Analisi – A quasi 5 anni dal referendum Brexit, dopo tensioni sociali e crisi politiche mai viste prima a queste latitudini, la pandemia ha duramente colpito Londra nel suo momento di massima vulnerabilità. Ora che si pongono scelte cruciali per il futuro, in bilico tra Singapore sul Tamigi e Global Britain.
Terza tappa di Metropolis, il viaggio del Caffè Geopolitico alla scoperta del futuro delle grandi città del pianeta. Dopo Parigi, è la volta di Londra. Prossimo appuntamento giovedì 25 marzo con Berlino.
“Sto andando via perché il tempo è troppo bello. Odio Londra quando non piove.”
(Groucho Marx)
23 GIUGNO 2016
È la data che fa esplodere definitivamente le contraddizioni che da tempo covavano sotto le ceneri, il referendum Brexit che spacca il Regno di Sua Maestà ed espone Londra ai venti di tempesta. Perduto da tempo l’Impero, il vecchio baricentro del mondo è stato capace come forse nessun’altra città di reinventarsi sempre, di lanciare mode e tendenze anche quando il mondo, fuori da essa, ha iniziato a restringersi sempre più. Alfiere del multiculturalismo prima che ancora esistesse la parola, Londra è stata capace di sfruttare come nessun’altra il declino post-imperiale, pitturarlo di glamour e rilanciarsi nel nuovo millennio fingendo che il Commonwealth fosse giusto un Impero in tono minore e che la Gran Bretagna fosse veramente la Cool Britannia di blairiana memoria. Facile comprendere la portata storica dell’uscita dall’Unione Europea per una città ormai sempre più internazionale e meno inglese che mai, necessaria al Regno per il suo sostentamento eppure guardata con sospetto da chi ne sta fuori, dai sudditi della Middle England, come Jonathan Coe vorrebbe, che non la capiscono e poco la tollerano. Ma il referendum ha solo scoperchiato alcuni dei problemi che Londra custodiva gelosamente, rendendo le sue contraddizioni non più rinviabili di fronte a un cambiamento epocale destinato a incidere profondamente sul tessuto economico e sociale della città. E nel mezzo di uno psicodramma collettivo durato oltre 4 anni, di crisi politiche infinite e Primi Ministri ridotti in cenere, all’alba del nuovo corso di Boris Johnson si è scatenata sulla metropoli la pandemia.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Veduta aerea di Londra
700.000
È il numero di cittadini londinesi di origine straniera che nel 2020 hanno abbandonato la città, circa l’8% del totale. Da abbinare ad altre due cifre: 73.950, le case acquistate fuori Londra, e 54mila, gli appartamenti in affitto su Airbnb. Uno sproposito, circa 1 ogni 50 case in una città che già prima della pandemia registrava 1 homeless ogni 50 abitanti, e con il centro di Londra che vede vuoto circa il 27% degli appartamenti presenti (30mila in tutta la Capitale). La crisi abitativa di Londra aiuta a comprendere le ragioni dei suoi problemi. Il sindaco Sadiq Khan aveva promesso circa 116mila case popolari entro il 2022. La pandemia ha frenato l’obiettivo, avendone realizzate solo 1.600 nel primo semestre del 2020 per un totale di circa 53mila appartamenti. E se la casa è una chimera che spinge sempre più londinesi verso Windsor o Sevenoaks, il calo medio degli affitti è pari al 6,9%, favorito da pandemia e Brexit, smart working e bisogno di spazi più ampi. Materia preziosa e rara in una città dal costo della vita elevatissimo, specialmente per giovani coppie, precari o stipendi normali. Una valanga che nel 2021 porterà per la prima volta, dopo 30 anni, una decrescita nella popolazione della Capitale. Dati particolarmente inquietanti per la città dove vive il 14% della popolazione nazionale e responsabile di circa il 25% della produzione di ricchezza del Regno Unito. E se la pandemia ha devastato settori cruciali come turismo e cultura (il West End rischia una contrazione che va, a