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Migrazioni: l’effetto diga

L’Italia è impegnata a fare accordi con Paesi africani per controllare e fermare i flussi migratori già in Africa. Poca dibattito è però stato rivolto a quello che è l’”effetto Diga” che si verrebbe a creare. Lo spieghiamo qui in 9 punti

1 – Accordi con Paesi di transito

Nel tentativo di trovare soluzioni ai crescenti flussi migratori, l’Unione Europea in generale e l’Italia in particolare stanno proseguendo nella stipula di accordi che permettano la riduzione dei flussi e il rimpatrio di quei migranti definiti come irregolari. Dopo l’accordo UE-Turchia di Marzo 2016 per bloccare la rotta balcanica utilizzata soprattutto dai rifugiati siriani, e una serie di accordi con Paesi africani di transito come Mali e Niger a dicembre 2016, l’Italia grazie all’opera del suo Ministro degli Interni Marco Minniti ha proceduto a concordare un’intesa con il governo libico internazionalmente riconosciuto di Faraz al-Serraj. Analoghe intese sono in corso di discussione con altri Paesi africani (ad esempio Tunisia). Per molti politici e per parte dell’opinione pubblica, la creazione di tali accordi risponde alla necessità di trovare soluzioni all’attuale ondata migratoria nel tentativo di fermare i flussi stessi.

2 – Gheddafi-style?

Si intende cioè riproporre quello che fu uno schema già adottato con Gheddafi in passato, di fatto affidando ai Paesi di transito (non necessariamente di origine) il controllo e la riduzione dei movimenti verso il Mediterraneo e l’Europa, aprendo nel frattempo canali di transito privilegiati che tolgano spazio alle organizzazioni criminali attualmente attive nel traffico di esseri umani. Non sembra tuttavia si sia fatto una valutazione adeguata su quanto, come abbiamo già scritto anni fa, quello stesso accordo passato già mostrava.

3 – Il problema delle dinamiche alla base

Pensare infatti che tali accordi possano risultare risolutivi appare non corretto, soprattutto alla luce dell’analisi delle dinamiche alla base dei movimenti migratori, e della loro tendenza nel tempo. A tal riguardo, vi mostriamo una mappa che mostra una delle chiavi fondamentali per la comprensione del fenomeno.

Se vi risulta difficile da comprendere, qui (in una delle tante conferenze pubbliche che abbiamo svolto sul tema in questi anni) abbiamo spiegato da dove derivi e cosa significhi:

4 – L’effetto diga

Il blocco del transito grazie ad accordi dunque non è del tutto errato, ma va compreso come esso, da solo, non sia propriamente efficace. Non solo i flussi possono deviare verso aree non controllate, ma soprattutto anche nelle zone e nei Paesi con i quali si fanno accordi si crea il cosiddetto “effetto diga”: in pratica a uno stop nelle uscite, non si accoppia uno stop alle entrate. In altre parole, per quanto i flussi in uscita vengano controllati e ridotti (almeno nelle intenzioni), questo non succede ai flussi in entrata, con risultato che tali Paesi si trovano progressivamente ad affrontare numeri crescenti di persone. Né vale la considerazione che l’eventuale “selezione” possa scoraggiare i richiedenti dal muoversi. Anzi, l’idea di avere una chance porterà a un progressivo sovraffollamento del sistema di valutazione. In termini figurativi, si avrà una situazione simile a una diga posta al termine di un grosso fiume: il flusso d’acqua in arrivo è più grande di quello, ridotto e controllato, in uscita, e il livello dell’acqua nella diga sale…

floodgate photo
Quando il livello diventa troppo elevato, le chiuse si aprono…

5 – Che succede quando la diga non ce la fa

Il problema è che la capacità della diga non è infinita. Prima o poi l’acqua sarà troppa e rischierà di rompere la diga o di traboccare – in entrambi i casi con effetti deleteri. In termini reali significa che la capacità del Paese-diga di gestire i flussi in ingresso verrà messa progressivamente sempre più sotto pressione, fino ad arrivare a livelli critici. A questo punto o il Paese collassa a causa di tensioni e dinamiche interne incontrollate a causa del troppo alto numero di migranti (diga che si rompe), oppure sarà impossibilitato a chiudere tutto (diga che trabocca). In entrambi i casi l’effetto sarà quello di una forte instabilità locale che risulterà nell’inefficacia del sistema. In realtà non si arriverà a questo, perché nessun bravo gestore di diga (o capo di stato o di governo) lascia che ciò accada. In una diga, quando la quantità d’acqua inizia a diventare eccessiva per gli standard di sicurezza, quello che si fa è aprire le chiuse… e far defluire maggiori quantità di acqua a valle. Questo permette di ridurre la pressione e gestire meglio la situazione. Nel caso pratico però questo significa che i Paesi-diga innanzi tutto chiederanno sempre maggiori risorse all’Europa (in una sorta di “ricatto” per avere più fondi per non riaprire i flussi) e, in estremo, lasceranno passare più persone o comunque controlleranno di meno.

