Al trentaduesimo meeting annuale tra Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, in Perù, Mario Draghi ha rilasciato dichiarazioni ed espresso giudizi in grado di influenzare gli andamenti dell’economia europea e mondiale. Vediamo i principali contributi dell’ex governatore della Banca d’Italia
LA RICETTA PER L’EUROPA – Il 9 ottobre da Lima (Perù) il presidente della Banca centrale europea (BCE) Mario Draghi ha dichiarato che è pronto a sfruttare a pieno il mandato di quest’ultima per garantire la ripresa dell’Europa, sottolineando tuttavia con forza che la «politica monetaria non può fare tutto». Il “Draghi-pensiero” consisterebbe nell’aumentare la portata e la durata del quantitative easing (q.e.) – inaugurato a marzo 2015 e consistente in acquisti per 60 miliardi di euro al mese di assets e bonds pubblici e privati fino a settembre 2016. L’ex governatore della Banca d’Italia ha elogiato i risultati fin qui raggiunti dal q.e., che avrebbe avuto «un impatto favorevole sul costo e sulla disponibilità di credito per privati e aziende, contribuendo alla ripresa dell’economia e a una crescita graduale dell’inflazione». Berlino ha manifestato il suo dissenso in merito a queste dichiarazioni, attraverso le parole del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: «Iniziamo a vedere più chiaramente i limiti di politiche macroeconomiche espansive».
Il presidente della BCE ha raccomandato agli Stati europei l’adozione di politiche fiscali atte sia a conseguire la ripresa economica che a garantire un debito sostenibile, sempre nel pieno rispetto delle regole dell’Unione europea (UE). Non sono mancati quindi avvertimenti ai membri altamente indebitati – come l’Italia –: «Con i rendimenti dei bond soggetti ad alta volatilità i Paesi ad alto debito in particolare devono fare attenzione ai rischi collegati a un’inversione di tendenza degli attuali bassi tassi d’interesse». A completamento c’è stato anche l’invito a varare riforme strutturali, considerate da Draghi l’unico mezzo per riportare la crescita in Europa. In particolare, sono state suggerite la riforma dei mercati del lavoro e la costruzione di nuove infrastrutture pubbliche, in quanto fonti d’incremento degli investimenti produttivi e dell’occupazione e, inoltre, “scudo” contro gli shock mondiali.
Fig. 1 – Inaugurazione dei lavori del meeting di Lima, 9 ottobre 2015
I RISCHI GLOBALI – Secondo Draghi, le economie emergenti, Brasile e Cina in primis, potrebbero costituire un fattore di rischio. Il presidente della BCE ha cercato di infondere fiducia in merito alle sorti del Paese asiatico, definendo «rassicurante» il bilancio presentato da Pechino a Lima, ma invitando a non sottovalutare l’esistenza di rischi dovuti ai cambiamenti delle politiche cinesi sul cambio, sul rafforzamento delle banche e sulle misure anti-insolvenza.
In base alle stime del Fondo monetario internazionale (FMI), dall’inizio del 2015 le economie emergenti hanno “perso” 1.000 miliardi di dollari in favore dei Paesi sviluppati – ribaltando il trend del primo decennio del duemila – e sarebbero a rischio default, con un rosso di circa 3.000 miliardi di dollari. Quest’elevatissimo livello del debito proviene sostanzialmente dal settore privato, ma potrebbe anche “contagiare” il settore pubblico. In Cina il 25% del debito dei privati è “a rischio”, e destano preoccupazioni anche le condizioni in Brasile e in Russia.
Durante la riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle Banche centrali del G20 – recentemente conclusosi ad Ankara – erano state manifestate preoccupazioni sulla Cina. Tuttavia, a Lima, la n.1 del FMI Christine Lagarde ha mostrato fiducia nei confronti di Pechino: «La Cina si evolve, sta trasformandosi da un’economia che era dominata dagli investimenti, ad una trainata dai consumi. È una transizione voluta. Ci saranno turbolenze, incidenti di percorso lungo questa strada, ma il cambiamento è legittimo e la direzione di marcia è quella giusta». A conferma di ciò il FMI ha diffuso dati che attestano crescita per Pechino – 6,3% per il 2015 e 6,8% per il 2016.
Il meeting è stato anche l’occasione per l’incontro tra Draghi e la presidente della Federal Reserve (FED) Janet Yellen, inevitabilmente sfociato nel confronto tra le condizioni dell’economia europea e statunitense. Mentre negli Stati Uniti si parla di crescita, questa nell’eurozona è ancora lontana: negli USA si ragiona sul “quando” aumentare i tassi, in Europa sul “quanto” ancora saranno necessarie le misure per la ripresa e non ancora, per l’appunto, quelle per la crescita.
Lascia infine poca libertà d’interpretazione il comunicato consuntivo dello International Monetary and Financial Committee (IMFC) – appendice operativa e di indirizzo del FMI – : «La ripresa globale continua ma la crescita è modesta e incerta. L’incertezza e la volatilità dei mercati finanziari è aumentata e le prospettive di medio termine della crescita si sono indebolite».
Fig. 2 – L’intervento di Christine Lagarde a Lima, 9 ottobre 2015
QUANDO IL TEMPO È DENARO – Le difficoltà delle economie emergenti influenzano inevitabilmente l’Europa e potrebbero accelerare la citata estensione del q.e.. Draghi avrebbe valutato tale scenario in ragione dei potenziali effetti negativi di tutto ciò sull’inflazione europea, cioè sulla ripresa del “vecchio Continente”. Il n.1 della BCE ha tuttavia evitato di indicare una deadline, dichiarando che se «la normalizzazione si allontana troppo nel tempo, il programma ha la flessibilità per essere aggiustato nelle dimensioni, nella composizione e nella durata». Anche il calo mondiale dei prezzi delle risorse energetiche ha influenzato l’inflazione nell’eurozona. Quest’ultima a settembre era allo -0,1% ed è prevista solo una lieve risalita tra il 2016-2017 – mentre dovrebbe essere leggermente inferiore al 2%. Non sarebbe poi in agenda la riduzione del tasso sui depositi delle banche presso la BCE – ritenuto da molti operatori del mercato un provvedimento più efficace del q.e..
L’ex governatore della Banca d’Italia si è espresso anche sulle condizioni di Atene, pronosticando che entro la fine del 2015 le banche greche saranno definitivamente ricapitalizzate, dopo avere già ricevuto 10 miliardi di euro dal “terzo salvataggio”. Inoltre, dopo la prima revisione del programma di aiuti prevista a metà novembre, saranno smobilitati ulteriori 15 miliardi – per un totale di 25 miliardi di euro. Draghi ha poi espresso favore per la riforma della governance delle banche elleniche, considerato passaggio indispensabile per restituire agli istituti la loro «funzione di finanziare l’economia»
Claudio Cherubini
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]
Un chicco in più
Per ulteriori approfondimenti vi suggeriamo di consultare il sito ufficiale del meeting di Lima[/box]
Foto: European Central Bank