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La Spagna è senza Governo ma l’economia vola

L’instabilità politica a Madrid incoraggia le spinte separatiste basche e soprattutto catalane.  Le incognite del possibile Governo di minoranza di Rajoy

LO STALLO POLITICO – La Spagna è entrata nell’incubo dell’ingovernabilità nel dicembre 2015, quando le elezioni politiche produssero uno scenario quadripolare. A (quasi) nulla è valso tornare alle urne il 26 giugno di quest’anno. Popolari e socialisti, i due maggiori partiti, recalcitrano all’idea di formare una grande coalizione, mentre i partiti antisistema di centro (Ciudadanos) e di sinistra (Podemos) non sono riusciti a sfruttare il loro capitale politico per arrivare al Governo. Negli ultimi giorni il partito socialista, logorato dalla feroce lotta tra l’ala governista e la fazione contraria al compromesso con il centrodestra, ha accettato di astenersi in Parlamento per permettere al leader popolare e premier uscente Mariano Rajoy di formare un Governo di minoranza (cosa ben diversa e molto più instabile di una grande coalizione). Si apre così una fase carica di incognite, con un esecutivo che difficilmente potrà arrivare a fine legislatura. I socialisti (profondamente divisi), infatti, non possono correre il rischio di mostrarsi troppo accondiscendenti verso Rajoy. Il rischio sarebbe quello di convincere l’opinione pubblica che l’unica opposizione è la sinistra radicale di Podemos.

L’ECONOMIA – Si potrebbe pensare che l’instabilità politica stia influenzando negativamente il quadro economico della Spagna. Per il momento non è affatto così, anzi. A partire dal 2013 l’economia del Paese iberico ha infatti conosciuto un’importante fase di crescita, dopo essere stata duramente colpita dalla crisi economico-finanziaria del 2008. Il PIL spagnolo nel 2015 è cresciuto del 3,2 %, mentre per il 2016 il Governo di Madrid (in carica per gli affari correnti) ritiene che la crescita possa arrivare al 3%. Una stima simile viene dal Fondo Monetario Internazionale. L’istituzione di Washington nelle previsioni autunnali ritiene infatti credibile un aumento del PIL della quarta economia dell’Eurozona del 3,1% nel 2016 e del 2,2% nel 2017. Si prevede dunque un rallentamento della crescita nel corso dell’anno prossimo. In ogni caso una performance di tutto rispetto, soprattutto se vista dall’Italia. L’economia spagnola è infatti diventata una delle più dinamiche di Eurolandia, in controtendenza rispetto agli altri Paesi dell’Europa mediterranea.

LE RAGIONI DELLA CRESCITA – Il periodo di crescita economica ha diffuso nell’opinione pubblica spagnola l’idea (un po’ demagogica) che Governo e classe politica siano inutili. In realtà le cose non sono così semplici. Nella ripresa spagnola hanno infatti giocato due fattori: le azioni del Governo di Mariano Rajoy, leader del Partito Popolare al potere dal 2011, e il boom turistico di quest’anno. Da un lato infatti l’esecutivo centrista, dopo essersi inizialmente dedicato ad un tentativo di risanamento della finanza pubblica, ha varato negli ultimi anni una politica fiscale espansiva e una riforma del mercato del lavoro che ha accentuato la flessibilità in entrata e in uscita. Dall’altro invece, complice il rischio terrorismo sulla sponda Sud del Mediterraneo (ma anche in Francia), la Spagna ha registrato un aumento del flusso turistico dell’11% rispetto allo scorso anno, che ha creato occupazione e reddito nei settori collegati (vedi il chicco in più).

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Fig. 1 – Il premier spagnolo uscente Mariano Rajoy

