Nel 1955 la conferenza di Bandung segnò l’inizio della fine per gli imperi coloniali europei, creando le basi politiche e ideali per la nascita di Stati indipendenti in Asia e in Africa. A sessant’anni di distanza, gli attuali leader di tali Stati si sono riuniti nella città indonesiana per commemorare quello storico evento, rinnovando pubblicamente le promesse di solidarietà afro-asiatica e giustizia internazionale fatte dai loro predecessori. Tuttavia, il mondo è cambiato molto da allora e lo “spirito di Bandung” fatica a trovare spazio nel caotico contesto geopolitico del XXI secolo.
SESSANT’ANNI FA – Tenutasi sull’isola di Giava nell’Aprile 1955, la conferenza di Bandung fu uno degli eventi internazionali più importanti del secolo scorso, riunendo sullo stesso palcoscenico alcune delle maggiori figure politiche del mondo non occidentale. Jawaharlal Nehru per l’India, Zhou Enlai per la Cina, Gamal Abdel Nasser per l’Egitto, Kwame Nkrumah per il Ghana: questi furono solo alcuni dei principali leader nazionalisti e anti-colonialisti invitati dall’allora Presidente indonesiano Sukarno per immaginare un nuovo mondo alternativo a quello dei vecchi imperi coloniali europei, ormai in fase di avanzato disfacimento. Allo stesso tempo Sukarno e i suoi ospiti miravano anche a sviluppare una strategia comune ed efficace per la modernizzazione socio-economica dei propri Paesi, andando al di là del crudo dualismo capitalismo-comunismo proposto dalla Guerra Fredda. In risposta allo scetticismo tinteggiato di razzismo del Segretario di Stato statunitense John Foster Dulles, che rifiutò addirittura di inviare degli osservatori ufficiali alla conferenza, Sukarno presentò il summit internazionale di Bandung come la creazione non di “un club esclusivo”, sul modello del blocco statunitense o di quello sovietico, ma di un consesso aperto e tollerante di Paesi alla ricerca di soluzioni eque e solidali ai maggiori problemi dell’età contemporanea. Un consesso basato sulla consapevolezza della stretta “interdipendenza di uomini e nazioni” per il benessere e la sopravvivenza dello stesso pianeta Terra.
Fig. 1 – Il premier cinese Zhou Enlai, tra i principali protagonisti della conferenza di Bandung del 1955
In tal senso, la conferenza adottò un’ambiziosa risoluzione finale in dieci punti che impegnava i partecipanti a rispettare i diritti umani e la sovranità territoriale delle nazioni, a riconoscere l’eguaglianza di tutte le razze e di tutte le culture, a risolvere ogni disputa internazionale con mezzi pacifici e a promuovere la cooperazione politica ed economica tra i popoli. Per dare una prima concreta attuazione a tale agenda, Zhou Enlai e il Governo di Jakarta firmarono un importante accordo sulla doppia nazionalità delle comunità cinesi in Indonesia, mentre Nasser e Nehru elaborarono diverse linee guida per la nascita del futuro Movimento dei non allineati (NAM), avvenuta poi a Belgrado nel 1961. A livello mediatico e ideale, lo “spirito di Bandung” lasciò un’impressione profonda sia sui partecipanti che sugli spettatori della conferenza, che la interpretarono come l’inizio di una nuova era per le relazioni internazionali, libera dal brutale imperialismo dei decenni precedenti. Inoltre il poeta afroamericano Richard Wright, presente a tutti i lavori del summit, fece propri i valori anti-razzisti e solidali di Bandung, diffondendoli negli Stati Uniti e trasformandoli in un importante sostegno ideologico al movimento dei diritti civili guidato da Martin Luther King.
SUCCESSI E FALLIMENTI – Quali furono però le conseguenze pratiche della conferenza? E qual’è la sua eredità a sessant’anni di distanza, in un contesto internazionale chiaramente lontano da quello quasi irenico immaginato a Bandung? A livello pubblico, gli eventi del 1955 continuano a rappresentare un’importante spinta ideale per i Paesi dell’Asia e dell’Africa, testimoniata ad esempio dalle recenti e sontuose celebrazioni per il sessantesimo anniversario del summit, che hanno reso di nuovo Bandung capitale del mondo non occidentale. Patrocinate dal Governo indonesiano e monopolizzate dal Presidente cinese Xi Jingpin, tali celebrazioni – svoltesi lo scorso Aprile nello splendido palazzo art-deco di Gedung Merdeka – hanno richiamato costantemente lo “spirito di Bandung” come base per il mondo multipolare del XXI secolo e come esempio per uno sviluppo sostenibile del Sud del mondo. Per il Presidente indonesiano Joko Widodo, per esempio, è necessario “continuare la lotta” dei leader del primo periodo post-coloniale, promuovendo una più stretta cooperazione diplomatica ed economica tra i Paesi afro-asiatici. Una posizione condivisa sia dal Presidente birmano U Thein Sein che da quello zimbawese Robert Mugabe, attuale leader dell’Unione Africana (AU), che hanno entrambi parlato di una nuova partnership strategica di Asia e Africa contro le attuali turbolenze geopolitiche mondiali.
