Con un flashback tra due secoli e un millennio, Kissinger ripropone un rendez-vouz nel Paese di Mezzo, iniziato con una passeggiata sulla grande muraglia e finito nella Fujian Hall del Parlamento della RPC, per tentare nuovamente una manovra di avvicinamento di quella particolare stazione orbitante che è… il pianeta Cina.
HENRY KISSINGER: IERI E OGGI – Le lancette dell’orologio della storia sembravano tornate indietro di quarant’anni o poco piĂą quando le porte del Parlamento della RPC si sono aperte, il 17 Marzo 2015, per accogliere Henry Kissinger, l’ultranovantenne Segretario di Stato al tempo del Presidente Nixon, uno degli artefici del disgelo tra Stati Uniti e Cina, che consentì l’ingresso dello Stato di Mezzo nell’ONU e, soprattutto, l’avvicendamento con la Repubblica di Cina la quale, fino al 1971, aveva occupato il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Dopo i primi timidi approcci, la missione segreta di Kissinger nel 1971 e, subito dopo, il primo arrivo di un Presidente statunitense sul suolo cinese nel 1972, portarono i due Stati ad un riavvicinamento sostanziale che produsse la normalizzazione delle relazioni diplomatiche, interrotte da cinque lustri.
Fig. 2- L’ex Segretario di Stato americano Henry Kissinger
ERA UN ALTRO MILLENNIO – Altro secolo, altro millennio ed altri problemi: la Guerra Fredda, il boom economico e poi la fine della convertibilitĂ di Bretton Woods, la crisi petrolifera; un controverso Presidente, Nixon, che gli storici hanno riabilitato, mentre in Cina Mao e Zhou Enlai avevano avviato le quattro modernizzazioni e promulgato una nuova Costituzione, allo scopo di stabilizzare un Paese profondamente scosso dalla Rivoluzione culturale e definitivamente sfuggito all’egida sovietica. Dopo la morte di Mao, nel 1976, e l’approvazione della terza Costituzione nel 1978, la Repubblica Popolare, riallacciati i rapporti internazionali, stava procedendo senza indugi verso una profonda riorganizzazione delle istituzioni politiche che consentiva l’avvio di quelle riforme economiche , volute da Deng Xiaoping, prodromo della strabiliante ascesa di cui siamo oggi attoniti spettatori.
KISSINGER E MAO – Kissinger viene accolto oggi in Cina con grande entusiasmo non solo per le grandi capacitĂ umane e diplomatiche dimostrate nel corso degli anni, ma soprattutto per la profonda conoscenza e ammirazione per l’antichissima civiltĂ cinese, come emersa dal testo “On China” (2011) in cui si scorge, per certi versi, un approccio simile a quello del gesuita Matteo Ricci, unico occidentale presente nelle storie dinastiche dell’Impero Celeste. Lo statista americano ha sapientemente colto il substrato che si cela dietro l’elaborazione culturale di Mao e dei suoi successori, al di lĂ dell’aggancio al marxismo-leninismo: la cultura classica e l’ideologia confuciana nelle sue multiformi costruzioni filosofiche, che permettevano allo stesso Mao di ammirare pubblicamente il primo imperatore, che unificò la Cina nel 221 a.C., Qinshihuang.
Fig. 3 – Il recente incontro tra Kissinger e Xi Jingpin a Pechino (marzo 2015)
LE SFIDE ATTUALI – In questo nuovo secolo, che è anche un nuovo millennio, il vecchio statista si trova ancora a calpestare il suolo cinese, in un momento in cui molteplici sfide alla pace, al progresso e allo sviluppo del mondo intero richiedono un rinnovato sforzo di cooperazione tra gli Stati Uniti ed il Paese che piĂą di tutti ha scalato le vette del successo economico, forse surclassando la superpotenza statunitense. Il gruppo dirigente cinese, che fa capo a Xi Jinping, è intenzionato ad incrementare le relazioni con gli Stati Uniti, a implementare la cooperazione in molti settori per radicare il proprio sviluppo economico ed allontanare l’incubo dell’hard landing.
