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Il Vaticano e i nodi irrisolti dell’accordo di pace in Colombia

VatiCaffè – Riparte la rubrica di approfondimento sulla geopolitica della Santa Sede. In questa nuova analisi vi offriamo una panoramica sul processo di pacificazione in corso tra il governo di Bogotà e le FARC, all’indomani della bocciatura popolare dell’accordo di pace firmato a Cartagena lo scorso 26 settembre

LA SANTA SEDE E L’ACCORDO CON LE FARC – L’esito del referendum che in Colombia ha sancito la bocciatura dell’accordo di pace siglato a Cartagena il 26 settembre dal presidente Juan Manuel Santos e dal leader delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC) Rodrigo Londoño Echeverri (“Timochenko”) ha costretto a una seria riflessione tutti i protagonisti del processo negoziale avviato a Cuba oltre quattro anni fa. Tra questi spicca la Santa Sede, che – come ricordato nel luglio scorso dal segretario ai Rapporti con gli Stati mons. Richard Paul Gallagher – «è stata coinvolta sul piano diplomatico e ha fornito sostegno e incoraggiamento», anche se «non ha preso parte direttamente ai negoziati». Una lettura del contributo offerto dal Vaticano che anche il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha autorevolmente confermato. A conferma del ruolo svolto dalla diplomazia vaticana, il 12 agosto scorso il governo colombiano aveva formalmente chiesto a Papa Francesco di nominare un rappresentante che partecipasse al Comitato di selezione dei magistrati che avrebbero dovuto formare la “Giurisdizione speciale per la pace” dopo la firma dell’accordo. Il pontefice tuttavia, «considerando la vocazione universale della Chiesa e la missione del Successore di Pietro come Pastore del Popolo di Dio», aveva declinato l’offerta, giudicando «più appropriato che tale compito venisse rimesso ad altre istanze». In quell’occasione la Santa Sede non aveva tuttavia mancato di ribadire il proprio appoggio «all’obiettivo di raggiungere la concordia e la riconciliazione di tutto il popolo colombiano, alla luce dei diritti umani e dei valori cristiani che si trovano al centro della cultura latinoamericana». L’impegno della Santa Sede è stato poi suggellato dalla presenza del cardinale Parolin a Cartagena alla firma dello storico accordo, significativa anche per l’assenza di esponenti di vertice della Chiesa cattolica locale.

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Fig. 1 – Il presidente colombiano Santos incontra Papa Francesco

I CATTOLICI COLOMBIANI DI FRONTE AL REFERENDUM – Fin dall’estate i vescovi colombiani, pur manifestando il loro pieno appoggio alla riconciliazione del Paese, hanno mantenuto un atteggiamento neutrale nei confronti del referendum, invitando i fedeli a votare secondo coscienza ma senza esprimere ufficialmente una preferenza per una delle due opzioni. All’indomani del “no” che ha di fatto seppellito l’accordo, la posizione adottata dalla Chiesa in Colombia è diventata oggetto di un dibattito piuttosto vivace. L’attenzione si è concentrata in particolare sul problema della presenza nell’accordo del termine “género”, che ricorre ben 113 volte nel testo, declinato in espressioni quali “identidad de género” (identità di genere) o “enfoque de género” (prospettiva di genere).  Questo ha alimentato sospetti e critiche da parte di quanti – sia in ambito evangelico che in ambito cattolico – hanno visto nell’accordo una sorta di cavallo di Troia per introdurre surrettiziamente nel Paese l’“ideologia gender”, contro la quale lo stesso Papa Francesco si è scagliato recentemente. A detta di alcuni osservatori, proprio questo aspetto spiegherebbe la tiepidezza con cui molti settori della società colombiana – non esclusa parte della popolazione cattolica – hanno accolto l’accordo di pace, influendo negativamente sull’esito di un referendum contraddistinto anche da un’astensione eccezionalmente alta. In realtà vi sono anche altri punti sostanziali dell’accordo che non hanno convinto molti elettori (non solo cattolici), a cominciare dal livello di integrazione delle FARC nella futura politica colombiana – giudicato da alcuni eccessivo – per arrivare alle pene previste per i colpevoli delle violenze commesse negli anni del conflitto e al risarcimento delle vittime, che molti vorrebbero fosse a carico non dello Stato ma delle stesse FARC (considerate ancora oggi uno dei gruppi paramilitari più ricchi del mondo). Da questo punto di vista non è certo un caso che il “no” sia stato decisamente più forte nelle aree del Paese direttamente interessate dalla guerriglia.

