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Il ruolo dell’Italia tra Panama e Suez: imprese, commercio e opportunità. (2)

L’Italia si trova coinvolta in due cambiamenti infrastrutturali di carattere geopolitico e geoeconomico di portata storica. Da un lato l’inaugurazione del nuovo Canale di Suez, dall’altro l’espansione del Canale di Panama. Nella seconda parte del nostro approfondimento analizziamo le prospettive strategiche e commerciali derivanti dall’ampliamento dei passaggi sul canale egiziano.

IL CANALE DI SUEZ: UN “PIVOT” GEOPOLITICO E GEOECONOMICO – Per coloro che si affacciano agli studi geopolitici, Halford Mackinder è certamente un nome che potrà risultare utile, subito noto, e fondamentale da padroneggiare. Qui fungerà come punto di partenza per la trattazione della seconda parte degli approfondimenti sul ruolo dell’Italia in relazione ai due canali commerciali più importanti del mondo, Panama e Suez.
Mackinder, con un articolo dal titolo “The Geographical Pivot of History”, pubblicato nel 1904 dalla Royal Geographical Society (UK), sviluppò la teoria dell’Heartland, che, appunto, giocava nello scenario del suo tempo il ruolo di pivot della storia. Questa vasta area, compresa tra Europa ed Asia, è ancora oggi, a dimostrazione della lungimiranza del pensiero dell’autore inglese, un territorio conteso. Parafrasando Mackinder, quale tra il canale di Panama ed il canale di Suez potrà essere il pivot commerciale-economico degli anni a venire?
Iniziamo l’analisi con un po’ di storia. Il canale di Suez, già in parte (la tratta dal Mar Rosso al Nilo) realizzato da Dario I per collegare l’Egitto alla sua Persia, tornò a essere al centro dell’attenzione con lo sviluppo dei commerci, e per una necessità quindi di diminuire tempi e costo di trasporto tra Asia ed Europa. I lavori, però, non vennero intrapresi fino al 1859, quando Ferdinand de Lesseps, diplomatico francese in Egitto, ottenne una concessione da Sa’id Pascià, Khedivè d’Egitto, e approvò il progetto dell’ingegnere trentino Luigi Negrelli. I lavori, durati 10 anni, portarono subito risultati, con un passaggio di quasi 500 navi nel solo primo anno di attività, moltiplicatosi negli anni successivi.

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Fig. 1 – Un’immagine della costruzione del Canale di Suez

Nel corso delle guerre di fine Ottocento vi furono numerosi tentativi di controllo del Canale che, però, dalla Convenzione di Costantinopoli del 1888 in poi, assunse il carattere di neutralità – e quindi di operatività sia in tempi di pace che di guerra “senza bandiera” – e la cui proprietà indipendente (oggi la Suez Canal Authority, di proprietà del Governo egiziano a partire dal Nationalization Act di Gamal Abdel Nasser del 1956) garantisce la stabilità del commercio e delle rotte.
L’ampliamento del 2015, con l’inaugurazione avvenuta il 6 agosto, ha praticamente raddoppiato il numero di navi che possono transitare (quasi cento al giorno), riducendo inoltre le tempistiche di transito. Il successo dell’opera, però, riscontra delle criticità, che riguardano non solo i “passaggi in concorrenza”, ma anche la instabile situazione geopolitica dell’area. Cosa vuol dire, oggi, parlare di Egitto?