6 – Qualcuno ci marcia…

A questo aggiungiamo l’ovvia opera di organizzazioni criminali che aiuteranno tutti i respinti (cioè coloro non autorizzati a partire con i corridoi sicuri autorizzati) comunque a muoversi verso il Mediterraneo, sfruttando scarsi controlli e corruzione locale. Il rifiuto a fornire ulteriori risorse (potrebbe diventare un pozzo senza fondo) porterà tali Paesi a chiudere maggiormente gli occhi davanti a tali attività o addirittura favorirle. In altre parole, per quanto l’idea di base non sia del tutto errata, è anche necessario ricordare che essa da sola ha limiti intrinsechi che fanno sì che entro 3-5 anni il sistema rischi comunque il collasso o l’inefficienza perché non sono state fermate le dinamiche alla base che portano le persone a migrare.

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7 – Nodi irrisolti che continuiamo a ignorare

Ha detto bene il Premier italiano Paolo Gentiloni: per risolvere il problema ci vuole Mago Merlino. Questo è sicuramente vero se pensiamo unicamente a una soluzione a breve termine: molto francamente, l’intera questione delle migrazione e le dinamiche alla base, che abbiamo mostrato prima, non possono essere risolte in pochi mesi. Nemmeno in pochi anni. A problematiche sviluppatesi in decenni, andranno contrapposte politiche e iniziative che inevitabilmente impiegheranno decenni per fornire i frutti sperati, ammesso si parta ora. La partita infatti è questa: iniziare ora politiche e iniziative che possano nel tempo portare a risultati efficaci contro le dinamiche causa di migrazione (come abbiamo mostrato qui, nel caso esempio della Nigeria), mentre si opera per affrontare al meglio la questione accoglienza e integrazione che, comunque, è necessaria per affrontare la situazione attuale.

 

8 – Non ci si potrebbe accontentare intanto di guadagnare qualche anno di calma?

No, non è né possibile né auspicabile. Posporre di tre, quattro o anche cinque anni la ripresa di forti flussi è per i Paesi Europei (Italia in primis) non solo poco efficace, ma rischia anche di essere controproducente. Se ci pensiamo bene, Gheddafi è stato ucciso cinque anni fa… e tutto possiamo osservare quale sia la situazione in Libia ora. Cinque anni non sono nulla, in termini geopolitici e di lungo periodo. Il rischio è semplicemente chiudere gli occhi per così tanto tempo e poi trovarsi ad affrontare presto una situazione anche peggiore, semplicemente perché, ignorandola, abbiamo lasciato che continuasse a peggiorare. Allora risulterà ancora più difficile gestirla e, di fatto, avremo solo perso tempo.

9 – Lo facciamo “per loro”? No, soprattutto per noi – e poi per tutti.

È ovvio che sia le politiche di sviluppo sia quelle di accoglienza e integrazione richiedano risorse, in primis (ma non solo) economiche. Questo necessita della comprensione della complessità del fenomeno, da un lato, e da un cambio di prospettiva di chi oggi si oppone dall’altro: davanti alla tentazione di rifiuto di una tale scelta, spesso giustificata con slogan del tipo “prima spendiamoli per noi”, è opportuno ricordare come invece non si tratti di “spendere per loro”, ma proprio di farlo “per noi”. Una gestione attiva dell’accoglienza e dell’integrazione è infatti fondamentale per proteggere quello stile di vita, cultura e valori che l’opinione pubblica europea considera fondamentali e che intende mantenere come primari nella società. Ignorare la questione è invece il modo più rapido per subirne gli effetti negativi.

Lorenzo Nannetti

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

In queste settimane è circolato un video di Luca Donadel, che ha fatto numerossissime visualizzazioni e condivisioni sul web. In molti ci avete chiesto la nostra opinione in merito. A nostro avviso qui sono stati usati alcuni dati reali e nascosti altri, così da evidenziare solo certe dinamiche allo scopo di portare lo spettatore a una conclusione specifica. Nel momento però nel quale si osservano tutti i dati e se ne approfondisce il contesto, le cose risultano un po’ diverse e la posizione espressa nel video risulta quanto meno distorta. Una trattazione completa prenderebbe troppo tempo ed è già stata fatta da altri, quindi ci limitiamo a segnalarvi gli approfondimenti di Vice e Bufale.net.

In definitiva siamo ben coscienti che il sistema di accoglienza e gestione e l’intera gestione della questione migrazioni siano ovviamente problematici – lo abbiamo scritto più volte e lo notiamo anche in questo articolo – tuttavia nel video le informazioni vengono presentate per fornire soluzioni che, proprio alla luce dei dati reali, a nostro parere risultano parziali e non corrette. [/box]

Immagine nell’articolo di yoshiaki_n rilasciata con licenza Attribution License

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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