In 3 sorsi – A tre mesi dalle elezioni i sondaggi vedono scendere sempre più i consensi per Maduro e si teme un’aggravarsi delle tensioni interne, dovute a crisi economica, instabilità politica e, non da ultimo, ai recenti scontri e alla chiusura di una parte della frontiera con la Colombia.
1. TENSIONI ALLA FRONTIERA – Da oltre cinquant’anni la Colombia è devastata da un conflitto civile che interessa anche la sicurezza del vicino Venezuela. Fra le conseguenze episodi di contrabbando e violenza paramilitare. Si trafficano carburante, generi alimentari e beni di prima necessità, e i venezuelani rivendono i beni per procurare quello che manca. Per il Paese si tratta dell’alienazione di oltre il 40% dei beni prodotti in patria e la perdita di almeno due miliardi di dollari l’anno. A ciò si aggiungono scontri armati fra i due Paesi – ricordiamo, ad esempio, l’assassinio del deputato dell’Assemblea Nazionale venezuelana Robert Serra, ucciso lo scorso anno da sicari colombiani. Ma l’ultimo attacco è del 20 agosto scorso, quando, nei pressi della città di San Antonio del Tachira, tre militari e un civile sono stati feriti mentre svolgevano regolari controlli di frontiera. È quasi un mese che fra i due Paesi vige lo stato di eccezione, ossia la chiusura militarmente sorvegliata della frontiera, prima solo all’altezza del Tachira e poi estesa al Passo di Paraguchon. Non sembra esserci spazio per la diplomazia, dal momento che entrambi i Presidenti hanno richiamato in patria i rispettivi ambasciatori. Secondo un comunicato rilasciato dal ministero degli Affari esteri di Caracas, è stato avviato un corridoio umanitario per le emergenze, e il 4 settembre il Presidente venezuelano Nicolás Maduro ha ordinato l’apertura parziale di un tratto di confine, in modo da agevolare il commercio legale e permettere il transito di studenti e lavoratori. Secondo i dati delle Nazioni Unite, però, almeno 18.000 colombiani che risiedevano in Venezuela sono ritornati nel loro Paese e oltre 1.500 sono stati deportati.
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Fig. 1 – Nicolás Maduro, alla guida del Venezuela dopo la morte di Hugo Chávez
2. CRISI ECONOMICA – E mentre da un lato si cerca di mettere un freno al contrabbando, dall’altro il crollo dei prezzi del petrolio sta minando gravemente la già precaria economia del Paese. Il Venezuela possiede i più grandi giacimenti di petrolio al mondo, seguito dall’Arabia Saudita. Tali risorse rappresenterebbero un enorme potenziale per il Paese, che però è riuscito a sfruttarlo solo in parte. Come spiega la PDVSA, la compagnia statale venezuelana, si tratta di petrolio pesante, di scarsa qualità, difficile da esportare. Il Paese è dunque costretto a importare persino il bene che possiede in maggiori quantità. E ciò non giova certamente all’economia già poco stabile: secondo la Banca Mondiale, nel 2014, l’inflazione si attestava al 62,2% e il PIL scendeva del 4%. Lo scorso marzo il Paese ha ricevuto un prestito di 10 miliardi di dollari dalla Cina, e ulteriori 5 miliardi sono stati accordati pochi giorni fa in cambio di una maggiore esportazione di petrolio nell’Impero di mezzo. Giocano poi un ruolo fondamentale le cicliche carenze di beni di prima necessità – beni come olio, formaggio, sapone, zucchero, medicinali, che fino a pochi anni fa erano facilmente reperibili, oggi sono praticamente spariti – e la crisi nel consumo interno.
Fig. 2 – Il petrolio, principale risorsa dell’economia venezuelana
INSTABILITÀ INTERNA – E la situazione potrebbe aggravarsi ancora con l’avvicinarsi delle elezioni legislative convocate dal consiglio elettorale nazionale per il 6 dicembre. L’opposizione ormai non ci sperava più. I continui rinvii erano visti come un tentativo del Governo di temporeggiare, dal momento che sembra che il presidente in carica Maduro non abbia più tutto quel consenso che lo ha fatto eleggere erede di Chavez, nel 2013. Ma il Governo venezuelano sembra invece intenzionato ad aprirsi un po’ di più, avendo invitato l’UNASUR a mandare un team di osservatori per tutta la durata delle elezioni. E mentre Caracas si appresta a dare il via alla campagna elettorale, che inizierà ufficialmente il 13 novembre, il leader del partito d’opposizione Voluntad Popular Leopoldo Lopez, è stato condannato a 13 anni e 9 mesi di carcere con l’accusa di aver incitato le rivolte del 2014. L’opinione pubblica continua a protestare, e ciò potrebbe danneggiare ulteriormente l’immagine del Presidente.
Claudia Patricolo
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Un chicco in più
Data simbolo, quella delle elezioni, dal momento che era proprio il 6 dicembre del 1998 quando Hugo Chávez veniva eletto presidente con il 56% dei voti favorevoli. Da quel giorno una ventata d’aria nuova per il Sudamerica. [/box]
Foto: Mundo33