CAPIRE L’EGITTO DI OGGI – La storia dell’Egitto moderno potrebbe sinteticamente tradursi in tre principali fasi, di cui l’ultima, chiaramente, riguarda con maggiore attenzione le relazioni tra Italia ed Egitto in ambito di cooperazione e programmi politici ed economici futuri – di cui, certamente, il Canale di Suez rappresenta il “core business”. Tracciando brevemente il percorso storico che ci conduce ad un’analisi sulle prospettive attuali, è utile affacciarsi sui principali fatti accaduti nella storia moderna dell’Egitto. La prima fase può essere identificata con l’indipendenza dalla Gran Bretagna e l’istituzione, con un colpo di Stato diretto dal generale Muḥammad Nagīb e dal colonnello Gamāl ʿAbd al-Nāṣer nel 1952, della forma repubblicana. Il sovrano, re Faruq, fu dichiarato decaduto e nel 1953 lo stesso Nagīb fu proclamato Presidente della neocostituita Repubblica. Ma durò poco, e fu subito sostituito dal Colonnello (Nasser), che diede invece luogo ad un periodo di forte leadership personale, a stampo filoarabo e socialista, aprendo una crisi con Inghilterra e Francia nel 1956 e riaccendendo i conflitti arabo-israeliani. Al centro dei primi conflitti la nazionalizzazione della “Compagnia del Canale di Suez”, che dunque, ancora una volta, ha posto il Canale al centro delle attenzioni del Governo egiziano Essendo un perno economico-commerciale di grande interesse, il Canale è stato fonte di tensioni e contrastanti e tentativi di supremazia. Dopo la risoluzione della crisi – che comprese la Guerra dei sei giorni – nel 1970 Nasser morì improvvisamente, e gli fece seguito Anwar al-Sadat, che diede una svolta decisa rispetto alle politiche del suo predecessore e riprese parte dei territori persi in favore di Israele nei conflitti di fine anni Sessanta. Nell’ottobre 1981, la decade di al-Sādāt finì bruscamente con la sua uccisione, avvenuta nel corso di una parata al Cairo. Ebbe così inizio, quando questo gli successe in qualità di Vice Presidente, il trentennio di Mubarak, che ci porta fino ai giorni nostri ed alla Primavera Araba. L’era Mubarak passa per una politica di relazioni diplomatiche volte al rafforzamento internazionale del ruolo egiziano, comprendenti il mantenimento di rapporti privilegiati con gli Stati Uniti, poi supportati anche nel corso della Guerra del Golfo, un riavvicinamento all’Unione sovietica ed il rientro, sospeso in era al-Sādāt, nella Lega Araba, la cui sede viene infatti riportata al Cairo. Un ruolo, quello dell’Egitto, che è servito più volte da stabilizzatore e mediatore in un’area spesso scossa da turbolenze politiche e caratterizzata da una fragilità diplomatica consistente.

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Fig. 2 – Al-Sisi, nuovo “padre-padrone” dell’Egitto?

Ma il ruolo centralizzatore che Mubarak imputò alla sua figura, soprattutto sul fronte della politica interna, iniziò ad indebolirsi a partire dagli anni Novanta. In particolare, il forte controllo dei media e della stampa, oltre che decreti che permettevano all’esecutivo un’invadenza estremamente estesa all’interno della società, dovuto al perpetrare dello Stato d’emergenza sin dal 1981 dopo l’uccisione di al-Sādāt, furono aspramente criticati in un crescendo che trovò il suo culmine con l’avvento della Primavera araba, che ben presto trasferì le proteste dalla Tunisia all’intera zona nordafricana, coinvolgendo fortemente l’Egitto. L’11 febbraio 2011, dopo mesi di sommosse e di proteste, la “voce di Piazza Tahrir” ha la meglio, e la Presidenza Mubarak, dopo trent’anni, volge al termine. Da quel momento, fino alle elezioni presidenziali del 2014, l’Egitto ha attraversato un lungo e difficile periodo di guerra civile, crisi economica e, con l’elezione di Mohamed Morsi dal 2012 al 2014, islamizzazione del Paese. Nel 2014, dopo la ribellione del movimento Tamàrrud iniziata già l’anno precedente, l’esercito egiziano compie un colpo di Stato che porta al potere il generale ʿAbd al-Fattāḥ al-Sīsī, riportando un regime autoritario al Cairo.

