In 3 sorsi – La politica commerciale comune (CCP) è uno degli assi portanti su cui è fondata l’intera l’Unione Europea. Nata inizialmente per ragioni strategiche e di sicurezza, essa si sviluppa poi come competenza esclusiva su cui solo l’Unione può legiferare e negli ultimi decenni, grazie alla stipulazione di accordi commerciali di varia natura, è diventata uno strumento di pressione verso altre entità politiche. Attore affine dal punto di vista istituzionale e emergente dal punto di vista economico, l’ASEAN è ora al centro delle proposte UE per un accordo di libero scambio tra Europa e Sud-est asiatico
1. UE – ASEAN FTA: DI COSA SI TRATTA – Il primo contatto tra l’Unione Europea e l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico avviene nel 1972, mentre relazioni ufficiali formali vengono stabilite nel 1977. Tre decenni dopo, l’Unione Europea, sull’onda di diventare l’economia più competitiva a livello globale, decide di espandere e approfondire le relazioni commerciali oltre i suoi confini e ciò la porta ad avvicinarsi all’Asia. In questo continente in piena ascesa viene stabilita una nuova partnership per il ventunesimo secolo: ASEAN affiancata da India e Corea sono parti fondanti della nuova strategia europea. I negoziati tra UE e ASEAN prendono il via nel 2007 e ambiscono, a detta della parte occidentale, alla progressiva riduzione di tutte le barriere agli scambi di beni e servizi e garantendo l’accesso al mercato comune europeo. Questi benefit, tuttavia, sono condizionati alla modifica di comportamenti interni da parte dell’Associazione asiatica in direzione dei valori cardine dell’Unione Europea: maggiore democrazia, estensione dei diritti per i lavoratori, tutela dei diritti umani e salvaguardia dell’ambiente. La trattativa si avvia con grande ottimismo dal lato europeo che vede nell’area una possibile espansione della sua influenza in Asia, al fine di raggiungere altre potenze regionali quali Stati Uniti, Giappone e Cina che per ovvi motivi geografici e politici partivano da una situazione di vantaggio.
Fig. 1 – Il Segretario Generale dell’ASEAN Le Luong Minh (a sinistra) scherza con il Ministro degli Esteri tedesco Steinmeier durante un vertice bilaterale UE-ASEAN a Bruxelles, luglio 2014
Dopo soli due anni, però, i negoziati subiscono un’interruzione e la motivazione più calzante per spiegare questa rottura pare essere il record politico negativo del Myanmar riguardo ai diritti umani. La politica commerciale dell’Unione si accompagna infatti alla promozione di norme e regole conformi ai Trattati europei e il Myanmar – facente parte dell’Associazione asiatica – impedisce in termini concreti un proseguimento proficuo dei colloqui. In aggiunta a ciò, è stato anche il diverso entusiasmo tra le due parti a raffreddare i rapporti e ogni possibilità di portare a termine un accordo multilaterale complessivo. Nonostante la crisi finanziaria globale fosse giunta in Europa proprio in quel periodo, la superiorità economica del Vecchio Continente era indiscutibile e non vi era alcuna necessità di portare a termine un concordato che non soddisfacesse pienamente i valori e gli interessi dell’Unione. Da parte asiatica si riteneva invece che l’accordo avrebbe danneggiato maggiormente la loro zona, considerata anche l’enorme disparità in termini di ricchezza tra i diversi Stati all’interno della stessa Associazione. L’attenzione era quindi rivolta verso l’obiettivo primario di ridurre il gap interno e di proseguire con la costruzione di un’area di libero scambio, l’ASEAN Economic Community, che vedrà la luce solo alla fine del 2015.
Fig. 2 – Il Vice-Ministro degli Esteri malese Hamzah Zainudin con Federica Mogherini a Bruxelles, luglio 2014
2. CRISI DEL MULTILATERALISMO E MODIFICA DEL RAPPORTO DI POTENZA – Si decide quindi di lasciare spazio alla negoziazione di accordi bilaterali tra UE e singoli Paesi dell’area ASEAN, ritenendo più agevole concludere primariamente accordi tra due parti ridotte e solo in seguito giungere ad un accordo complessivo bi-regionale, che comunque rimane l’obiettivo ultimo dell’Unione Europea nella trattativa. A partire dal 2010 vengono infatti aperti primi tavoli con Singapore e Malesia, nel 2012 tocca al Vietnam, nel 2013 a essere coinvolta è la Thailandia, poi nel 2015 è il turno delle Filippine mentre l’ultima nazione con cui si è aperta una negoziazione è l’Indonesia nel luglio 2016. A inizio 2017, tuttavia, gli unici accordi raggiunti sono quelli con Singapore del 2014 e col Vietnam del 2015, non ancora ratificati da entrambi i Paesi.
