La controversia tra “pueblos” locali e governo ecuadoriano, incentrata sullo sfruttamento del sottosuolo amazzonico ai fini dell’estrazione petrolio, rischia di allungare la già nutrita lista dei nemici del Presidente Correa
LO SFRATTO DEI PUEBLOS – Yasunì è forse un antico termine Quichua, vuol dire “terra sacra”. E’ difatti uno dei siti terrestri nel quale si concentrano i maggiori livelli di bio-diversitĂ : 150 specie di anfibi, 121 di rettili, 600 di uccelli, 204 di mammiferi, tra i quali tapiri e giaguari. Divide con l’arcipelago delle Galapagos, parte dello Stato, il primato planetario nelle differenziazioni endemiche. Amazanga (foresta pluviale) è anche il territorio di popoli la cui origine risale a 10.000 anni fa, come il pueblo Huaorani, maestro ancora oggi della caccia con la cerbottana; i cacciatori si muovono presso che nudi nella giungla.
Per loro sfortuna, il bacino di Yasunì è anche una riserva di petrolio greggio nel sottosuolo, che ammonta a circa 800 milioni di barili, con entrate nette per lo Stato di 7.2 miliardi di dollari. Correa aveva imposto alle compagnie straniere estrattive un limite di 500.000 barili al giorno, onde preservare l’ambiente, su richiesta degli ambientalisti internazionali. In cambio di questa estrazione controllata, l’Ecuador avrebbe dovuto ricevere una compensazione di 3.6 miliardi in 12 anni dalle Nazioni Unite, ma questo patto non è stato rispettato; a detta di Correa, solo il 10% di tali soldi sono arrivati alle casse dell’erario, per cui egli ha dichiarato decaduto l’accordo nel 2013.
L’attuale crollo dei prezzi del greggio ha costretto l’amministrazione a cambiare i suoi piani, e consentire alla Cina, che è la partner n°1 a livello commerciale, di triplicare l’estrazione. Il petrolio mantiene il Bono de Desarrollo Humano, il programma sociale-base, che destina fondi alla sanità pubblica, la scuola, l’assistenza a ragazze-madri e centri anti-violenza, oltre alle pensioni per anziani poveri e handicappati. Prima di Correa, solo il 7% dei soldi del greggio andava al welfare, oggi questo è finanziato intorno al 60-70%.
Mors tua vita mea, diceva cinicamente il romano antico. Però gli indigeni non ci stanno; tra l’altro, per via del loro spirito di autodeterminazione, solo in minima parte hanno usufruito dei benefici di tali programmi. La chiusura dell’UniversitĂ dei Popoli nel 2013, fu un primo campanello d’allarme; i disaccordi sulle modifiche costituzionali riguardo la tutela ambientale hanno acceso nuove scintille, che sono sfociate nella richiesta di Correa di restituire l’edificio che ospita la sede del CONAIE (Confederazione delle Nazioni Indigene dell’Ecuador), concesso in comodato provvisorio. Una richiesta che comporterebbe lo sfratto del comitato, il quale rappresenta almeno una trentina di etnie, amazzoniche e andine. L’organo, che tutela tali diritti, la facoltĂ di esprimersi paritariamente in Quechua e spagnolo, e l’autonomia amministrativa, si troverebbe di fatto esautorato dalle sue funzioni, che risalgono ai primi degli anni ’80.
ECUADOR-GERMANIA 1-0  – Il grave incidente diplomatico intercorso tra il Ministro dell’Ambiente tedesco e il governo ecuadoriano ha portato a dicembre 2014 al divieto di accesso al Paese di alcuni legislatori teutonici, che volevano incontrare dei gruppi ambientalisti locali, e vede come pietra dello scandalo ancora Yasunì Park. Era in programma un sopralluogo, per rilevare l’impatto ambientale causato dalle trivellazioni. Correa ha rimandato indietro anche 7 milioni di euro stanziati dalla Germania come contributo ambientalista. Dure le parole del Presidente, che ha detto di non gradire gli stranieri intromettersi nelle faccende interne della politica ecuadoriana. Ancora piĂą dura la replica tedesca, che ha denunciato la cancellazione visti da parte del governo, come un atto di ostilitĂ internazionale.
LA NECESSITA’ DI UN COMPROMESSO – Correa alle politiche di due anni fa confermò il suo terzo mandato con il 60% dei consensi. Esattamente un anno fa, perse però le amministrative nelle cittĂ piĂą importanti del Paese, tra cui la capitale Quito. Questo tormentone minaccia seriamente i rapporti non solo con le minoranze etniche, ma anche con le nazioni leader UE. Un compromesso andrebbe cercato, utilizzando proprio il fattore ambientale, per rigirarlo a proprio favore. Oggi il turismo porta nelle casse dello Stato oltre due miliardi di dollari, ma i visitatori sono prevalentemente sud-americani, specialmente cileni e argentini. Per riacquistare indipendenza occorrerebbe sfilarsi da sotto la spada di Damocle del petrolio, che condiziona i giochi politici, e lega la piccola nazione al colosso cinese, così come in passato agli Stati Uniti. Incrementare il turismo internazionale, e ricucire i rapporti con i tedeschi, che sono i primi viaggiatori europei in Ecuador, è un passo fondamentale da percorrere.
(le foto sono state scattate dell’autore)
Flavio Bacchetta – Da il Fatto Quotidiano  Ecuador e conflitti d’interesse: la questione ambientale)
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