L’INAUGURAZIONE DEL NUOVO CANALE. CHI SONO I PARTNER DEL CAIRO? – Con il regime al-Sīsī, l’Egitto ritrova una sua posizione nelle relazioni diplomatiche e torna ad essere mediatore, soprattutto in ambito religioso, di posizioni estremiste che, principalmente con riferimento all’Islam radicale, vengono aspramente contrastate dal neo-Presidente. Simbolo di un nuovo ricollocamento geopolitico dell’Egitto, sia in termini economici che di relazioni internazionali, è però l’ampliamento del canale di Suez, in parte finanziato dalla Federazione Russa. Infatti, il mancato appoggio da parte dell’amministrazione Obama nel corso del golpe militare, oltre alla sospensione da parte della Casa Bianca di parte degli aiuti militari e finanziari all’Egitto – circa 560 milioni di dollari previsti dagli accordi di Camp David del 1979 e poi revocati sul finire del 2013 – ha comportato un allontanamento da parte del Cairo da Washington, spingendo gli interessi verso l’area di influenza di Vladimir Putin, che con al-Sisi ha firmato un memorandum del valore di 3 miliardi di dollari per la fornitura di armi e l’esplorazione di nuove forme di collaborazione economica e infrastrutturale, come nel caso dei lavori di ampliamento del Canale. Così, il progetto del nuovo canale di Suez passa per la Russia in termini economici e diplomatici, e ha come obiettivo un rilancio della politica estera egiziana, mirante alla crescita occupazionale, commerciale e, soprattutto, volta ad esprimere un nuovo senso patriottico verso la popolazione. Inoltre, l’Egitto rimane fra i principali produttori di petrolio e di gas della regione. L’impoverimento dei giacimenti del Golfo di Suez, oltretutto, ha portato il Governo ad avviare attività esplorative di gas e petrolio nelle aree di frontiera, come il Deserto occidentale al confine con la Libia, le zone off-shore del Mediterraneo e il Sinai. ENI, insieme a Bp, è la principale protagonista di queste prime ricerche, in collaborazione con la compagnia statale Egyptian General Petroleum Corporation (Egpc). Si ricorda, proprio in tema di petrolio, che Suez non è quindi solo economicamente rilevante per quanto riguarda il canale, ma è un centro economico nevralgico anche per la consistente infrastruttura, alternativa al canale stesso, per l’esportazione del petrolio: la Suez-Mediterranean Pipeline (Sumed), detenuta al 50% dall’Egitto. Il Governo del Cairo quindi, alla ricerca di una ridefinizione del proprio ruolo politico ed economico sul Mediterraneao – e sui propri confini post-Primavera Araba – trova suoi sponsor a Mosca, senza interrompere le relazioni con Washington, e strizza un occhio all’Italia per il commercio sul Mediterraneo. Ma le relazioni, nelle ultime settimane, rischiano di incrinarsi in maniera drastica.

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Fig. 3 – Merci in transito per il Canale di Suez

