La questione flussi migratori e gestione dei migranti rimane al centro del dibattito pubblico e politico italiano, anche se spesso solo in maniera superficiale. Per essere in grado di proporre una discussione matura e soluzioni concrete è necessario, invece, osservare meglio quali siano le caratteristiche di tali flussi, soprattutto a sud del Mediterraneo.
Nelle ultime settimane è continuato il dibattito sui flussi migratori dal Mediterraneo meridionale e dal Medio oriente e su come gestirli e, ancora una volta, il discorso tende a fermarsi solo agli aspetti più superficiali del problema. Come abbiamo già spiegato in passato, è importante osservare il fenomeno migratorio nella sua interezza perché solo così, comprendendone la complessità , sarà possibile formulare strategie concrete che aiutino a gestire la situazione.
Nella nostra prima analisi abbiamo giĂ esaminato come molti flussi migratori si originino spesso molto piĂą a sud del Mediterraneo, in quella fascia del Sahel e dell’Africa sub-sahariana che presenta così tante situazioni di conflitto e di disagio socio-economico. Combinato con l’aumento demografico previsto, questo ci suggerisce che i flussi migratori sono destinati ad aumentare nel tempo. Ma come riescono i migranti ad arrivare fino al Mediterraneo, quali sono le rotte principali?
Sul web esistono numerose mappe che descrivono tali percorsi, tuttavia intendiamo non solo descrivere, ma piuttosto spiegare le implicazioni della situazione attuale, anche in ottica futura.
L’ostacolo maggiore da superare per chi proviene da sud è ovviamente il Sahara, sia per le condizioni climatiche estreme sia per la difficoltà di mantenere vie di comunicazione di facile percorrenza. Se osserviamo una mappa delle principali “autostrade” africane poche di esse, infatti, attraversano questa massa di sabbia, e spesso i tratti sahariani non sono nemmeno asfaltati.
Sarebbe tuttavia errato pensare che queste siano le uniche vie di comunicazione utilizzate dai migranti e dai trafficanti. Esistono infatti numerosi tragitti tra strade (spesso non asfaltate) e percorsi di vario tipo che permettono di attraversare da sud a nord (o viceversa) il deserto. Questi sono, infatti, i principali percorsi in quella che viene definita la rotta verso il Mediterraneo centrale.
Le principali rotte dall’Africa occidentale attraversano (o partono da) Mali, Burkina Faso e Niger per arrivare in Algeria o soprattutto in Libia, da dove poi (in particolare dalla zona di Tripoli) partono per l’Italia e l’Europa. E’ possibile osservare alcuni punti chiave che costituiscono degli hub, o comunque dei nodi principali: Gao e Kidal in Mali, Agadez e la piccola cittadina di Arlit in Niger, Tamanrasset in Algeria, Sebha e l’oasi di al-Kufra in Libia, oltre, naturalmente, alle zone costiere attorno a Tripoli.
L’attuale situazione geopolitica fa sì che la maggior parte di questi flussi tenda a dirigersi principalmente verso la caotica Libia, da dove è più facile il transito finale verso l’Europa. Questo sia per una questione di vicinanza geografica tra le coste, sia per la forte riduzione del controllo statale, che permette alle organizzazioni trafficanti di operare con maggiore impunità .
Abbiamo citato anche al-Kufra, che, nel sudest della Libia, non sembra essere toccata da tali rotte. Bisogna però ricordare come ci sia un’altra direttrice principale di migrazione verso l’Europa, quella che parte da e attraversa l’Africa orientale.
Si tratta delle rotte che partono principalmente dal Corno d’Africa, dove la difficile situazione di sicurezza e gli eccessi di regimi come quello eritreo di Isaias Afewerki sono all’origine di forti flussi migratori. Una parte considerevole di questi attraversa il mar Rosso o lo Stretto di Aden per riversarsi nella Penisola Araba, e in particolare in Yemen, dove l’UNHCR segnala nel suo rapporto 2015 la presenza di circa 246.000 profughi, 95% dei quali somali. Questi rifugiati, però, spesso non hanno poi via d’uscita. Lo Yemen in particolare risulta una bottiglia chiusa, in cui si può arrivare ma non uscire se non dallo stesso percorso d’ingresso, dato che l’Arabia Saudita negli ultimi anni ha provveduto a costruire una barriera per impedire la migrazione piĂą a nord. Recentemente, l’acuirsi degli scontri in Yemen (ancor piĂą dopo l’intervento militare aereo dei Paesi arabi guidati proprio dai sauditi) ha portato a una parziale inversione del flusso (dallo Yemen verso la Somalia).
I flussi del Corno d’Africa, poi, si muovono verso nord attraversando il Sudan, e successivamente l’Egitto e la Libia. Tra i principali hub qui abbiamo proprio al-Kufra. Importante è anche Khartoum, capitale del Sudan. E’ stato osservato come numerosi siriani cerchino di fuggire proprio attraverso tale rotta. Guardando la mappa questo può sembrare strano (Siria e Sudan non sono certo vicini!) ma non lo è se pensiamo che il Sudan è uno dei pochissimi stati che ancora concedono l’arrivo di siriani per via aerea. Chi può permetterselo, quindi, prova a raggiungere Khartoum via aereo per evitare le chiusure di Libano e Turchia (che già ospitano molti profughi ma stanno stringendo le maglie in entrata) ed da lì si dirige verso nord via terra.