Ad oggi l’area ASEAN nel suo complesso rappresenta il terzo partner commerciale dell’Unione Europea dopo Stati Uniti e Cina, mentre l’UE in ASEAN si colloca in prima posizione in termini di Foreign Direct Investments (FDI) con il 22% e in seconda, dietro solamente alla Cina, per volume commerciale totale. Inoltre, mentre la situazione economica complessiva tra le due regioni ha visto un graduale avvicinamento negli anni, le prospettive di crescita hanno avuto percorsi divergenti: se da un lato sono rimaste modeste per l’Unione Europea, dall’altro i Paesi ASEAN hanno avuto una crescita media intorno al 5% annuo. Le prospettive di un accordo di libero scambio tra le due associazioni regionali si sono perciò completamente rovesciate. L’Unione Europea ha un assoluto bisogno di concludere accordi commerciali in diverse aree globali al fine di incrementare i dati della crescita economica locale tuttora stagnante, mentre al contrario i Paesi del Sud-est asiatico si sentono ora in posizione di forza e non percepiscono immediata necessità di concludere un accordo che, oltre agli aspetti economici, vuole mettere mano anche ad aspetti socialmente più rilevanti, quali la tutela dell’ambiente e la protezione dei diritti dei lavoratori.
Fig. 3 – La bandiera dell’ASEAN a fianco di quelle della UE e dell’ONU durante l’ASEAN Regional Forum del 2008
3. QUALE FUTURO? – A partire da maggio 2015, con un comunicato congiunto ASEAN-UE, si è però aperto uno spiraglio per la riapertura di un tavolo negoziale in ottica di superamento dell’impasse riguardante i vari accordi bilaterali e di portare la relazione commerciale a un livello più alto con un accordo region-to-region. L’accelerazione deriva innanzitutto dalla mutata situazione politica in Myanmar, che non sembra rappresentare più un ostacolo “normativo” alla firma dell’accordo, in quanto sta attraversando una delicata fase di transizione democratica, ma e’ anche una conseguenza delle mutate condizioni politico-economiche delle due parti. Nel prossimo futuro il 90% della crescita globale avverrà infatti al di fuori dei confini europei, e gli accordi commerciali con altri Paesi diventeranno quindi fondamentali per permettere agli Stati della UE di creare nuove opportunità e nuovi posti di lavoro all’interno dei propri confini. Dal punto di vista dell’ASEAN, invece, l’Associazione è al centro dei principali accordi commerciali inter e intra-regionali a livello globale in fase di negoziazione, tra i quali il TPP (Trans Pacific Partnership, che potrebbe essere portato avanti nonostante l’assenza pesante degli Stati Uniti), il RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership, accordo di libero scambio che comprende i paesi ASEAN+6), oltre agli FTA bilaterali già in essere con gli altri Paesi della regione Asia-Pacifico. Partendo da questi presupposti l’Unione Europea ha dunque un interesse prioritario per firmare un accordo di libero scambio con l’ASEAN poiché vuole tutelare gli interessi di lavoratori e imprese europee situate nella regione ed evitare che venga ridimensionata la sua porzione di mercato a vantaggio dei concorrenti asiatici. L’ASEAN, invece, potrebbe essere distratta dalla negoziazione di accordi commerciali coi partner regionali, caratterizzati da esigenza più imminente, anche dal punto di vista politico e della sicurezza, rispetto a un accordo con l’UE.
Malgrado la complessa road map, che secondo la Commissione Europea prevedrebbe una negoziazione bilaterale con tutti i Paesi ASEAN prima di arrivare all’obiettivo ultimo dell’accordo tra le due regioni, diversi segnali positivi traspaiono verso una ripresa dei negoziati. Il primo fattore riguarda l’ASEAN che, dopo aver ultimato la costruzione dell’AEC, raggiungendo dunque il principale traguardo in tema di politica commerciale interna, può presentarsi alla concorrenza internazionale come un’entità più compatta che può negoziare allo stesso livello con l’Unione Europea. Il secondo deriva dal comunicato congiunto di marzo 2016 tra i ministri economici ASEAN (AEM) e il Commissario europeo al commercio Cecilia Malmström che segnala fiducia verso l’impegno delle due organizzazioni per lavorare in direzione di una ripresa ufficiale dei negoziati a livello multilaterale. L’auspicio rimane che, nonostante i venti protezionisti e nazionalisti dell’attuale periodo storico, le due organizzazioni ribadiscano i vantaggi provenienti dal libero scambio e da un sistema economico e sociale aperto.
Fig. 4 – Alcune donne chiacchierano di fronte a un negozio di abbigliamento di Hanoi. Il Vietnam è uno dei principali motori economici dell’ASEAN
Davide Davolio
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il libero commercio tra le nazioni è uno dei tre pilastri fondamentali che Kant inserisce, insieme a costituzione repubblicana e diritto internazionale, nella sua opera Per La Pace Perpetua, in cui sostiene che solamente attraverso l’affermazione di queste tre condizioni si potrebbero creare i presupposti per abolire la guerra tra le nazioni. Questo principio, insieme agli altri, è stato poi rielaborato nel corso del Novecento dai teorici liberali delle relazioni internazionali ed è alla base dell’ordine internazionale su cui gli Stati Uniti fondarono, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, le istituzioni garanti e promotrici del libero commercio: la Banca Mondiale (WB), il Fondo Monetario Internazionale (IMF), l’Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio (GATT, poi WTO) e il piano Marshall (poi OECD). [/box]
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