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USA – Turchia: vecchie alleanze, nuovi orizzonti

L’antico sodalizio fra Stati Uniti e Turchia vive un momento di grande incertezza. Ecco il quadro delle incomprensioni recenti nell’ambito delle prioritĂ  di politica estera di Washington e di Ankara.

POLITICA MEDIORIENTALE DI OBAMA – Durante la sua prima visita da Presidente in un Paese a maggioranza musulmana, rivolgendosi ai deputati parlamentari turchi, Barack Obama definì l’alleanza tra Washington e Ankara un “partenariato modello”, auspicando così la creazione di legami altrettanto solidi con i Paesi dell’area per “costruire insieme un futuro comune”. Era l’aprile del 2009, e da appena tre mesi il capo di Stato americano aveva prestato giuramento per il suo primo mandato. Non è un caso che avesse scelto proprio la Turchia come luogo da cui lanciare un messaggio di distensione a tutte le nazioni a maggioranza islamica. Fin dai tempi della dichiarazione Truman, infatti, il Governo statunitense aveva riconosciuto il valore strategico di Ankara, instaurando una collaborazione solida e duratura. La posizione geografica della Turchia, all’incrocio tra Balcani, mondo arabo e Mar Mediterraneo, nonchĂ© le sue peculiaritĂ  interne – segnatamente l’apparato democratico, laico e repubblicano in una cornice religiosa musulmana – l’avevano sempre resa un alleato insostituibile. Tuttavia l’approccio dell’amministrazione Obama in materia di politica estera e le decisioni dell’attuale Presidente turco Erdogan hanno significato, negli ultimi anni, l’inasprirsi dell’antico sodalizio.
Nei confronti dell’area mediorientale, Obama ha adottato fin da subito un atteggiamento di evidente disimpegno, ritenendo che una riduzione della presenza militare e politica americana fosse un elemento di importanza vitale per la sicurezza nazionale. Che ciò sia avvenuto seguendo un sentimento isolazionista statunitense, oppure dimostrando un notevole senso pratico, o ancora traducendo in realtĂ  un ingenuo idealismo è argomento di discussione tra i think tanks americani. Resta il fatto che Washington ha dato prova della fermezza dei suoi propositi, non intervenendo militarmente nella crisi siriana nĂ© inviando i suoi uomini a combattere contro il cosiddetto Stato Islamico. Piuttosto, la Casa Bianca ha sollecitato il coinvolgimento degli attori regionali, riservandosi il ruolo di interlocutore decisivo ma non piĂą incline a risolvere unilateralmente i conflitti dell’area. In quest’ottica, ad esempio, può leggersi il recente accordo con l’Iran, che condurrĂ  Teheran, pienamente riabilitata, ad assumere un ruolo primario nella scacchiere mediorientale.
In definitiva, l’amministrazione Obama ha puntato alla costruzione di un equilibrio fra potenze – Ankara, Teheran, Ryad, Tel Aviv – impedendo al contempo l’ascesa di un’unica protagonista. La volontĂ  sottesa a questo approccio è quella di delegare alle forze regionali buona parte della gestione delle crisi.

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Fig. 1 – Obama e Erdogan, alleati “forzati” nella NATO

NEW-OTTOMANISM – Inizialmente l’indirizzo politico impresso da Obama sembrava ben conciliarsi con la strategia portata avanti dall’attuale Presidente turco Recep Tayyip Erdogan e teorizzata dal Primo ministro (ed ex ministro degli Esteri) Ahmet Davutoglu. Si trattava di un programma efficacemente riassunto dallo stesso Davutoglu nel motto “zero problemi con i vicini”. Il proposito era quello di coltivare buoni rapporti con tutti gli Stati confinanti, non solo di orientamento sunnita e dunque tradizionalmente piĂą affini, come l’Arabia Saudita e l’Egitto, ma anche sottoposti a governo sciita, come l’Iran e la Siria di al-Asad, fino a ricomprendervi lo stesso Israele. Scopo ultimo del progetto era quello di porre Ankara come mediatrice indispensabile negli attriti e nei dialoghi regionali. Su questa base si sarebbe costruita un’egemonia turca, incentrata sul soft power ed estesa ai confini dell’antico Impero Ottomano.
Nei primi anni di Governo dell’AKP queste aspirazioni regionali, definite significativamente “new-ottomanism”, sembravano destinate al successo. Erdogan aveva intrecciato buoni rapporti con Tel Aviv e Damasco, puntava a dirimere le dispute tra le storiche rappresentanti di sunnismo e sciismo (Ryad e Teheran), e aveva avviato un’opera di distensione persino con gli storici antagonisti curdi. La significativa accelerazione economica (crescita media del PIL pari al 5,2%) contribuiva ad assicurargli un forte consenso interno.

