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La tentazione militare di un Giappone in crisi

Negli ultimi vent’anni, a seguito anche dell’ascesa della Cina in Asia orientale, il Giappone sembra aver perso il peso geopolitico e economico di una volta. Di fronte a questa consapevolezza e alle recenti tensioni con Pechino, il Primo ministro Shinzo Abe propone una riforma delle Forze armate che ruota intorno alla sostanziale revisione dell’articolo 9 della Costituzione giapponese, in modo da garantire una maggiore assertività al Paese nell’area dell’Asia-Pacifico

LA SITUAZIONE GEOPOLITICA GIAPPONESE – Dopo trent’anni di crescita economica e di prosperità in ambito industriale, tecnologico e finanziario, a partire dagli anni Novanta, in seguito al sopraggiungere della stagnazione e della deflazione, il Giappone ha assistito all’erodersi della sua posizione di leader economico e commerciale in Asia orientale, garantendo ad altri Paesi, come Cina, Corea del Sud e Taiwan, la possibilità di attrarre grandi quantità di investimenti esteri prima diretti verso il Giappone e di emergere effettivamente come agguerriti  competitor. Attualmente il Giappone, terza potenza economica in seguito al sorpasso cinese del 2010, continua a trovarsi in una situazione di accentuata debolezza economica, aggravata dalla scarsa crescita degli ultimi anni, dal forte declino demografico e dall’elevato debito pubblico. Ma ciò che preoccupa Tokyo è soprattutto la forte crescita in ambito militare della Repubblica popolare cinese: attraverso la propria forza militare, la Cina sta attuando una politica estera di forte assertività nella regione, per garantirsi il controllo del Mar Cinese Meridionale e del Mar Cinese Orientale. Tale politica va a contrapporsi con gli interessi di Tokyo, che vede in tutto ciò una minaccia per l’influenza che il Giappone esercita nell’area e anche per la sovranità sulle isole Senkaku, reclamate dalla Cina con il nome di Diaoyu. La disputa per queste isole ha portato, negli scorsi anni, a forti tensioni tra le due parti, e più di una volta i due Paesi hanno sfiorato lo scontro militare.

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Fig. 1 – Soldati delle Forze terrestri di autodifesa giapponesi partecipano a un’esercitazione nella base di Yokosuka, settembre 2014

LE FORZE DI AUTODIFESA – In seguito a quanto sancito dall’articolo 9 della Costituzione, il Giappone rinuncia alla guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali e, per rispettare tale presa di posizione, lo stesso articolo impedisce al Paese di disporre di vere e proprie Forze armate, con l’obiettivo di impedire al Giappone di dichiarare guerra a un altro Paese, sia giuridicamente sia materialmente. Nel 1954 nacquero quindi le Forze di Autodifesa: esse sono delle Forze armate, ma limitate, in quanto la loro natura è esclusivamente difensiva ( in linea con i principi pacifisti della costituzione). Tali forze sono divise in più branche (aeree, marittime e terrestri), e mentre il Primo ministro svolge il ruolo di Comandante in Capo, il Ministero della difesa è responsabile dell’organizzazione delle Forze di autodifesa. Nonostante la natura delle Forze di autodifesa giapponesi sia prettamente difensiva, esse sono considerate tra le Forze Armate più potenti del pianeta, a tal punto che nella classifica redatta da Global Firepower per il 2016, su un totale di 126 Paesi presi in considerazione, le Forze di autodifesa giapponesi si sono classificate settime. È da notare che anche il budget stanziato annualmente per le Forze di autodifesa è decisamente superiore alla media: 46 miliardi di dollari sono previsti solo per il 2016. Nonostante l’enorme potenziale delle Forze di autodifesa giapponesi, la Repubblica popolare cinese gode di una evidente superiorità militare rispetto al rivale nipponico (è terza nella classifica di Global Firepower), per questo motivo il Governo conservatore di Shinzo Abe propone di riformare e rafforzare le Forze di autodifesa.

