In 3 sorsi – Il risultato del referendum in scena il 21 febbraio in Bolivia per apportare una modifica costituzionale e rendere Evo Morales eleggibile per il quarto mandato consecutivo (2019). Il “NO” conferma il declino socialista già avvertito in Argentina e Venezuela?
1. RISULTATI NON UFFICIALI, MA PLAUSIBILI – Mentre il Tribunal Supremo Electoral (TSE) procede nello sfoglio ufficiale dei voti per la riforma dell’articolo 168 della Costituzione Boliviana, gli exit poll danno in vantaggio il NO con il 52,3%. Nello specifico il Movimiento Al Socialismo (MAS) vede il rifiuto alla ricandidabilità del leader indio Morales per il quarto mandato consecutivo ed il veto giunge proprio dalle regioni più povere del Paese: Potosí (60%), Chuquisaca (57,6%), Tarija (61%), Pando (53,1%), Beni (61%), in linea con la provincia più ricca, Santa Cruz (58,5%.) Solo i distretti di La Paz (55,9%), Oruro (50,1%) e Cochabamba (52,1%) sembrano propendere per il SI’. Evo Morales è presidente della Bolivia da tre mandati: il primo (2006-2009) antecedente alla nuova Carta Costituzionale introdotta nel 2009 ed il secondo (2010-2014) e terzo (2015-2019) successivi, ma non costituzionalmente cumulativi al primo in quanto successivi alla nuova costituzione e quindi collegati al nuovo corso costituzionale della Bolivia. Detto ciò l’articolo 168 del testo costituzionale sancisce l’eleggibilità del presidente e del vice presidente per un massimo di due mandati consecutivi.
Fig. 1 – Si prospetta una battuta d’arresto per Evo Morales?
2. PERCHÈ NO? – Le motivazioni del veto popolare che si sta delineando sono da ricercarsi prevalentemente nell’attuale struttura politica del MAS e nelle esperienze fallimentari di altri Paesi su tale tema. Il Movimiento Al Socialismo ha progressivamente costruito il proprio centro di potere nella capitale federale portando i distretti limitrofi a soffrire una progressiva deriva dalla partecipazione alla politica nazionale. I distretti lontani da La Paz lamentano una loro esclusione più o meno grave dalla redistribuzione delle ricchezze ed un’estromissione dal flusso economico attivo del Paese. In poche parole, le aree rurali restano tali senza alcuna prospettiva di inclusione nel ciclo attivo socio-economico della Bolivia. Secondo fattore che incide sulla scelta del NO è l’esempio derivato dalla Repubblica Bolivariana del Venezuela dove la riforma costituzionale (2009) per rendere rieleggibile Chávez ebbe negli anni l’effetto di trasformare il progetto socialista in progetto chavista dal quale scaturì una crisi politica (ancora in essere) a seguito della prematura morte del caudillo. Inoltre anche l’esempio argentino spinge il popolo boliviano a dire NO. Infatti il continuum kirchnerista alla guida del paese dal 2002 al 2015 ha disegnato una parabola pericolosa per il popolo argentino che dall’uscita miracolosa dal default del 2001 si è ritrovata negli ultimi anni a rivivere lo spettro del collasso economico e finanziario. Una gestione politica poi pagata con il risultato elettorale che sul finire del 2015 ha riportato alla guida del paese un liberale (Macri) dopo ben 14 anni di socialismo peronista.
Fig. 2 – Il vicepresidente boliviano, Álvaro Garcia Linera
3. RIFLESSIONI D’INSIEME – Prendendo i dati della Banca Mondiale notiamo come nel complesso il corso politico di Morales non sia affatto fallimentare: il tasso annuale medio di crescita economica della Bolivia è del 4,9%, il debito pubblico è inferiore al 40% del PIL e la povertà si attesta ben al di sotto del 50% (nel 2002 era del 63%) e di conseguenza anche l’indice di Gini si è contratto in modo positivo passando dallo 0,60 allo 0,49. La povertà estrema interessa ancora il 18% circa della popolazione, ma al contempo l’analfabetismo è sceso fino al 3,77%. Merito di un forte investimento pubblico in politiche di riequilibrio sociale reso possibile dalla gestione pubblica di risorse strategiche quali gas naturali e riserve minerarie. Ma tutto ciò deve essere una tappa di un percorso di crescita costante che non può legarsi all’interpretazione dei singoli ed ecco come si giustifica la scelta del NO. A tal proposito va letta la decisione di non ricandidarsi dell’ “alter ego” ecuadoriano di Morales, Rafael Correa, quale gesto di maturità politica dove il singolo antepone il progetto politico alla popolarità degli interpreti dello stesso. Correa si svincola dal personalismo socialista mettendo in evidenza la continuità del progetto a prescindere dal suo leader. L’azzardo di Morales nell’indire il referendum costituzionale sembra dover finire con il sottolineare i limiti dello stesso MAS nell’evolvere e rinnovarsi ben oltre i suoi interpreti quando, magari, sarebbe bastato spingere il favore popolare verso l’elezione di un nuovo presidente interno al partito (magari l’attuale vicepresidente ed ideologo Álvaro García Linera).
William Bavone
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Per un resoconto dettagliato del risultato referendario del 21 febbraio 2016 vi rimandiamo alla pagina del quotidiano boliviano La Razón
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Foto: Sebastian Baryli