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Venezuela, crisi economica e politica senza fine

In 3 sorsi Caracas, come tutto il Venezuela, è in crisi: oramai da settimane scarseggiano medicinali, cibo e beni di prima necessità. A pagare il prezzo più caro è la popolazione, costretta a vivere con continui blackout ed un’emergenza alimentare non più sostenibile. Eppure, il Paese è ricco di petrolio. Analizziamo in 3 sorsi le ragioni di una profonda crisi economica

1. VENEZUELA, UN SECONDO 1973-1979? – Il 1973 ed il 1979 vengono ricordati come gli anni della crisi petrolifera, o comunque energetica, provocata da un innalzamento del prezzo del petrolio. Nel 1973, la crisi venne imputata all’arresto improvviso del flusso di approvvigionamento del petrolio da parte dell’OPEC (l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio), essenzialmente a causa della guerra del Kippur fra Egitto, Siria ed Israele. Il secondo shock petrolifero, invece, fu conseguente alla Rivoluzione iraniana e successiva guerra tra Iran e Iraq, e portò il prezzo del barile a ben 40 dollari dell’epoca, quasi 100 di oggi.
Lo scorso 17 aprile, i 16 Paesi produttori di petrolio decisero di riunirsi a Doha per discutere sul come ovviare ad un ulteriore e continuo crollo del prezzo del petrolio, situazione diametralmente opposta a quella degli anni Settanta, ma che stava provocando non meno ripercussioni sul piano economico. Il meeting ebbe esito fallimentare, e ha avuto l’effetto di lanciare un segnale ancor più negativo, portando il petrolio a crollare ulteriormente. È il 19 aprile quando il prezzo di un barile di petrolio oscilla tra i 39 e i 41$ (dai 140$ del 2008).
Il prezzo più caro lo stanno pagando i paesi latino americani, in particolare il Venezuela che, avendo basato la propria economia per oltre l’85% del totale sulle esportazioni di greggio, si trova oggi a fronteggiare una crisi mai vista prima, nonostante sia il primo Paese al mondo per disponibilità di risorse petrolifere. Se parte delle economie latino americane si basarono non solo sull’esportazione di petrolio, ma anche quella di materie prime, oggi il parallelo crollo del loro prezzo (tra cui i minerali ed idrocarburi) sta provocando la chiusura di migliaia di attività produttive, assieme a una perdita esorbitante di posti di lavoro, con un concreto incremento del livello di povertà, fatto che sta riportando i livelli di vita a circa trent’anni fa, prima di quel boom economico che in molti non hanno saputo sfruttare.

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Fig. 1 – Le proteste per destituire il Presidente Maduro non cessano da tempo

2. IL VENEZUELA SULL’ORLO DEL CROLLO – La crisi che sta investendo il Venezuela però, non è l’unica dinamica a scuotere il Paese. Già dal maggio 2016, il presidente Nicolàs Maduro ha dichiarato che sta ponendo in essere una serie di esercitazioni militari al fine di difendere il suo Stato da un possibile golpe straniero. Non solo, Maduro ha altresì sequestrato tutte le fabbriche che hanno interrotto la produzione a causa dell’impossibilità di sostenere un’inflazione del 180% nell’ambito di una “crescita” annua del -5,7%. Il Fondo Monetario Internazionale, addirittura, ha parlato di un’inflazione dell’800%, che smentirebbe quella del 180% propugnata dal Governo di Caracas. Ma la comunità internazionale sta dimostrando poco interesse per le vicende venezuelane e, in generale, dell’America Latina, come dimostrano gli scarsi, se non nulli, piani di salvataggio da parte di paesi extra-Americas.
Eppure questa situazione non è solo economica: questa si intreccia infatti con le vicende politiche che vedono il Presidente Maduro uscire indebolito dalle elezioni del dicembre 2015, quando l’opposizione ha cominciato a controllare l’Assemblea Nazionale grazie alla vittoria alle elezioni politiche. L’incertezza non sta semplicemente provocando una crisi petrolifero-energetica, ma anche una medico-alimentare, dato che, oramai da settimane, la popolazione venezuelana è costretta a convivere con continui blackout che bloccano i distretti più popolosi anche per più di quattro ore al giorno, e con la mancanza di medicinali nelle farmacie e di cibo nei supermercati. La polizia e le organizzazioni preposte infatti, hanno allestito punti per la distribuzione del pane che viene così razionato tra la popolazione. Inoltre, il salario minimo è sceso a medie mai registrate prima, e segue le dinamiche inflattive; oggi in Venezuela un paio di jeans costa 900 dollari e un giornalista ne guadagna “ben” 15 al mese.
Preoccupazione, insoddisfazione ed atti di violenza sono all’ordine del giorno e l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) sta valutando oramai da inizio giugno quali misure intraprendere e se, eventualmente, sospendere dall’organizzazione il Venezuela. Il terremoto interno al Paese infatti, vede un’opposizione chiedere a gran voce la destituzione del Presidente Maduro, il quale ha richiesto però che dalla metà di giugno tutti coloro i quali votarono per indire il referendum rivolto a mandarlo via dalla carica di Presidente, si recassero presso le caserme della polizia per lasciare le impronte digitali: secondo il leader dell’opposizione Henrique Capriles, questo è solo un tentativo per ritardare il referendum stesso.

