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Il razzismo dell’India nei confronti degli africani

Nuove violenze ai danni degli studenti africani nella periferia di New Delhi hanno fatto riemergere la spinosa questione razziale nel Paese e rischiano di compromettere le relazioni politiche e commerciali tra il continente africano e l’India

GIUSTIZIA SOMMARIA — Alla fine di marzo a Greater Noida, nella periferia sud-orientale di New Delhi, si sono verificati alcuni episodi di violenza nei confronti della popolazione africana residente da parte della comunità locale. Il pretesto sembrerebbe il decesso di Manish Khari, diciannovenne indiano morto alcune settimane fa per overdose. Gli abitanti della zona hanno accusato alcuni giovani di origine africana residenti nel quartiere, colpevoli secondo loro di aver venduto al giovane stupefacenti. L’accusa ha portato all’arresto e successivo rilascio di cinque studenti nigeriani, ma questo non ha placato la sete di giustizia dei residenti.

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Fig. 1 – La polizia indiana interroga alcuni dei giovani africani attaccati nel corso della manifestazione pacifica del 27 marzo, costretti a rifugiarsi in un supermercato per sfuggire agli attacchi

Nel corso di una manifestazione pacifica a sostegno dei giovani ingiustamente accusati di omicidio, una folla inferocita ha attaccato i manifestanti. Mentre il corteo si disperdeva, alcuni manifestanti hanno trovato rifugio in un supermercato ma sono stati seguiti, bloccati e brutalmente picchiati. Altri due nigeriani sono stati attaccati nella notte del 26 marzo e una donna kenyota è stata spinta fuori da un taxi e picchiata. Questi atti di giustizia sommaria portano alla luce un fenomeno tutt’altro che nuovo: il razzismo nei confronti degli africani in India è purtroppo un problema di lungo corso.

NON È IL PRIMO CASO — L’anno scorso a Bangalore una ventunenne tanzanese è stata spogliata e picchiata in strada, per vendicare una donna indiana investita accidentalmente da un giovane sudanese. Un ventinovenne congolese è stato uccoso durante uno scontro nel sud di Delhi. Il risentimento nei confronti degli africani da parte della popolazione indiana è stato oggetto di numerosi studi accademici negli ultimi anni. Le cause sono da attribuire in parte alle differenze culturali, in parte a una visione stereotipata della popolazione africana. Per i cittadini indiani, l’Africa è spesso sinonimo di sottosviluppo, traffico di droga, prostituzione. Non è raro che i residenti rifiutino di affittare appartamenti agli studenti africani, che ritengono troppo socievoli e rumorosi.

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Fig. 2 – Protesta contro le violenze dello scorso marzo organizzata da alcune associazioni di studenti 

Eppure moltissimi giovani africani continuano a scegliere l’India come meta dei loro studi. La motivazione è probabilmente da ricercare nel taglio ai finanziamenti e nella cattiva gestione delle università africane degli ultimi anni, che ha affossato la reputazione di alcune delle università più prestigiose del continente. L’India, nota per l’eccellenza del sistema universitario e decisamente meno costosa di altre mete ambite in Europa e Nord America, è diventata una delle mete favorite dai giovani africani. Merito anche della fascinazione trasmessa da Bollywood e dai programmi televisivi indiani, di cui i giovani africani sono assidui consumatori.

L’INDIA È RAZZISTA? Dopo i fatti di Greater Noida, i rappresentanti di 44 paesi africani hanno prodotto una lunga nota in cui accusano il governo indiano di non aver adottato le misure di sicurezza necessarie per combattere il razzismo. I diplomatici hanno richiesto l’avvio urgente di un’indagine indipendente sulle violenze degli scorsi mesi da parte del Consiglio dell’UNHRC, accusato di non essersi espresso con forza contro questi attacchi xenofobici. Sushma Swaraj, Ministro degli Esteri indiano, ha condannato le violenze, giudicandole “deplorevoli” e ha invitato Yogi Adityanath, nuovo capo dell’esecutivo nella regione dell’Uttar Pradesh, a predisporre indagini approfondite.

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Fig. 3 – Il Ministro degli Affari Esteri indiano Sushma Swaraj 

Le parole di Swaraj hanno sollevato non poche perplessità, considerato che Adityanath è considerato uno dei rappresentanti più estremisti all’interno della destra indiana induista, rappresentata dal Bharatiya Janata Party (BJP). Nonostante le rassicurazioni del governo indiano sulla necessità di salvaguardare la sicurezza dei giovani africani residenti in India, episodi come questi tendono a essere sottovalutati e i responsabili restano quasi sempre impuniti, alimentando la convinzione che non si tratti di un fenomeno grave. L’India ha un problema di razzismo fortissimo, che purtroppo stenta ad ammettere. In passato la stessa Swaraj ha liquidato molti episodi di razzismo, sostenendo che l’India, in quanto terra di Gandhi e Buddha, non potesse essere razzista.

