Dalla “marcia verde” al cessate il fuoco, il confronto in Marocco sulla regione del Sahara Occidentale è un risiko geopolitico nel deserto. Eccovi un reportage dal campo che spiega la situazione attuale
di Andrea Pannocchia e Andrea Turi
DALLA MARCIA VERDE AL CESSATE IL FUOCO – Il Sahara occidentale è un’ex colonia spagnola acquisita dal Marocco nel 1975, anno in cui 350.000 marocchini, radunati presso la città di Tarfaya in attesa del segnale di scendere verso Sud attraversando il confine, parteciparono volontariamente al realizzarsi della Marcia Verde coordinata da Re Hassan II con l’intenzione di costringere la Spagna ad abbandonare definitivamente la sua colonia, dopo che la Corte Internazionale di Giustizia aveva sentenziato l’esistenza di un conflitto per la sovranità tra Marocco e Spagna, riconoscendo anche il valore della bay’a che lega le tribù della Regione al Trono marocchino (nella terminologia politico-giuridica islamica la bay’a indica un accordo di sottomissione a un leader, che ne implica il riconoscimento come tale). Il Fronte Polisario (dall’abbreviazione spagnola di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), sostenuto dall’Algeria, ha da allora combattuto, non sentendosi parte del regno alawita, per l’indipendenza di quella che ritengono essere la loro terra: nel tentativo di assicurarsi un riconoscimento internazionale, a Bir Lahlou il 27 febbraio 1976, il Fronte proclamò la Repubblica Araba Sahrawi Democratica (Rasd). Ricordiamo che Nel 1982 la RASD fu ammessa in qualità di Stato membro alla Organizzazione dell’Unità africana (OUA): quel che rappresenta il risultato più clamoroso conseguito dalla causa indipendentista, provocò l’uscita del Marocco dall’organizzazione nel 1983.
Importante poi, ai fini degli aspetti geopolitici dell’intera vicenda, il ruolo giocato dall’Algeria che riconobbe la RASD, ne sostenne la lotta e permise al Fronte Polisario di utilizzare il suo territorio (in particolare l’area attorno a Tindouf, la città algerina più vicina al confine con il Sahara Occidentale) come retrovia per le sue azioni militari contro le forze marocchine e mauritane. Gli scontri armati sono andati avanti fino al 1991, anno in cui fu concluso un cessate il fuoco, sotto l’egida delle Nazioni Unite ed in cooperazione con l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA). L’accordo prevedeva anche lo svolgimento di un referendum sulla scelta tra l’indipendenza e l’integrazione nel Regno del Marocco: fissato inizialmente per il 1992, la consultazione è stata oggetto di ripetuti rinvii, anche per la difficoltà della missione delle Nazioni Unite MINURSO (Missione delle Nazioni unite per l’organizzazione di un referendum nel Sahara Occidentale) di procedere alla registrazione degli aventi diritto al voto, a causa di divergenti interpretazioni delle Parti al proposito.
IL PIANO BAKER – L’ultimo piano di pace dell’ONU, preparato dall’inviato nel Sahara Occidentale, James Baker III, nel 2003, prevedeva la soppressione della Repubblica Democratica Araba Sahrawi e la sua sostituzione con l’Autorità per il Sahara Occidentale che dovrebbe assicurare l’autonomia del territorio sotto il governo marocchino durante un periodo di transizione di cinque anni, al termine del quale è previsto un referendum. L’Autorità non si è ancora insediata e, di conseguenza, il referendum non si è ancora tenuto. La volontà marocchina è quella di concedere una larga autonomia al Sahara Occidentale, nel quadro della sovranità di Rabat sulla regione. Mentre il piano del Polisario, appoggiato dall’Algeria, ha mai accettato soluzioni diverse dall’indipendenza.
CHISTOPHER ROSS, “PARZIALE E SQUILIBRATO” – Negli ultimi anni va sottolineata la decisione del Regno marocchino di ritirare la fiducia a Christopher Ross, ex ambasciatore USA in Algeria e Siria, che dal 2009 in qualità di inviato personale di Ban Ki-moon segue il processo negoziale tra Rabat e i vertici del Polisario. Il suo lavoro è stato giudicato dal Marocco “parziale e squilibrato”. La nomina di Ross seguiva il mancato rinnovo del mandato per il precedente emissario, van Walsum, accusato di parzialità per aver giudicato irrealistica l’ipotesi di indipendenza del Sahara Occidentale.
RISIKO GEOPOLITICO NEL DESERTO – Sulla questione del Sahara occidentale si intrecciano gli interessi di diversi attori, regionali e internazionali. Per quanto riguarda gli ultimi, Russia, Unione Africana e i paesi latinoamericani sostengono apertamente la causa del Fronte Polisario. L’appoggio statunitense al Marocco, major non-NATO ally, è, invece, direttamente collegato al ruolo del Regno alawita quale nella lotta globale al terrorismo e alla crescente minaccia regionale rappresentata da al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). L’Ue ha lasciato ai singoli Stati membri l’onere di una valutazione politica. Il conflitto saharawi ha dominato le relazioni tra Algeri e Rabat, ostacolando la cooperazione in temi chiave come l’integrazione economica e la lotta al terrorismo. Oggi però, con il vuoto di potere creato dalla caduta dei regimi di Ben Ali, Mubarak e Gheddafi, Algeria e Marocco sembrano consapevoli dell’importanza di ristabilire buoni rapporti di vicinato: i colloqui di inizio anno, a livello di ministri degli Esteri, sembrerebbero inaugurare una nuova fase.