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Fig. 2 – La crisi alimentare in Venezuela impone ore di attesa per avere anche un solo pezzo di pane

3. VENEZUELA, CRISI NONOSTANTE LA PRESENZA DI GREGGIO – Se la spiegazione è apparentemente semplice, meno lo sono le ragioni alla base. Il Venezuela vive un momento finanziariamente terribile poiché non ha costituito un fondo a protezione delle eventuali oscillazioni in quantità e prezzo delle esportazioni di petrolio, ma ha altresì vissuto in un clima di corruzione costante. Dopo un iniziale boom economico, che ha fatto passare l’indice di Gini (che misura – su una scala da 0 a 1 – il grado di distribuzione del reddito in un Paese) da 0,48 a 0,39 in pochi anni, ed un tasso percentuale di povertà passato conseguentemente dal 49 al 23%, non ci sono più stati progressi.
Molto è mancato: standard di vita così elevati, senza un fondo di protezione per i periodi di contrazione economica e/o infrastrutture capaci di adattarsi a richieste differenti del mercato (come ad esempio la necessità di estrarre maggior petrolio), la mancata diversificazione dell’offerta produttiva, la longa manus dello Stato che sovraintende a tutto e soffoca la libertà d’impresa, le privatizzazioni e la liberalizzazione del mercato del lavoro, sono la ragioni per cui i venezuelani sono costretti ad ore ed ore di fila per un solo filone di pane. In una parola, è mancata una vera politica economica. Città periferiche, ed interi distretti, sono colpiti da un’emergenza senza precedenti: mancanza di beni di prima necessità quali il sapone o i dentifrici stanno affondando un Paese che potrebbe (e avrebbe potuto) vivere in una prosperità con pochi eguali nella regione.
Non c’è solo la crisi economica legata al petrolio, c’è anche una situazione che è aggravata quotidianamente dalla siccità, la quale blocca la produzione di energia idroelettrica (piuttosto diffusa in Venezuela, grazie a centrali quali quella di Guri nella regione Bolivar), ponendo quindi il blackout come misura ritenuta dal Governo “necessaria” ed imponendo, come accaduto nei mesi scorsi, una riduzione dell’orario o dei giorni di lavoro per tutti i dipendenti pubblici (creando non pochi problemi).

Sara Belligoni

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in più

È notizia molto recente, ma il Presidente Maduro si è detto disponibile ad intavolare una sessione di confronto con l’Unasur, l’Unione delle nazioni dell’America Latina. Lo riporta l’autorevole Pàgina12.[/box]

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Sara Belligoni
Sara Belligoni

Sara Belligoni is a Ph. D. Candidate in Security Studies at the School of Politics, Security, and International Affairs at the University of Central Florida. She investigates how vulnerable communities can better prepare for, respond to, and recover from crises and disasters. Sara adopts a multi-discipline approach that combines political science, public policy, and security studies. Prior to joining UCF, she received a Certificate in Global Affairs (2015) from the New York University, a Master’s Degree cum laude in International Relations (2015) and a Bachelor’s Degree in Political Science for Cooperation and Development (2012) both from Universita’ degli Studi Roma Tre.

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