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Fig. 2 – La firma dell’accordo di pace tra il Governo colombiano e le FARC

MOLTO RUMORE PER NULLA? – A fronte delle accuse di “tiepidezza” mosse alla Chiesa colombiana – il cui sostegno al processo negoziale è stato peraltro più volte riconosciuto e apprezzato dal presidente Santos – non va dimenticato che lo scorso 10 agosto la Colombia era stata teatro di un’ampia protesta contro l’introduzione nelle scuole di un manuale scolastico ispirato all’ideologia gender, lasciata cadere dal presidente Santos che, di fronte alla mobilitazione popolare (appoggiata dalla Chiesa), aveva affermato che il governo non avrebbe autorizzato la diffusione del testo in questione. Se dunque da una parte il tema del “gender” è stato certamente agitato in modo strumentale da chi si opponeva all’accordo per ragioni politiche, dall’altra parte non stupisce che in buona fede qualcuno possa aver colto in alcuni passaggi del testo firmato a Cartagena un tentativo di far rientrare “sottotraccia” nell’agenda politica del Paese un tema così controverso. Più che dei punti dove si fa riferimento al “genere” conformemente a una terminologia ormai condivisa in sede internazionale, sembra questo il caso dei passaggi che prevedono il coinvolgimento nel processo di pace delle organizzazioni LGBT. Alla voce “Promoción de una cultura política democrática y participativa” (p. 47) si legge ad esempio che la «promozione dei valori democratici» deve avvenire attraverso campagne rivolte alle categorie più vulnerabili della società come «la popolazione LGBT»; queste campagne comprendono «valori di lotta contro il sessismo e le molteplici forme di discriminazione, incluse quelle legate al genere, all’orientamento sessuale e alle differenti identità di genere». Si tratta degli argomenti normalmente utilizzati (non solo in Colombia) dalle organizzazioni LGBT proprio per promuovere programmi educativi ispirati all’ideologia gender come quelli contestati in agosto. Un altro passaggio problematico dell’accordo da un punto di vista cattolico è quello che, nell’elencare le misure volte a migliorare la condizione delle donne nelle aree rurali del Paese, parla dell’accesso a “servizi di salute sessuale e riproduttiva” (p. 21). Tale espressione, notoriamente, si riferisce alla contraccezione e all’aborto, tema che di recente ha visto a più riprese i vescovi colombiani prendere posizioni estremamente nette in difesa del diritto alla vita.

QUALI SCENARI PER IL FUTURO?  È lecito domandarsi se la Santa Sede, nell’appoggiare convintamente l’accordo concluso con le FARC, sia stata pienamente avvertita dell’ambiguità di passaggi come quelli sopra riportati. Non è da escludere che, di fronte alla prospettiva di porre fine una volta per tutte a uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi della storia recente, il Vaticano non abbia voluto porre ostacoli di alcuna natura alla pace, considerando i benefici dell’accordo di gran lunga superiori ai suoi costi. La bocciatura espressa dal popolo colombiano apre in ogni caso il campo a una possibile modifica delle parti più controverse del testo, sollecitata in questi giorni anche dalla Conferenza episcopale, il cui presidente ha in ogni caso preso le distanze da letture dell’accordo eccessivamente condizionate dalla questione “gender”. Tanto la Santa Sede quanto l’episcopato colombiano hanno mostrato il loro pieno sostegno alla volontà di Juan Manuel Santos di proseguire sulla strada della pace. Ne sono prova l’annuncio della prossima visita dello stesso Santos a Papa Francesco, prevista per il prossimo 16 dicembre, e il rifiuto espresso dai vescovi verso un possibile coinvolgimento dell’ex-presidente Álvaro Uribe Vélez (grande oppositore di Santos e dell’accordo) nella mediazione con le FARC. Sarà interessante capire se e in quali termini Santos saprà ripagare la fiducia accordatagli dai suoi interlocutori ecclesiali, in Colombia come in Vaticano.

Paolo Valvo

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Un chicco in più

Il testo completo dell’accordo tra il governo colombiano e le FARC

L’omelia pronunciata dal cardinale Pietro Parolin a Cartagena il 26 settembre 2016  [/box]

Foto di copertina di kozumel Rilasciata su Flickr con licenza Attribution-NoDerivs License

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Paolo Valvo
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Anche se i capelli brizzolati possono trarre in inganno sono nato nel 1984, a Milano, dove tuttora risiedo. La parlata milanese non mi impedisce di rivendicare con un certo orgoglio le mie ascendenze sicule, soprattutto da quando ho sposato una siciliana doc. Milanista credente ma non praticante, lavoro all’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove da qualche anno mi occupo a tempo pieno di storia contemporanea e di diplomazia vaticana, tra Europa e America Latina. Al tema ho dedicato diversi saggi e due volumi, uno dei quali di prossima pubblicazione. Per deformazione professionale, non essendo dotato della fantasia di molti giornalisti (e di qualche storico), mi ostino a pensare che l’unico modo per farsi un’idea realistica del pontificato di papa Francesco e della politica della Santa Sede sia partire dai documenti. Nel tempo libero amo leggere, ascoltare jazz e rimanere per ore a guardare mia figlia sorridere.

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