IL CASO REGENI. QUALI POSSIBILI CONSEGUENZE? – L’Italia si preparava, seppur tra le numerose difficoltà, a candidarsi come principale partner commerciale dell’Egitto nel Mediterraneo. Una partnership appetibile da entrambe le parti. Con più di 85 milioni di abitanti, di cui più di un terzo sotto i 14 anni, l’Egitto è lo stato più popoloso del mondo arabo e, tra i Paesi dell’area, la terza più grande economia dopo l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, con un PIL di 286,1 miliardi di dollari. Dal 2006 al 2008 l’economia egiziana è cresciuta in media del 7%, registrando una flessione (4,7%) nel 2009 a causa delle ripercussioni della crisi economica internazionale, per poi riprendersi nel 2010 (5,1%). L’Italia è il primo partner commerciale dell’Egitto nell’UE, con previsioni sull’export che sfiorano i 4 miliardi di euro. Per questo il Cairo è un grande partner economico. Dal Rapporto SRM di Intesa Sanpaolo si evince che l’Egitto è, per l’Italia, uno dei tre Paesi target nel Mediterraneo, insieme a Tunisia e Marocco. Secondo i dati della General Authority for Investment and Free Zones (GAFI),  sono circa 880 le aziende italiane che operano in Egitto, in vari settori – idrocarburi, banche e manifattura, costruzioni. E SACE ha rinnovato, nel 2015, il proprio impegno con il Paese, firmando un Memorandum of Understanding con il Ministero dell’industria egiziano, ponendo le basi per una più stretta collaborazione con il Paese nordafricano. Ma da parte sua, il Governo di al-Sisi ha bisogno di investimenti stranieri per acquisire know-how e rafforzare il sistema produttivo, in modo da ridurre il deficit e riequilibrare i conti con l’estero. Inoltre, il Cairo ha stipulato diversi accordi commerciali e di libero scambio con altri Paesi, che rendono il ruolo internazionale dell’Egitto, in particolare nel Mediterraneo, estremamente rilevante.
In questo quadro geoeconomico il caso Regeni risulta essere decisamente compromettente. In un contesto, quello dell’Egitto, in cui si assiste al deterioramento della libertà di stampa, a una crescente (op)pressione sulle organizzazioni della società civile, e a numerosi casi di torture nelle carceri, l’Italia si trova nella posizione di dover intervenire in prima persona. E lo fa, anche, con il sostegno dell’Europa. Ma la situazione, che inizialmente aveva le sembianze di una crisi risolvibile, si è trasformata, con un climax sempre più aspro, in una vera e propria crisi diplomatica, che ha portato addirittura il ministro Gentiloni a richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo Maurizio Massari in seguito al fallimento del vertice Italia-Egitto dello scorso 8 aprile.
Le possibili conseguenze economiche si possono solo ipotizzare a partire dai primi dati che emergono dai mercati, in particolare sui titoli del petrolifero. Certamente l’impatto di un caso diplomatico di queste dimensioni, in questo momento, porta con sé riverberi amari per la politica economica e industriale italiana. Gli investimenti previsti in Egitto rischiano ormai di dover essere bloccati, o perlomeno sospesi, nel preoccupante silenzio, peraltro, di Paesi come la Francia, che non potrebbero che approfittare, economicamente, di una simile situazione.

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Fig. 4 – Il caso tragico di Giulio Regeni rischia di avere gravi ripercussioni sulle relazioni bilaterali tra Italia ed Egitto

CONCLUSIONI – Una prima considerazione che si può trarre, dunque, è che, al momento, Panama, almeno per l’Italia, potrebbe riconquistare una posizione di primazia, lasciando il Cairo dietro. Ma va da sé che una strategia Mediterranea è sempre più appetibile e che, dunque, sembra molto improbabile sradicare in maniera completa la numerosità degli investimenti italiani in Egitto e ricollocarli altrove. Il riassorbimento economico-finanziario verso un’altra area, come potrebbe essere la Libia, sembra al momento poco praticabile, seppur possibile. Gli interessi italiani in Egitto pendono quindi tra i vari fili della diplomazia, degli investimenti e della politica economica, e sarà interessante vedere come il Governo cercherà di manovrare la strategia industriale ed orientare le proprie scelte.

Fabrizio Spaolonzi

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

Zohr, il più grande giacimento a gas mai rinvenuto nel Mar Mediterraneo

Nell’agosto del 2015 ENI ha effettuato una scoperta di gas di rilevanza mondiale nell’offshore egiziano del Mar Mediterraneo, presso il prospetto esplorativo denominato Zohr. Il giacimento presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati. Zohr rappresenta quindi la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo. Le prospettive economiche di questa scoperta hanno quindi un valore geoeconomico estremamente rilevante. Il recente Comunicato Stampa dell’ENI diffonde la notizia del test di produzione Zohr 2X, che si è compito con successo. [/box]

 

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Fabrizio Spaolonzi
Fabrizio Spaolonzi

25 anni, nato a Torino, dopo una Laurea triennale in Economia – Commercio Estero nella mia città, devio per la specialistica su Scienze di Governo indirizzo amministrativo presso la LUISS Guido Carli, dove completo il mio percorso di studi. Intermezzo universitario di studio in Olanda, dove ho frequentato per un semestre la Radboud University di Nijmegen.
Dopo diverse esperienze di formazione e stage tra Italia ed estero approdo in FEBAF, dove mi occupo di dossier economici e regulation. Amante del caffè e appassionato di esteri, ho trovato qui la mia casa ideale.

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