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Migrazioni in America Centrale: da esodo a vera fuga di persone (I)

Di migrazioni in Sudamerica se ne parla poco, se non per riferirsi all’ultradecennale spostamento massivo di persone verso il Messico,  tappa ultima di un infinito viaggio della speranza per raggiungere gli Stati Uniti. Ma alcuni paesi del Centro America sono già da tempo colpiti da forti ondate migratorie

ORIGINI DEL FENOMENO MIGRATORIO IN AMERICA LATINA: LE MIGRAZIONI SUD-SUD – Il ventaglio di motivi per cui un individuo decide ad un certo punto di abbandonare le proprie radici, la propria casa per il desiderio egoista di andare altrove in cerca di maggiore fortuna o, semplicemente, per fuggire da una situazione di conflitto è molto ampio; di ordine politico, etnico, religioso, di sicurezza cittadina, di lotta contro il terrorismo, catastrofi naturali, conflitti armati. Quella economica non è dunque stata l’esclusiva ragione che ha spinto le persone a migrare.
Infatti, già a partire dal secolo XX i Paesi latinoamericani hanno conosciuto migrazioni di carattere preminentemente interno, per la maggior parte dovuti alla crisi agricola verificatasi tra gli anni Venti e Cinquanta, la quale aveva favorito la migrazione dalle zone rurali verso le aree metropolitane delle proprie nazioni. In quel periodo una delle risposte alla crisi data in Paesi come l’Honduras, il Costa Rica, il Belize e il Nicaragua era stata quella di investire nell’industria agroalimentare puntando tutto sull’esportazione di prodotti locali, grazie anche alla presenza di imprese transnazionali provenienti dagli Stati Uniti ed insediate nell’economia delle città più importanti, favorendo così il processo di urbanizzazione dei capoluoghi.
Questo fenomeno ha preso il nome di “migrazione sud-sud” (Brisson Marise, Migraciones… Alternativa Insólita?, DEI, San José, 1997, pp.87.) secondo cui si intendono quelle migrazioni che coinvolgono i Paesi in via di sviluppo (quindi, da e tra gli Stati latinoamericani) e che sovente fanno registrare numeri maggiori rispetto alla “migrazione sud-nord”. D’altro canto, la migrazione sud-sud consente di far emergere e contrapporre i livelli di sviluppo dei vari paesi coinvolti.
Infatti, le prime generazioni di migranti furono indirizzate verso i centri urbani industrializzati, dando poi vita ai barrios (località molto simili alle favelas brasiliane), situati ai margini delle grandi città, favorendo maggiori diseguaglianze di classe e di esclusione sociale. La migrazione sud-sud si contrappone, poi, a quella “sud-nord” (o detta anche “migrazione extra-regionale”) che ha trovato spazio negli ultimi decenni, la quale è scaturita dai cambiamenti politici e sociali che si sono sviluppati in quegli stessi anni in molti Paesi latinoamericani, spronando la popolazione ad oltrepassare i confini nazionali verso gli Stati Uniti, Canada ed Europa, quest’ultima destinazione molto più ambita prima di venir colpita dalla crisi economica.
In questo caso, tra gli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, i conflitti interni alla società civile, i regimi dittatoriali e i Governi dispotici sono stati determinanti affinché importanti fette di popolazione migrassero verso queste aree geografiche. Il decennio successivo, tuttavia, ha visto un cambio di rotta in tutti i sensi nei vari stati della regione: una concatenazione di fattori tra cui il persistente clima di alta tensione politica a scapito della tranquillità e sicurezza cittadina, cosi come il sopraggiungere di ulteriori fattori quali catastrofi naturali (el Niño, terremoti, alluvioni, per citarne alcuni). L’insieme di questi molteplici fattori ha favorito che l’ondata migratoria rimanesse circoscritta entro i propri confini nazionali.