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Fig. 2 – Il Premier giapponese Shinzo Abe passa in rassegna truppe delle Forze aeree di autodifesa durante una visita alla base di Omitama, ottobre 2014

LA RIFORMA PROPOSTA DA ABE – Uno dei punti più controversi del programma politico del Primo ministro Shinzo Abe è senz’altro la riforma delle Forze di autodifesa giapponesi: questa è la risposta del Premier conservatore di fronte al complicarsi degli equilibri geopolitici nella regione, caratterizzati da una maggiore assertività della Cina e dall’instabilità della Corea del Nord (capace di colpire le maggiori aree metropolitane giapponesi con armi nucleari), con l’obiettivo di tutelare in maniera più efficace gli interessi geopolitici del Giappone. La riforma ruota principalmente attorno alla revisione dell’articolo 9 della Costituzione e, se dovesse avere successo, potrebbe trasformare le Forze di autodifesa giapponesi in vere e proprie Forze armate, non più limitate a svolgere funzioni esclusivamente difensive ma capaci di intervenire attivamente all’estero e di assumere atteggiamenti più aggressivi di fronte alle pressioni militari dell’ingombrante vicino cinese. Attualmente, però, risulta assai improbabile che una tale revisione si possa attuare, poiché l’iter per l’approvazione di un emendamento costituzionale – descritto dall’articolo 96 della Costituzione – prevede che sia necessaria una maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe le camere della Dieta, e un successivo referendum popolare per l’approvazione definitiva dell’emendamento. Per questo motivo il Governo è impegnato, per ora, a proseguire la riforma attraverso la legge: una in particolare, recentemente approvata dalla Dieta, interpreta in maniera estensiva il concetto di difesa, permettendo alle Forze di autodifesa di intervenire all’estero nel caso in cui un alleato del Giappone dovesse essere attaccato. Il Governo conservatore punta inoltre a riformare le Forze di autodifesa non solo dal punto di vista giuridico, ma anche da quello materiale, aumentando la spesa militare (il budget per il 2016 è cresciuto del 2,2% rispetto a quello dell’anno precedente) e introducendo nuovi equipaggiamenti, nuove unità navali (come la portaelicotteri Kaga, attualmente in costruzione), nuove unità aeree (F-35, V-22), correndo il rischio di indurre il maggior rivale regionale, la Cina, a intraprendere una pericolosa corsa agli armamenti, dagli effetti preoccupanti per il già precario equilibrio in Asia orientale.

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Fig. 3 – Manifestazione di protesta a Tokyo contro la riforma militare proposta dal Governo Abe, settembre 2015

I DIBATTITI INTERNI – Il progetto di riforma delle Forze armate di Shinzo Abe non ha ottenuto i supporti sperati, soprattutto al di fuori della stessa coalizione di Governo: l’opinione pubblica si è infatti dimostrata particolarmente critica, e lo dimostra il basso tasso di approvazione verso il Gabinetto (meno del 40%). In breve tempo sono nate migliaia di organizzazioni, dalle nature più disparate, con l’obiettivo comune di difendere i principi pacifisti della Costituzione: molte di esse hanno preso parte a manifestazioni a Tokyo e in altre città giapponesi, che hanno raggiunto dimensioni e intensità non usuali in Giappone, paragonabili forse solo alle proteste del 1960 per il trattato di mutua difesa con gli Stati Uniti. Sul fronte parlamentare sono i partiti dell’opposizione a dimostrarsi contrari alle riforme, ma attualmente il fronte, in seguito alle differenti posizioni politiche dei partiti, non si è dimostrato compatto ed efficace quanto le organizzazioni antimilitariste extraparlamentari: nonostante ciò, i due partiti più importanti dell’opposizione, ovvero il Partito Democratico e il Partito Comunista del Giappone, hanno promesso di allearsi per fare fronte comune per le elezioni estive di quest’anno, in modo da proporre agli elettori un’opposizione compatta, a difesa della natura pacifista della Costituzione, e contrapposta alla coalizione che sostiene Shinzo Abe (Partito Liberal Democratico, Komeito e altri partiti minori).