LA FINE DELL’UTOPIA? – Altri aspetti però hanno iniziato a far mutare la percezione generale del quadro internazionale del conflitto. Intanto, l’emersione di una maggiore identificazione fra la causa saharawi e quella marocchina, come si evince dalle risultanze di un meeting no global, svoltosi a Tunisi nel 2013, di cittadini del Sahara Occidentale che credono nel Marocco del nuovo corso, quello delle riforme avviate da re Mohamed VI. Giovani uomini e giovani donne, sempre più numerosi, che coltivano aspirazioni diverse dai loro padri e che non si riconoscono più nel progetto di indipendenza del Fronte Polisario e nelle tragiche icone che quella pur bella utopia ha finito per generare, come il campo profughi di Tindouf in Algeria, il muro di sabbia e pietra che Rabat ha innalzato nel deserto, il sangue, i morti, le famiglie separate, la povertà e la paura che nella povertà senza speranza il terrorismo possa mettere radici.
IL PIANO DI REGIONALIZZAZIONE DI MOHAMED VI – Il sogno oggi è un altro e altre stanno diventando le priorità. La chiave di volta è nel piano di regionalizzazione. Un piano ambizioso affidato a una Commision Consultative composta da tutte le componenti della società civile, donne, esponenti di partiti politici, rappresentanti locali, Sahrawi, professori universitari e con una missione difficile: ridisegnare il paese, trasformarlo in una nazione moderna, fondata sullo stato di diritto, competitiva e in grado di poter giocare sulla scena mondiale un ruolo prestigioso e importante. Legato a questo aspetto, ve ne è un altro, ancora più generale, vale a dire la modernizzazione del paese avviata con il varo della Costituzione del 2011 e in primo luogo per la soluzione della questione Sahrawi: un progetto di autonomia avanzata, che consentirà al popolo marocchino di scegliere, eleggere, esercitare il potere locale in maniera effettiva. L’ultimo Rapporto MINURSO, presentato ai sensi della risoluzione del Consiglio di sicurezza 2099 (2013), riconosce che “la situazione nel Sahara occidentale, così come si presenta alla MINURSO, è generalmente calma. Il cessate il fuoco continua a tenere e la gente può vivere senza il timore di una ripresa del conflitto armato nel medio termine”; “La parte di Sahara Occidentale sotto il controllo del Marocco, ad ovest della marcatura della linea del cessate il fuoco banchina, ha continuato ad assistere a notevoli investimenti in infrastrutture in ambito sociale e culturale (…)”.
Ed è segnalato anche un aumento del numero di delegazioni di parlamenti esteri e missioni diplomatiche, come pure di istituzioni governative e non governative, che ha visitato la parte occidentale del Territorio: esempio dell’impegno marocchino a una maggiore apertura.
Andrea Pannocchia
con la collaborazione di Andrea Turi
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
In una sua recente relazione la Commissione controllo di bilancio (CONT) al Parlamento europeo “si stupisce per il fatto che l’Ufficio europeo di lotta antifrode (OLAF) non ha raccomandato alla Commissione europea di emettere un ordine di riscossione sulla base del pregiudizio finanziario causato al bilancio dell’UE per quanto riguarda l’aiuto umanitario versato alle popolazioni dei campi di Tindouf”; le persone assistite dal 1975 sono 155.000, sulla base di una stima fatta dalle autorità algerine In sostanza, solo la parte dell’aiuto che permette ai profughi di sopravvivere è distribuita. Il resto è venduto per conto di alti ufficiali algerini e dei dignitari del Polisario, sottolinea OLAF. Va ricordato che né l’Algeria né il Polisario hanno mai accettato un reale censimento delle popolazioni dei campi (Fonte: corcas.com).[/box]
[box type=”info” align=”aligncenter” class=”” width=””]ANDREA PANNOCCHIA è Dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione presso l’Università di Firenze (Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”), già Professore incaricato di Sociologia della Devianza e Teorie e Pratiche del Giornalismo di Attualità. Giornalista pubblicista.. Autore di alcune monografie, fra le quali: monografie Еλλαδα 2013 – La crisi della Grecia raccontata dai suoi cittadini; Scenari – Riccardo Migliori e l’esperienza all’OSCE con prefazione di Franco Frattini; Gladio Storie di finti complotti e di veri patrioti con prefazione di Francesco Cossiga; Terrorismo e disturbi comunicativi.
ANDREA TURI è laureato in Giornalismo e specializzato in Scienze della Politica e dei processi decisionali all’Università degli Studi di Firenze, ha dato alle stampe il volume “Ellada 2013. La crisi della Grecia raccontata dai suoi cittadini” (Eclettica Edizioni) e pubblicato un approfondimento sulle relazioni tra Kosovo e Serbia inserito nel libro Ex Jugoslavia: gioco sporco nei Balcani (Anteo Edizioni) curato da Stefano Vernole. Appassionato di esteri, contribuisce all’edizione online di una delle riviste più prestigiose in campo di studi geopolitici.[/box]