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Fig. 1 – L’America Centrale è una regione molto complessa sotto diversi punti di vista

PECULIARITÀ DELLE MIGRAZIONI IN CENTROAMERICA Il popolo dell’America Latina che migra attualmente è costituito per la maggior parte dai cosiddetti “migranti interni”- “desplazados”. In particolare, la situazione politica del Centro-america si presenta, in termini generali, altamente democratica; i livelli di corruzione sono bassi; vi è relativa libertà di espressione; la partecipazione cittadina alle elezioni è considerevole; in poche parole, la macchina democratica funziona discretamente.
Ciononostante, permangono forti debolezze nell’intero sistema politico degli Stati che compongono la regione, sia per la presenza di contraddizioni strutturali e disuguaglianze etniche, sia in relazione all’esclusione ed emarginazione dei ceti meno abbienti inseriti in un contesto socio-economico ancora centralizzato. Queste premesse sono necessarie per capire anche in che modo la dinamica migratoria si evolve e in quali termini essa è saldamente condizionata dalla risposta statale in materia.
Come abbiamo già avuto modo di spiegare, alcuni delle migrazioni degli ultimi anni Settanta varcarono le frontiere dei Paesi confinanti, come quella tra il Guatemala e il Messico, quelle di El Salvador e Guatemala e l’Honduras, nonché quelle del Nicaragua e Panama con il Costa Rica. In particolare, si considera che la migrazione transfrontaliera tra El Salvador e l’Honduras sia uno dei tanti elementi che hanno portato, nel 1969, al conflitto armato poiché venivano posti in discussione i confini territoriali che entrambi i paesi avevano in comune.
In quel periodo il fenomeno migratorio non veniva considerato allarmante posto che i migranti, costituiti in linea di massima da uomini adulti e scarsamente alfabetizzati, si spostavano e venivano visti come forza lavoro necessaria da impiegare in diversi lavori nelle varie città e da inserire nei vari mercati di lavoro di ciascuna regione. Di conseguenza, la migrazione, intesa in questi termini, avveniva volontariamente poiché basata sulla ricerca di un lavoro e perché caratterizzata per l’alta domanda di manovalanza che veniva offerta dai Paesi vicini.
Sul finire degli anni Settanta e con lo scoppiare di conflitti interni nei vari Paesi, la migrazione in Centro-america è mutata radicalmente, coinvolgendo categorie diverse di individui (desplazados forzados) che ora migrano per fuggire dalla violenza sistematica del conflitto armato o dalle sequele post-conflitto.

Claudia Pillosu

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””] Un chicco in più 

Durante il 30° Anniversario della Dichiarazione di Cartagena sui Rifugiaticon il quale si vuole riprendere la definizione di “rifugiato” in Latinoamerica e, al contempo, proporre nuove modalità di cooperazione che rispondano alle necessità dei rifugiati e dei desplazados interni, venne adottata la Dichiarazione e il Piano d’azione di Brasile.
Attraverso la Dichiarazione di Brasile gli Stati membri dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati intendono ampliare il quadro normativo regionale attualmente esistente per adattarlo ai nuovi bisogni di questo gruppo vulnerabile di persone, quali sono i rifugiati, i migranti, nonché gli apatridi.
Le misure che gli Stati si sono impegnati ad adottare sarebbero dovute entrare in vigore entro il 2014. [/box]

Foto: Álvaro Herraiz San Martín

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Claudia Pillosu
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Italo-peruviana di nascita e nel cuore, giro per il mondo per scelta e passione per il mio lavoro. Sono Dottoressa in Giurisprudenza dell’Universitá degli Studi di Cagliari con una tesi in Diritto Internazionale sulla tematica del cyber-crime nell’Organizzazione degli Stati Americani. Ho frequentato corsi di specializzazione in Diritto Internazionale Privato presso The Hague Academy of International Law e sui Diritti Umani e Diritti dei bambini all’Institut International des droits de l’homme a Strasburgo. Durante gli studi universitari ho lavorato per brevi periodi presso l’Ambasciata del Perú nei Paesi Bassi e la Contraloria General a Lima. Attualmente mi ritrovo in Costa Rica lavorando in qualità di Visiting Professional presso la Corte Interamericana dei Diritti Umani.

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