Se consideriamo le due direttrici sopra indicate, vediamo come esse puntino verso lo stesso paese, la Libia, dove del resto la situazione attuale, come detto, favorisce i traffici, inclusi quelli di persone umane. Questo significa che la Libia è attualmente, geopoliticamente e geograficamente, l’imbuto naturale dei principali flussi migratori africani.
Esistono altre rotte? Certamente, ma seguono logiche diverse. Storicamente è sempre stato rilevante il flusso dall’Africa Occidentale verso la Spagna (soprattutto verso le Canarie ma anche verso il Marocco e da lì verso la penisola iberica).
Tuttavia questo percorso è oggi da considerarsi sostanzialmente interrotto in seguito ad alcuni accordi ( tra Spagna e Mauritania e Spagna e Senegal, stipulati dal 2006 in poi e finalizzati proprio a bloccare i flussi migratori via nave. Questi si sono quindi spostati progressivamente verso i percorsi a est. Molto più rilevanti sono invece i percorsi attraverso la Turchia. In questo caso il passaggio via terra verso la Grecia è stato bloccato dalla creazione di una barriera al confine, ma questo ha solo fatto aumentare il transito via mare dalle coste dell’Anatolia alle isole greche e anche verso le coste italiane.
Se il Mediterraneo risulta essere l’area di arrivo e transito per tutte queste persone, si nota però come, ancora prima, il fenomeno interessi una vastissima parte del continente africano, e come, spesso, siano transnazionali le organizzazioni e i gruppi che favoriscono tali traffici. Oltre ai gruppi locali a ridosso delle coste, infatti, ricoprono ruoli importanti le tribĂą Tuareg (nel settore centro-occidentale) e Toubou (nel settore centro-orientale), i gruppi legati all’estremismo come al-Morabitoun di Belmokhtar (da alcuni analisti considerato gruppo piĂą criminale che terrorista) o perfino i gruppi jihadisti del Sahel (Ansar Dine, Al-Qaeda nel Maghreb Islamico…) che ne ricavano considerevoli proventi, oltre, naturalmente, agli ufficiali e burocrati locali spesso corrotti che profittano di tali traffici. Non intendiamo ora scendere nei dettagli di tali gruppi, del loro business model o delle atroci condizioni che i migranti si trovano ad affrontare in tali viaggi disperati, ma appare chiaro come le dinamiche che regolano i flussi siano collegate alla complessitĂ di una regione ben piĂą vasta della sola Libia.
A tal proposito, spesso si cita il passato accordo tra Italia e Libia per fermare le partenze di immigrati dalla Libia, ma è bene ricordare che Gheddafi, di fatto, barava… i libici fermavano le partenze ma non avevano alcun modo di fermare i flussi migratori nel loro insieme – in particolare non le dinamiche a monte. Non a caso chi arrivava in Libia veniva spesso fermato tra Sebha e al-Kufra e subiva dalle autorità stesse le brutalità che aveva sopportato fino a quel punto, o veniva costretto a muoversi altrove – con le conseguenze che ciò poteva avere nel Sahara.
Quello che non abbiamo mai saputo, perché Gheddafi è caduto prima, è quanto un simile sistema avrebbe potuto reggere, considerando la progressiva crescita dei flussi migratori negli anni (anche contando che parte di essi derivano da conflitti originati proprio dalla caduta di Gheddafi). Quanto, cioè, ci avrebbe messo il sistema libico prima di essere incapace di controllare i numeri in arrivo o, per evitarlo, quale effetto avrebbe avuto il dirottamento dei flussi verso le vicine Algeria ed Egitto?
Questo pone una serie di problemi fondamentali relativamente ad alcune opzioni che spesso vengono citate in ambito politico e pubblico europeo ed italiano, in particolare la creazione, direttamente in Nord Africa, di centri di accoglienza o campi che fungano da centri di smistamento, con la collegata possibilitĂ di doverli proteggere con forze armate (ad esempio sotto mandato ONU). Insomma, cosa davvero significhi “smistare” i migranti in Africa – che è quello che ci apprestiamo ad analizzare ora.
(fine parte 1 – continua)
Lorenzo Nannetti
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Un chicco in piĂą
Per semplicitĂ ci stiamo limitando a un’analisi dei flussi migratori e dei traffici di esseri umani ad essi connessi; in particolare ci interessa evidenziare le principali dinamiche, così da renderle accessibili al grande pubblico senza scendere in dettagli troppo ostici. Tuttavia, è bene comprendere come non solo la questione sia ben piĂą complessa di quanto qui presentato, ma anche di come le stesse rotte vengano usate anche per altri traffici (armi, droga…) e come, dunque, la complessitĂ dei network criminali che sono dietro a tali fenomeni sia davvero elevata. Per chi fosse interessato ad approfondire, esistono numerosi lavori molto dettagliati sull’argomento, ad esempio consigliamo questo di The Global Initiative Against Transnational Organized Crime: Libya: a growing hub for Criminal Economies and Terrorist Financing in the Trans-Sahara, dal quale traiamo, per dare un’idea immediata della complessitĂ , questa mappa sui principali traffici:
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Foto: Bashar Shglila
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Foto: Swiatoslaw Wojtkowiak
Foto: Graffyc Foto
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