INCIDENTE INTERNAZIONALE – L’incidente diplomatico potrebbe avere conseguenze a livello internazionale sui rapporti tra India e Africa.  L’India non ha mai nascosto di nutrire interessi politici nei confronti dei Paesi africani: le stesse politiche di agevolazione nei confronti degli studenti africani rientrano in una strategia più ampia. Il governo indiano ha più volte ribadito i propri investimenti sul suo africano: circa 1 miliardo in assistenza tecnica e almeno 7 miliardi per sostenere le infrastrutture africane.

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Fig. 4 – Delegazione di capi di stato al Forum sulla cooperazione tra Africa e Cina a Sandton, Johannesburg, 4 dicembre 2015

La motivazione principale è probabilmente la volontà di ridurre la propria dipendenza energetica dai Paesi del Medio Oriente, ragione per cui importa dall’Africa circa il 17% del petrolio. Nonostante i suoi ingenti sforzi, l’India subisce la dura competizione con altri giganti asiatici come Cina e Giappone. In particolare,  la Cina appare in netto vantaggio con un volume di 200 miliardi nel commercio bilaterale annuale, contro i 75 miliardi dell’India. Gli episodi di razzismo potrebbero accentuare questa disparità, invogliando i Paesi africani a preferire la Cina rispetto all’India, nonostante le relazioni diplomatiche e commerciali con quest’ultima siano molto più radicate nel tempo.

COSA FARE? La promessa di pene più severe per episodi di questo genere rimane una soluzione parziale. Decostruire una società intrinsecamente razzista – basti pensare al mai risolto problema delle caste – è possibile solo attraverso un profondo lavoro culturale, volto a riconoscere e condannare gli episodi di razzismo, ma non solo. Se l’India ha seriamente intenzione di far crescere le proprie relazioni con il continente africano deve cominciare a riconoscere la ricchezza economica e culturale che le relazioni con l’Africa apportano. È questo che rende la cooperazione sud-sud del mondo un’alternativa auspicabile all’egemonia culturale ed economica imposta per secoli dai Paesi occidentali: riconoscere punti di forza e debolezze da entrambe le parti e lavorare in maniera più paritaria per raggiungere obiettivi di crescita comuni. Il governo indiano deve impegnarsi per far riconoscere ai propri cittadini la presenza di cittadini africani come una risorsa. Se è vero, infine, che una parte della popolazione africana residente nel Paese è coinvolta in traffici illegali, si tratta di una conseguenza della ghettizzazione che la popolazione di colore subisce, costretta a colonizzare interi quartieri, senza vedere l’opportunità di una reale integrazione all’interno della variegata ma estremamente chiusa società indiana.

Caterina Pucci

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Due letture consigliate per approfondire sul problema del razzismo in India e la vita degli studenti africani in India. [/box]

Foto di copertina di VinothChandar Licenza: Attribution License

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Caterina Pucci
Caterina Pucci

Nata nel 1990, il giornalismo è una vocazione che ho cominciato a coltivare sin dall’adolescenza. All’università, ho scelto di assecondare l’interesse per le lingue straniere, specializzandomi in inglese e arabo. Intanto, scrivevo per una rivista della mia città, Altamura. Nel 2013, il grande passo: mi sono trasferita a Milano per studiare Relazioni Internazionali. Sacrificando l’estate del 2014, ho trascorso un mese a Rabat per seguire un corso intensivo di lingua araba. L’ultimo semestre della mia vita accademica l’ho passato a Gent, in Belgio. Nel 2015, mi sono laureata con una tesi in Storia dell’Asia Islamica sul pensiero di Ali Shariati e la rivoluzione iraniana. Ho cominciato a lavorare come Assistente alla Comunicazione per l’Istituto di Cooperazione Economica Internazionale (ICEI) di Milano. In quel periodo, ho cominciato a scrivere per Il Caffè Geopolitico e ad ottobre 2016 sono diventata Responsabile del desk Africa. Continuo a occuparmene con passione da allora, mentre nella vita lavoro come redattrice. Continuando a perseguire il sogno di diventare una brava giornalista.

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