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Fig. 4 – Rissa tra deputati della Dieta giapponese durante un recente dibattito sulla riforma militare del Governo Abe, settembre 2015. Il tema continua a suscitare forti emozioni e divisioni profonde nel mondo politico giapponese

I RISCHI DEL RIARMO GIAPPONESE – Nel contesto dell’Asia orientale, già attraversato da fratture, tensioni e contrapposizioni tra le potenze regionali, la politica militarista intrapresa dal Governo Abe può seriamente rappresentare un evidente fattore di instabilità: escludendo la rivalità storica con la Cina, il Giappone continua ad avere infatti numerosi attriti con altri vicini, come la Russia (per la questione delle Isole Curili) e la Corea del Nord, Paesi dotati di armi nucleari e con un’aggressiva politica estera. Delineata tale posizione geopolitica per il Giappone, sussiste dunque la possibilità che la riforma militare giapponese possa innescare una nuova escalation della tensione nella regione, con il rischio che degeneri in una nuova corsa agli armamenti, o ancor peggio, in uno scontro militare. Qualsiasi possibile degenerazione avrà senz’altro ripercussioni sul resto del globo, data la rilevanza dell’Asia orientale in ambito economico e commerciale, lasciando un ampio margine di incertezza sulla sostenibilità geopolitica di tali riforme militari.

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Fig. 5 – Il Presidente cinese Xi Jinping visita il Memoriale delle Vittime del Massacro di Nanchino, dicembre 2014. Il ricordo delle atrocità commesse dall’Esercito Imperiale giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale continua a rappresentare un serio ostacolo politico e diplomatico al programma di riarmo di Tokyo

È necessario sottolineare che la strategia di Shinzo Abe avrà effetti non solo sui rapporti con le potenze rivali, ma anche con quelle amiche, soprattutto gli Stati Uniti: dalla riforma militare di Shinzo Abe si avverte una velata volontà di affrancamento dalla presenza militare americana in Giappone, che da molti politici conservatori è vista proprio come uno tra gli ostacoli fondamentali per il ritorno alla politica di potenza. Tali interessi confliggono con la visione di Washington, che necessita invece di mantenere le proprie basi militari e la propria influenza (grazie al trattato di mutua difesa del 1960) sul Giappone, per il fatto che attualmente proprio quest’ultimo rappresenta il tassello più importante del Pivot to Asia. Agli occhi di Washington un Giappone eccessivamente indipendente potrebbe rappresentare un rischio per il proseguimento di tale manovra geopolitica, ed è da aspettarsi dunque che gli Stati Uniti prenderanno prima o poi le distanze dalle politiche di Abe per la difesa.

Simone Munzittu

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Quest’anno d’estate si terranno le elezioni per la Camera dei Consiglieri, la camera alta della Dieta Giapponese. Il risultato delle elezioni influirà, a seconda dell’esito, positivamente o negativamente per l’attuazione del programma politico di Shinzo Abe.[/box]

Foto: MIKI Yoshihito. (#mikiyoshihito)

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Simone Munzittu
Simone Munzittu

Sono nato in Sardegna nel 1996, a Cagliari. Presso l’ateneo di questa città ho conseguito con lode una laurea in Scienze Politiche, con una tesi sull’ascesa della partisanship nel Congresso degli Stati Uniti. Le mie più grandi passioni sono di natura economico-politica, e proprio di questo mi occupo all’interno del Caffè Geopolitico, nell’area dell’Asia-Pacifico. La Cina è il Paese che mi appassiona e che caratterizza i miei studi: attualmente vivo a Pechino, nell’ambito di un programma di laurea specialistica double degree tra l’Università di Torino e la Beijing Foreign Studies University. Inoltre, amo la storia, la musica, i giochi di strategia, la Formula 1 (da ferrarista convinto)… e anche il caffè.

 

 

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