DIVERGENZE E COOPERAZIONE – Kissinger è conscio della portata storica che stanno assumendo le nuove linee politiche ed economiche adottate dal IV plenum del PCC e dell’impellente necessitĂ , a fronte di una situazione internazionale dai risvolti poco prevedibili, di superare i contrasti ed elaborare una strategia geopolitica nuova. A dispetto della volontĂ di leadership che contrappone il popolo americano a quello cinese, in particolare nella nuova via della seta che percorre gli Oceani Pacifico ed Indiano, il tentativo egemonico e destabilizzante del fondamentalismo islamico in vaste zone dell’Asia e dell’Africa potrebbe far convergere i due Paesi verso un nuovo approdo comune.
NUOVE FRONTIERE – Gli Stati Uniti si rendono conto che, per mantenere credibile la propria leadership mondiale, che ha caratterizzato il XX secolo, occorre veicolare diversamente i valori democratici, ormai declinati essenzialmente solo in formato economico, dando loro un vettore credibile per trasmetterli ai milioni di diseredati che a questi principi non possono attingere perchĂ© poveri di denaro, poveri di conoscenze, poveri di tutto. La Cina, dal canto suo, per tradizione, ha sempre atteso pazientemente che gli stessi Stati via via sottomessi militarmente fossero lentamente soggiogati anche culturalmente, esplicitando in questo modo il proprio potere di attrazione magnetica del mondo circostante. Tuttavia, ora anche il Dragone, di fronte all’ormai ufficiale stabilizzazione dei ritmi di crescita, ha necessitĂ di trovare nuovi approcci diplomatici che esulino dalla sola conquista economica ed elaborino un soft power sempre piĂą strutturato.
NUOVI ORIZZONTI – L’accelerazione del vettore economico sta comportando il trasferimento in un’orbita piĂą alta e piĂą lenta da dove la Cina può essere raggiunta come stazione orbitante solo riducendo la propria velocitĂ , che troppe frizioni sociali e ambientali sta procurando. Per l’aggancio è necessaria la presenza di meccanismi compatibili che forse si scorgono nel sogno del costituzionalismo che dovrebbe far risvegliare la Cina in uno stato di diritto, indispensabile tunnel di collegamento per rendere possibile il passaggio da un veicolo all’altro, in uno spazio giuridico democratico, come elaborato dal pensiero occidentale, anche in chiave anti Stato Islamico (IS).
Forse, tutto questo moto eurocentripeto appartiene, come Kissinger, ad un altro millennio. O forse no…
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””] Un chicco in piĂą
Dal 1949 al 1971, in seno all’ONU, era presente la Cina nazionalista (Taiwan) considerata successore del governo precedente. Mao, in base al principio di effettività , chiese di prenderne il posto, sostenuto dai paesi comunisti e dai cd. Paesi “non allineati”. Nel 1971 l’operazione riuscì, applicando il principio rebus sic stantibus, anche grazie all’ammorbidimento della posizione americana e così l’Assemblea deliberò, votando a maggioranza semplice (e non a maggioranza dei 2/3, come avveniva per le questioni importanti) l’estromissione della Cina Nazionalista. L’ingresso del governo di Pechino all’ONU comportava riflessi non indifferenti dal punto di vista diplomatico, per la presenza di due governi comunisti (cinese e sovietico) nel Consiglio di Sicurezza, di cui occupavano un seggio permanente, godendo del cosiddetto diritto di veto, che la Carta delle Nazioni Unite, come recita l’art. 27, definisce in realtà come segue: “Decisions of the Security Council on procedural matters shall be made by an affirmative vote of nine members. Decisions of the Security Council on all other matters shall be made by an affirmative vote of nine members including the concurring votes of the permanent members….”[/box]