I RISCHI ECONOMICI… – L’incertezza politica finora non sembra aver avuto effetti rilevanti sull’economia. Tuttavia si tratta di un fattore che non deve essere sottovalutato. Innanzitutto lo stallo parlamentare sta avendo effetti pesanti sulla produzione legislativa, da qualche tempo quasi al palo. Un fatto preoccupante, specialmente considerato che proprio le riforme varate negli ultimi anni dal Governo Rajoy sono uno degli elementi alla base della crescita economica. Gli sviluppi politici degli ultimi giorni peraltro non sembrano risolvere il problema. Ogni provvedimento del Parlamento infatti potrebbe potenzialmente diventare terreno di scontro tra popolari e socialisti. Il Paese rischia così di perdere un’importante occasione per un’ulteriore modernizzazione. Preoccupa poi la disoccupazione. La Spagna si è lasciata alle spalle il picco di disoccupati del 2013 (circa il 26%), ma il tasso di disoccupazione rimane elevato, intorno al 20% – secondo nell’Eurozona solo a quello della Grecia. Segno che gli effetti della crisi economica non sono ancora stati riassorbiti del tutto. Infine desta inquietudine, soprattutto a livello UE e internazionale, la finanza pubblica, che, nonostante la crescita economica e la politica di tassi bassi della BCE, non sembra essere sotto controllo. Il debito pubblico spagnolo è intorno al 100% del PIL (1.107 miliardi di euro), ai suoi massimi storici, soprattutto per effetto della crisi. Ma ancora più problematico è il deficit, che da diversi anni viola costantemente il limite del 3% fissato dai parametri di Maastricht. Il Ministro dell’Economia Luis de Guindos ha recentemente affermato che quest’anno, in mancanza di interventi correttivi, dovrebbe attestarsi intorno al 3,6%, in diminuzione rispetto al 5,1% dell’anno scorso, ma più alto del 3,1% concordato con l’UE. A fine luglio la Commissione Europea aveva deciso di non sanzionare economicamente la Spagna per deficit eccessivo, nella speranza che alla fine dello stallo politico di Madrid emerga un Governo intenzionato a riportare la situazione sotto controllo (o quantomeno un Governo tout court). Ci si chiede dunque quanto sia sostenibile la crescita della quarta economia dell’Eurozona in mancanza di un esecutivo forte.

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Fig. 2 – Il ministro dell’Economia spagnolo Luis de Guindos

…E QUELLI POLITICI – Le ripercussioni più pesanti dell’instabilità politica, tuttavia rischiano di prodursi nel rapporto tra Stato centrale e realtà locali. Non è un segreto che nei Paesi Baschi e in Catalogna, le regioni più prospere del Paese, spiri da sempre un forte vento indipendentista. Tuttavia l’attuale vuoto di potere a Madrid rischia di rafforzare ulteriormente le spinte secessioniste. Poche settimane fa il Presidente del Governo regionale catalano Carles Puigdemont ha dichiarato la propria intenzione di indire una consultazione popolare per l’indipendenza entro la fine del 2017. Questa minaccia resta ancora tutta da verificare alla prova dei fatti, ma lo stesso Puigdemont, nell’annunciare l’intenzione di tenere il referendum, ha messo a confronto la mancanza di un Governo a Madrid con la relativa stabilità politica dell’esecutivo catalano. Complicano il quadro le divisioni dei partiti sul secessionismo: popolari, socialisti e Ciudadanos sono fermamente contrari, ma non sono concordi sulla strategia per contrastarlo, mentre Podemos sulla questione è ambiguo. La posizione dei socialisti ha anche, se non soprattutto, ragioni economiche, che sono il cuore del problema. La Catalogna è infatti la regione più ricca del Paese, e dunque un suo distacco sarebbe rovinoso per le aree più povere della Spagna, come l’Andalusia. Per contenere l’indipendentismo l’unica realistica soluzione sarebbe un compromesso politico tra lo Stato e le autorità locali. Tuttavia per fare ciò servirebbe a Madrid un Governo politicamente forte e guidato da un esponente politico più dialogante di Rajoy. Una condizione che al momento sembra ancora lontana dal realizzarsi.

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Fig. 3 – Il Presidente del Governo regionale catalano Carles Puigdemont

Davide Lorenzini

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Si tenga conto del fatto che, però, i lavori creati nel comparto turistico sono spesso stagionali e a basso reddito. Dunque l’aumento dell’occupazione non deve essere sopravvalutato.  [/box]

Foto di copertina di sermarr erGuiri Rilasciata su Flickr con licenza Attribution License

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Davide Lorenzini
Davide Lorenzini

Sono nato nel 1997 a Milano, dove studio Giurisprudenza all’Università degli Studi. Sono appassionato di politica internazionale, sebbene non sia il mio originario campo di studi (ma sto cercando di rimediare), e ho ottenuto il diploma di Affari Europei all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) di Milano. Nel Caffè, al cui progetto ho aderito nel 2016, sono co-coordinatore della sezione Europa, che rimane il mio principale campo di interessi, anche se mi piace spaziare.

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