Fig. 2 – Gli attuali leader di Asia e Africa marciano per le strade di Bandung in onore della conferenza del 1955. In prima fila (da sinistra a destra): il Presidente cinese Xi Jingpin, il Presidente indonesiano Joko Widodo e il Primo Ministro malese Najib Razak
Molte di queste invocazioni sono pura retorica, naturalmente, ma poggiano comunque su una certa consapevolezza del successo internazionale dell’originale conferenza di Bandung. Dal 1955 a oggi il numero di Stati indipendenti in Asia e in Africa si è letteralmente quadruplicato, spazzando via completamente il vecchio potere coloniale delle nazioni europee. Ispirati dallo “spirito di Bandung”, interi popoli hanno preso in mano il proprio destino e hanno tentato di forgiarlo al di fuori delle vecchie categorie politico-economiche imposte dall’Occidente, contribuendo ad un’estrema diversificazione della scena internazionale. Oggi alcune delle nazioni partecipanti alla conferenza di sessant’anni fa sono anche protagoniste indiscusse dell’economia globale e stanno ridisegnando gradualmente i rapporti di forza tra Nord e Sud del mondo. Dal punto di vista della sfida all’eurocentrismo del passato, Bandung è stata quindi una scommessa sostanzialmente vinta, affermando con forza le voci e le potenzialità dei Paesi non occidentali a livello mondiale. Inoltre Asia e Africa hanno relazioni economiche, politiche e culturali sempre più strette, che promettono di rafforzare ulteriormente l’importanza di tali popolosi continenti nei prossimi decenni. L’Europa non è più il motore della storia mondiale, e lo “spirito di Bandung” ha fatto molto per dare forza, fiducia e ottimismo ai popoli non europei, rendendoli attori protagonisti delle attuali trasformazioni politico-economiche globali.
Fig. 3 – Un poliziotto di Bandung guarda il suo smartphone tra i ritratti di Sukarno e Mandela
D’altro canto, molti degli ambiziosi obiettivi della conferenza non si sono affatto realizzati, soprattutto in ambito economico e sociale. La maggioranza dei Paesi afro-asiatici continua a non rispettare diritti umani essenziali; il divario tra ricchi e poveri al loro interno continua a crescere a ritmi vertiginosi; terrorismo e conflitti armati continuano a devastare buona parte dei loro territori. Sia il NAM che altre organizzazioni ispirate da Bandung (AU, ASEAN) faticano a trovare una loro dimensione ideologica e operativa efficace, mostrandosi incapaci di risolvere emergenze umanitarie o crisi diplomatiche internazionali. Inoltre, molte nazioni in Asia e in Africa rimangono pesantemente dipendenti dal potere finanziario degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, subendo forme di neocolonialismo economico come il land grabbing o la privatizzazione selvaggia delle proprie risorse minerarie. E l’emigrazione di massa verso l’Europa, provocata spesso dagli effetti di tale neocolonialismo, contribuisce all’ulteriore impoverimento dei Paesi afro-asiatici, privandoli delle energie e delle abilità delle loro generazioni più giovani.
UN MONDO DIVERSO – Insomma, il mondo di oggi è molto diverso da quello pacifico, equo e solidale sognato da Sukarno a Bandung. Al contrario, è un mondo estremamente caotico e competitivo, dove nuove potenze emergenti come la Cina espandono continuamente i propri interessi strategici, entrando in conflitto con altri Paesi e alzando i livelli di instabilità internazionale. Non a caso la massiccia presenza cinese alle commemorazioni di quest’anno per la conferenza di Bandung ha provocato reazioni ambigue in altre delegazioni asiatiche, preoccupate dai propri contenziosi territoriali o economici con Pechino. Un tempo Paese povero e in fase di modernizzazione come gli altri partecipanti al summit del 1955, la Cina si presenta ora come un pilastro del nuovo ordine economico globale, e le sue ambizioni navali nell’Oceano Indiano la mettono in rotta di collisione con quelle dell’India, tradizionale Stato egemone dell’area. Allo stesso tempo i Paesi africani faticano a sviluppare in modo equilibrato le proprie economie, subendo spesso le fluttuazioni dei mercati globali, mentre Iran e Arabia Saudita si contendono ferocemente i resti di un Medio Oriente dilaniato da tensioni settarie e conflitti armati.
Fig. 4 – Il premier giapponese Shinzo Abe parla durante le recenti commemorazioni a Bandung
L’originale solidarietà afro-asiatica di Bandung appare quindi drammaticamente spezzata, vittima di rivalità geopolitiche e delle brutali dinamiche del capitalismo globale. Già eroso dalle tensioni della Guerra Fredda, il fronte comune anti-colonialista e progressista promosso da Sukarno, Nehru e Nasser non sembra essere sopravvissuto agli sconvolgimenti socio-politici degli ultimi vent’anni, riemergendo solo come formula retorica in eventi commemorativi come quello dello scorso Aprile. Tuttavia, lo “spirito di Bandung” continua ad animare le attività di numerose organizzazioni non governative e movimenti popolari in cerca di alternative democratiche e sostenibili all’attuale sistema internazionale. Ignorato o dimenticato nelle alte sfere, il sogno di Sukarno riemerge prepotentemente dal basso e non smette di agitare gli equilibri politici di Asia e Africa, promettendo un futuro più giusto e solidale. È forse questa l’eredità più importante lasciata dalla storica conferenza del 1955 al mondo di oggi.
Simone Pelizza
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più
Nonostante il suo passato coloniale in Asia orientale, anche il Giappone fu invitato alla conferenza di Bandung del 1955, in virtù del suo ruolo storico di precursore della modernità non occidentale. L’invito è stato esteso anche alle commemorazioni di quest’anno e ha visto la partecipazione diretta del premier Shinzo Abe, che ha lodato in un lungo discorso le finalità originali della conferenza e il positivo reintegro del Giappone nella comunità internazionale dopo la sconfitta della Seconda Guerra Mondiale. [/box]