Relazioni internazionali sotto la lente d’ingrandimento dell’indice globale della fame (GHI), presentato dal Cesvi. Africa sub sahariana e Asia meridionale ancora in difficoltà nonostante gli sforzi compiuti; la proposta di un nuovo modello di agricoltura sostenibile
LA FAME NEL MONDO, IL GHI 2016 – Giunge al suo undicesimo anno di pubblicazione e si propone di registrare lo stato della fame in 118 paesi, l’indice GHI 2016. A riprova della multi-dimensionalità dell’oggetto “fame”, il rapporto si inserisce nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Come elemento di novità rispetto agli anni precedenti, il GHI 2016 si prefigge di promuovere una collaborazione tra tutti gli attori della società civile, dai governi alle Nazioni Unite, dalle imprese ai singoli cittadini.
Secondo l’Indice Globale della Fame 2016, la comunità globale è ancora ben lontana dagli obiettivi prefissati e concordati entro il 2030 dell’Obiettivo Fame Zero. Inoltre il rapporto di quest’anno evidenzia che i livelli di fame sono gravi o allarmanti in 50 paesi, dei quali 43 gravi e 7 allarmanti. Seppur sono stati evidenziati dei miglioramenti sostanziali, le zone del mondo più critiche rimangono l’Africa a sud del Sahara e Asia Meridionale. Tuttavia, più generalmente parlando, il mondo in via di sviluppo ha fatto progressi sostanziali nella riduzione della fame: il livello di fame nei paesi in via di sviluppo è diminuito del 29% dal 2000 ad oggi.
POLITICA E FAME NEL MONDO – I miglioramenti non sono stati omogenei e continuano ad esserci forti disparità a livello regionale, nazionale e sub-nazionale. A questo vanno ad aggiungersi difficoltà oggettive nel calcolare il punteggio di GHI 2016 per 13 paesi con gravi instabilità politiche e sociali. Forti problematiche relative a disuguaglianze e diverso accesso ai diritti fondamentali restano in varie regioni del mondo. Per i paesi più allarmanti sono stati rilevati tuttora forti disuguaglianze nell’accesso al cibo e denutrizione, arresto alla crescita, deperimento e tasso di mortalità.
Fig. 1 – Gran parte delle popolazioni di Asia e Africa dipendono dal raccolto di riso e dei cereali in generale
La comunità internazionale deve fare la sua parte per affrontare le crisi, promuovendo un’azione coordinata e trasmettendo alla società civile una nuova e più efficace cultura di solidarietà e aiuti internazionali. Per garantire che l’Agenda 2030 raggiunga i suoi obiettivi, c’è dunque bisogno che la società civile, gli stati e il mondo delle aziende si uniscano e cooperino per un fine comune che riguarda tutti noi, il futuro del nostro pianeta.
Ciononostante, il rapporto dimostra un graduale progresso nella lotta contro la fame, sulla lunga scia degli insegnamenti di Expo 2015, e le disuguaglianze sopracitate, ma allo stesso tempo mette in luce gravi aree di vulnerabilità che rendono più difficile il percorso verso l’obiettivo Fame Zero entro il 2030.
L’ambizione, per raggiungere l’obiettivo Fame Zero entro il 2030, è che si riesca a creare un nuovo standard politico ed internazionale nell’adozione di contromisure efficaci. Nuove forme di sinergie tra diversi attori devono essere trovate al fine di garantire finalmente tutto il sostegno necessario a chi ne ha più bisogno.
Il #GHI2016 E IL RUOLO DELL’ITALIA – L’Agenda 2030 ha portato ad un sostanziale contributo positivo al quadro di riferimento internazionale per le politiche di sviluppo. L’Italia sta finalmente avendo un ruolo di maggior rilievo nella promozione di un’agricoltura sostenibile e inclusiva, riportando agricoltura e alimentazione al centro dell’attenzione del dibattito internazionale. L’Italia ha avviato un piano di investimento significativo che verrà destinato alla cooperazione internazionale, partendo da 120 milioni di euro nel 2016 fino a 360 del 2018. È dunque una cooperazione che cambia, non più Nord a Sud, ma uno sforzo internazionale dove l’Italia ha intenzione di ricoprire un ruolo importante e di operare in prima linea.
IL RUOLO DELLE MULTINAZIONALI DEL CIBO – La grande novità viene però dal mondo delle imprese, nel campo della sostenibilità e da nuove sinergie tra attori diversi che solo qualche anno fa parevano impensabili. Un’alimentazione non solo buona per la salute delle persone, ma anche per il pianeta, deve essere obiettivo di aziende del cibo; investire in ricerca e cercare nuove sinergie tra tutti gli attori della filiera produttiva, il nuovo driver internazionale. E’necessario raccontare come si arriva al prodotto finito, conoscere il percorso e formazione di esso poiché conoscere l’agricoltura e il nostro pianeta vuol dire imparare a rispettarlo.
Fig.2 – Zimbabwe, terra particolarmente arida
Il Caso Studio Zimbabwe (“Shashe Citrus Orchard”) è un ottimo esempio di cooperazione internazionale di successo, in cui privati, Stati, comunità e partnership hanno lavorato insieme producendo un ottimo risultato. Gli obiettivi raggiunti in Zimbabwe sono frutto di una sinergia vincente tra comunità, stato e mondo delle aziende. Attraverso un’educazione alla coltivazione ed a un trasferimento di Know How alla comunità, si è creata una condizione economica e sociale stabile all’interno della comunità. Esempi come “Shashe Citrus Orchard” sono motivo di speranza per il futuro e modello da emulare in altre comunità.
In conclusione, la speranza è che un’ azione coordinata a livello internazionale in cui tutti gli attori sono coinvolti, aumenti la velocità per raggiungere l’obiettivo Fame Zero entro il 2030 e la qualità dei progetti stessi.
Riccardo Bifari
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Del tema della sicurezza alimentare ci siamo occupati in altre occasioni, vedi qui lo speciale Expo Milano 2015 piuttosto completo sull’argomento [/box]