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Accesso alle risorse idriche: tra garanzia e conflitto

Miscela strategica – A quasi cinque anni di distanza dall’adozione della Risoluzione 64/292, dedicata alle risorse idriche, proviamo a capire se al risultato politico sia seguito qualche passo concreto. La direzione indicata dalla Risoluzione auspicava la garanzia dell’accesso alle risorse idriche e ad adeguati servizi igienico-sanitari, riducendo le disparità geografiche

LA RISOLUZIONE ONU 64/292 DEL 2010 – Ci eravamo lasciati così, accogliendo con soddisfazione la data del 28 luglio 2010, giorno in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva adottato la Risoluzione numero 64/292, “The human right to water and sanitation”.
Il testo ha esplicitamente riconosciuto l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari come diritti umani fondamentali essenziali per il pieno godimento del diritto alla vita e di tutti gli altri diritti umani. Con 122 voti a favore, nessun voto contrario e 14 astensioni, la Risoluzione 64/292 delle Nazioni Unite ha definito in modo inequivocabile il problema politico della scarsità delle risorse idriche. La Risoluzione muove le premesse da dati allarmanti (dati ONU riferiscono di circa 844 milioni di persone totalmente prive di un qualsiasi accesso all’acqua potabile), scontrandosi tuttavia con il fattore naturale dell’ineguale distribuzione delle risorse idriche (il 60% delle fonti è localizzato in pochi Stati, fra cui Russia, Stati Uniti, Canada, Brasile e Indonesia, mentre circa il 40% della popolazione mondiale versa in una condizione di scarsità).

I ‘PARAMETRI’ – Prima di procedere con l’analisi degli “effetti” prodotti dalla Risoluzione 64/292 delle Nazioni Unite è necessario ricordare due meriti che la contraddistinguono. Innanzi tutto, la Risoluzione 64/292 invita gli Stati e le Organizzazioni internazionali a creare una rete allargata per favorire il supporto finanziario e tecnologico a vantaggio dei Paesi in via di sviluppo (PVS), dove è maggiormente diffusa la carenza di servizi igienico-sanitari e più difficile l’accesso all’acqua potabile.  Di fatto, la Risoluzione incoraggia la gestione integrata delle risorse idriche partendo dalla premessa che le società, a tutti i livelli, (cittadini, Governi e Organizzazioni internazionali) debbano far fronte a un problema comune e condiviso.
Un secondo elemento di notevole interesse rappresenta l’individuazione di alcuni parametri che concorrono a identificare il diritto universalmente riconosciuto. La Risoluzione non individua dei “criteri”, tuttavia ne riconosce implicitamente i tratti più salienti. Ad esempio, l’accesso all’acqua deve essere continuo e tale da poter soddisfare gli usi personali e domestici; deve essere sicuro ed accessibile fisicamente, culturalmente ed economicamente. Questi principi trovano riscontro nelle “Linee guida sulla qualità dell’accesso alle risorse idriche”, aggiornate periodicamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

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Fig. 1 – Un’immagine della contestata Grande Diga della Rinascita (Etiopia). Ancora in costruzione, se completata sarà la più grande d’Africa

I SEGUITI DELLA RISOLUZIONE ONU – Il rapporto congiunto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’UNICEF intitolato Progress on Drinking Water and Sanitation (Update 2014) tiene traccia dei progressi compiuti dagli Stati in materia di gestione delle risorse idriche rispetto al settimo obiettivo di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) relativo alla sostenibilità ambientale. L’obiettivo di sviluppo fissa, entro il 2015, il dimezzamento della porzione della popolazione mondiale senza accesso ai servizi igienico-sanitari e/o all’acqua potabile. Malgrado siano stati compiuti notevoli progressi (con 56 Stati totalmente allineati agli obiettivi dichiarati), il Rapporto rileva ancora la presenza di forti disparità regionali, con evidenti difficoltà nel conseguimento del target proposto dalla settima macro area sulla sostenibilità ambientale. Così, se l’enunciazione di principio eleva l’accesso all’acqua a diritto inalienabile universalmente riconosciuto, la sua implementazione pratica si scontra con ostacoli di diversa natura, mentre l’ineguale distribuzione delle risorse si configura sempre più frequentemente come la causa di tensioni infra o interStatali.

LA GESTIONE DEL CORSO DEL NILO – Fra le zone maggiormente a rischio vi è quella nord-africana con la complessa gestione del corso del Nilo, i cui trattati sul pieno utilizzo delle acque risalgono al 1959. Benché nell’immaginario collettivo il Nilo rimanga legato alla storia dell’Egitto,  in realtà il fiume dà vita a un imponente bacino idrografico condiviso da nove Stati (il Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea, il Kenya, l’Uganda, la Tanzania, il Ruanda, il Burundi e la Repubblica democratica del Congo), ognuno dei quali ha più volte manifestato la tendenza – e il desiderio – di esercitare il proprio diritto sovrano di gestione delle risorse idriche con finalità energetiche (ad esempio mediante la costruzione di dighe con impianti idroelettrici) e a tutela degli interessi nazionali (per esempio grandi acquedotti). Se da un lato i progetti statali rispondono a una esigenza economica e di sicurezza, dall’altro possono  compromettere un equilibrio regionale basato ancora su accordi internazionali di natura bilaterale (Egitto-Sudan) risalenti agli anni Sessanta.
Tali accordi, seppur datati, risultano ancora oggi gli unici atti di riferimento per la gestione delle acque del Nilo. I trattati, essendo di natura bilaterale, escludono gli altri Paesi che, al tempo della loro negoziazione, erano ancora sottoposti al regime coloniale. L’anacronistica situazione della gestione delle acque del Nilo, che riposa sugli accordi fra il Sudan e l’Egitto, mette in luce la criticità della condivisione delle risorse idriche nel loro complesso e, purtroppo, rileva la natura ancora acerba dell’enunciazione di principio contenuta nella Risoluzione ONU.

Emanuela Sardellitti

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più

Per chi volesse approfondire, sul sito delle Nazioni Unite è possibile trovare il testo integrale della Risoluzione 62/292.

Per un “colpo d’occhio” su alcune infrastrutture idriche controverse, vi segnaliamo una suggestiva galleria immagini proposta da The Guardian. Le foto mostrano bene quanto un’opera possa modificare le caratteristiche di un territorio e la sua mappa idrografica.

Consigliamo inoltre, sulle nostre pagine:

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Foto: hughrocks

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Emanuela Sardellitti
Emanuela Sardellitti

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo politico internazionale, ho conseguito varie specializzazioni in tema diritto internazionale e diplomatico e gestione delle risorse energetiche presso la SIOI, l’Università degli Studi di Roma Tre e l’UNEP. Lavoro come policy advisor presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, mi occupo di affari regolatori e politiche di natura ambientale. Sono parte delle delegazioni italiane per i negoziati sui cambiamenti climatici e le sostanze ozono lesive in ambito Nazioni Unite. Dal 2005, ho intrapreso varie collaborazioni con riviste come Equilibri, “Asia Times”,  Power and Interest News Report su temi legati alla sicurezza o con editoriali specialistici come Quotidiano Energia sulle dinamiche energetiche.

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