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Fig. 2 – Obama nella sua prima visita di Stato in Turchia

SCENARI RECENTI E NUOVE PROSPETTIVE – Nel tentativo ambizioso di ergersi a solitario leader della regione Erdogan si è tuttavia allontanato sempre piĂą da Washington. Il suo intento di fare della Turchia l’unica e predominante potenza dell’area è emerso in maniera sempre piĂą evidente negli ultimi anni, e ha generato una serie di incomprensioni con la Casa Bianca, decisa piuttosto a inserire Ankara in un bilanciato quadro di potenze locali. Tra i fattori di progressivo allontanamento deve anzitutto citarsi la rottura del Presidente turco con Bashar al-Asad, che gli ha precluso la possibilitĂ  di porsi come interlocutore risolutivo nella crisi siriana. Peraltro, i suoi appelli per un’azione militare statunitense a Damasco non sono stati ascoltati da Obama, fedele alla linea del non-intervento. Inoltre, alle perentorie condanne americane circa l’avanzata dell’ISIS ha corrisposto, fino allo scorso luglio, un ambiguo atteggiamento del Governo turco, che ha alimentato i dubbi sull’affidabilitĂ  di Ankara come partner leale. NĂ© devono dimenticarsi i legami economici sempre piĂą stretti che legano la Turchia alla Russia (nonostante la divergenza di vedute sulla crisi siriana), in un momento in cui la rottura fra Casa Bianca e Cremlino sembra essere preoccupante. A questi elementi va aggiunto anche un dato di politica interna, cioè la deriva autoritaria verso cui il Presidente turco sembra essersi avviato. All’indomani delle proteste di Gezi Park (esplose nel maggio 2013) Obama ha ricordato in piĂą occasioni l’importanza del diritto di espressione, della non-violenza, della libertĂ  di stampa, principi impunemente violati dal Governo dell’AKP.
Con la recente dichiarazione di guerra allo Stato Islamico e la concessione della base di Incirlik alle forze aeree USA, il Governo turco sembrava procedere verso un riavvicinamento a Washington. Ma nonostante il segnale distensivo, dettato anche dal timore di un dinamismo iraniano, la distanza che separa la Casa Bianca da Ak Saray (il palazzo presidenziale turco) continua a essere profonda.
I due capi di Stato, protagonisti degli ultimi anni, affrontano peraltro momenti del tutto diversi. Mentre Obama si prepara a lasciare la guida del Paese, (il partito di) Erdogan ha appena riottenuto la maggioranza parlamentare che agognava, e spera di realizzare una riforma costituzionale che trasformi la Turchia in una repubblica presidenziale. Da un lato, dunque, dovrĂ  vedersi se l’approccio di Obama alle questioni mediorientali sarĂ  condiviso dal suo successore, ovvero se verrĂ  ricordato come un esperimento temporaneo. D’altro lato, bisognerĂ  osservare come Erdogan plasmerĂ  l’indirizzo estero turco, posto che, se aspira a una posizione dominante nella regione, sarĂ  necessaria una svolta.

Giulia De Nardis 

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Un chicco in piĂą

  • Per “dichiarazione Truman” si intende il discorso che il Presidente americano Harry Truman pronunciò al Congresso il 12 marzo 1947. In esso, Truman spiegò la necessitĂ  di inviare aiuti economici alla Grecia e alla Turchia sottolineando, in particolare, che l’integritĂ  territoriale turca era fondamentale per la salvaguardia dell’ordine nel Medio Oriente. La dichiarazione viene comunemente ricordata come un momento di svolta nella politica estera degli Stati Uniti, che da potenza isolazionista assunsero ufficialmente un ruolo di primo piano nella contrapposizione all’Unione Sovietica e nella sorveglianza dell’assetto geopolitico globale.
  • Per un approfondimento dei rapporti Turchia-NATO:
    https://ilcaffegeopolitico.net/30809/nato-turchia-elementi-di-un-binomio-complesso

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Foto: g20_turkey

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Giulia De Nardis
Giulia De Nardis

Nata nel 1989 a Pescara ma romana d’adozione, mi sono laureata in giurisprudenza con una tesi in filosofia del diritto. Ho conseguito un master alla SIOI in Studi Diplomatici ed attualmente sfido la sorte preparando alcuni concorsi pubblici. Nel mondo delle relazioni internazionali guardo con particolare interesse all’America Latina, al Medio Oriente ed agli Stati Uniti, dei quali mi occupo per Il Caffè Geopolitico.

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