seconda degli scenari, dal 10% al 97% delle attività economiche che riguardano 26mila posti di lavoro), Brexit sta intaccando anche la finanza. Tema delicato per una città che dal 1986, dalla deregulation dei mercati finanziari dei Governi Thatcher, è cresciuta come hub finanziario d’Europa. L’uscita dall’Unione Europea ha spinto molte aziende nel settore a migrare verso Francoforte o Parigi e ha consentito a gennaio ad Amsterdam di superare Londra per volume di daily trading. Basti pensare che nel 2019 i servizi finanziari, gran parte localizzati a Londra, hanno rappresentato circa il 7% del PIL nazionale, pari a 150 miliardi di sterline. Eppure salvare la finanza e la City per il Governo conservatore, che ha fatto appello alla parte più rurale del Paese per vincere un referendum prima e le elezioni poi, rischia di essere un pericoloso azzardo.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Un taxi solitario tra le vie deserte di Londra
IL BIVIO
La gestione della pandemia, disastrosa inizialmente, sembra ora iniziare a dare i primi frutti grazie alla massiccia campagna vaccinale, dopo aver mietuto nella sola Londra sin qui circa 14mila vittime. Dopo l’emergenza sanitaria Londra si troverà dinanzi a un bivio tra due diversi modelli di sviluppo per il futuro. La “Singapore sul Tamigi”, di cui si vagheggia da anni, porto di approdo per investimenti e fondi di dubbia natura, disposta ad assecondare il motto latino “pecunia non olet” declinato secondo il pragmatico mercantilismo inglese. O capofila di quella Global Britain su cui poggia il reame Brexit di Johnson. Un baricentro dell’Anglosfera, ideale evoluzione dell’antico Impero che, secondo certi disegni, dovrebbe tenere assieme le vecchie colonie più progredite, che però non sembrano affatto desiderose di ispessire i legami con Londra.
Per rilanciarne i destini e cercare una terza via il sindaco Khan ha promosso una piattaforma, London’s Recovery, che mira a coinvolgere i cittadini in un dibattito sul futuro della città. Puntando su ambiente, green economy, sostenibilità e città a misura d’uomo. Lo stesso mondo della finanza londinese possiede ancora numerosi punti di forza e un dinamismo tale da poter reggere la competizione con l’Unione Europea. Obiettivo futuro potrebbe essere reinventarsi come principale motore della finanza green.
Il centro di Londra sarà probabilmente il cuore della battaglia che si combatterà per l’anima della città. Lo 0,01% del territorio nazionale fonte del 10% del PIL britannico, ma sempre più isolato, vuoto, privo di servizi. Un microcosmo a parte dove i prezzi medi delle case sono di 130mila sterline più alti della media della periferia. Nido di ricchi affaristi che negli anni vi si sono rifugiati per fare affari con il calcio o i grandi magazzini, ma ne hanno trasformato le sembianze.
Londra conta ancora oggi su un patrimonio ineguagliabile di fascino. Dalla lingua inglese all’internazionalità del suo diritto, da università ai vertici dei ranking internazionali a un’immagine coltivata negli anni di progresso inevitabile. Musica, cinema, libri, una babele che raccoglie qualsiasi lingua, etnia, religione. Una storia di successo, messa in pericolo dalla pandemia e da una decisione, Brexit, mai abbracciata né supportata.
Londra è sopravvissuta ad altre pandemie. A incendi, rivoluzioni, Re e Regine spodestati. Alle bombe della Seconda Guerra Mondiale e a quelle del terrorismo. Sempre imperturbabile sotto la sua pioggia, sempre calma eppur dinamicamente inarrestabile. Una regalità inquieta che l’ha resa quello che è, il fulcro di un mondo che forse non esiste più ma che non è mai passato.
Consapevole del peso della sua corona, inquieto giace il capo di Londra.
Luca Cinciripini
Immagine in evidenza: “London Telephone Box” by Theo Crazzolara is licensed under CC BY