese, quella più facilmente raggiungibile dai talebani.
Mariangela Pira
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Lorenzo Cremonesi è giornalista de Il Corriere della Sera. Corrispondente per la regione mediorientale, ha da tempo allargato il suo focus anche all’area dell’Asia centrale, Afghanistan e Pakistan in particolare. È altresì autore di tre libri: Le origini del sionismo e la nascita del kibbutz (1881-1920), La Giuntina, Firenze, 1985; Bagdad Cafè, Feltrinelli, Milano, 2003; Dai nostri inviati, Rizzoli, 2008.
Per chi volesse approfondire i temi trattati consigliamo, sulle nostre pagine:
- Il Pakistan e la partita strategica nel nord-Waziristan
- Pakistan: il martedì nero di Peshawar
- L’influenza dei Deoband sull’estremismo pakistano
- Droni in Pakistan: uno, nessuno, centomila?
- La strategia antiterrorismo di Pakistan e Cina
- Il Pakistan e la bomba atomica islamica
- Il valore strategico del Pakistan
[/box]
Foto: Ginger Brew