In 3 sorsi – La sentenza della Corte Suprema argentina riapre una ferita profonda nella coscienza di una società che, fra segreti e faticose indagini, cerca di fare i conti con il periodo più buio della sua storia. Ma per i desaparecidos non c’è pace
1. DESAPARECIDOS, LA SENTENZA – Gli strascichi del regime militare che portò al fenomeno dei desaparecidos argentini sono ancora visibili tanto nell’opinione pubblica quanto nelle aule di tribunale. Un articolo nella rubrica internazionale di El Paìs del 5 maggio è dedicato proprio a questa profonda ferita che, nei giorni recenti, ha ricominciato a sanguinare: una sentenza, risalente a martedì 2 maggio, della Corte Suprema argentina ha deciso che i giorni trascorsi in carcere prima della condanna definitiva dai militari condannati per crimini contro l’umanità possano essere contati come doppi, in base ad una legge deroga del 2001 conosciuta come 2×1. Il principio fondante di questa legge è l’applicazione della norma più favorevole, senza considerare la gravità del delitto commesso. Le reazioni della popolazione, scesa in Plaza de Mayo l’11 maggio, e delle organizzazioni per i diritti umani non si sono fatte attendere, parlando di un arretramento all’interno di un Paese che ha fornito un esempio nella condanna dei criminali legati al Processo di riorganizzazione nazionale (Proceso de Reorganizaciòn Nacional), autodefinizione della dittatura militare argentina fra il 1976 ed il 1983 – il cui leader principali erano Jorge Rafael Videla e Leopoldo Galtieri, che si contese le isole Falkland con Margareth Thatcher. Le difficoltà dei processi, infatti, non hanno impedito la condanna per crimini contro l’umanità dei principali responsabili, ottenendo un risultato pressoché ineguagliato all’interno della regione. Persino il Governo Macri – il quale ha nominato 2 dei 5 giudici della Corte, poi approvati dal Senato, schieratisi favorevolmente rispetto alla sentenza – si è espresso sulla vicenda, criticando la legge del 2×1 senza tuttavia esprimere riserve sulla sentenza. D’altra parte, non c’è accordo fra gli esperti su come giudicare la decisione. Il caso preso in giudizio dalla corte è quello di Luiss Muiña: condannato nel 2011 a 13 anni di carcere per sequestro e tortura di cinque lavoratori dell’Hospital Posadas, sotto il comando di Reynaldo Bignone, ultimo membro della giunta militare al potere fra il 1982 ed il 1983. Tre membri della Corte su cinque hanno ritenuto che l’imputato dovesse beneficiare del 2×1, ratificando la libertà concessagli ad aprile.
Fig. 1 – La Corte Suprema argentina.
2. IL PARERE DEGLI ESPERTI – Come anticipato, non c’è una visione univoca su come considerare la norma del 2×1. Tuttavia, è possibile ricostruire le opinioni principali. La prima da analizzare è quella di Ricardo Gil Lavedra, uno dei giudici che, nel 1984, ha fatto parte del tribunale che ha condannato i gerarchi nel juicio a las Juntas: egli si è espresso con parere contrario rispetto alla decisione della Corte, affermando che “le differenze fra gli argomenti di una Corte di cinque membri dimostra come questa sia una questione altamente opinabile”. Secondo il giudice, “a partire da che si emettano sentenze, che è il momento in cui si può beneficiare del 2×1, esiste la possibilità certa che lascino liberi numerosi oppressori”. La presenza di una minoranza all’interno del collegio che ha approvato l’adozione del principio della pena minore, segnala il costituzionalista e avvocato per i diritti umani Eduardo Barcesat, ci mostra che “questo principio ceda quando si tratta di delitti di sparizione forzata”.
C’è anche chi, al contrario, vede nella misura una conformità al diritto internazionale, come nel caso dell’ordinario di diritto costituzionale Félix Loñ. Per quest’ultimo, il giudizio della Corte ha fondamenta solide nello statuto della Corte Penale Internazionale, che “mantiene il beneficio della norma più favorevole anche per coloro che violarono i diritti umani. È solo un problema di calcolo degli anni di condanna, non è un salvacondotto per violare i diritti umani”.
Fig. 2 – Durante una manifestazione, un uomo osserva i volti di alcuni desaparecidos.
3. IL PRECEDENTE DI PAPA FRANCESCO – L’attualità della questione dei desaparecidos e degli orrori commessi dalla dittatura militare è stata confermata in numerose occasioni, ultima delle quali si è proposta persino un anno fa, il 24 marzo 2016: in concomitanza della visita di alcune famiglie di vittime del regime argentino presso la Santa Sede e con l’inizio a Roma del processo contro un ex tenente italoargentino accusato di omicidio, sequestro ed abusi sessuali durante il Governo di Videla, il Vaticano ha decretato la declassificazione degli archivi relativi alla dittatura. Correva il quarantesimo anniversario del colpo di Stato argentino. L’amarezza della vicenda nutre di scetticismo le persone coinvolte, come la signora Marie-Noëlle Erize Tisseau, una donna franco-argentina che vive a Marbella: “La declassificazione degli archivi vaticani non aiuterà molto“, afferma la signora in occasione della decisione del Papa. “C’è una Chiesa che ha appoggiato i militari e che sapeva cosa stesse accadendo”. Maggiori dettagli sulla decisione della Santa Sede furono forniti dal suo portavoce, padre Federico Lombardi, il quale ha affermato che gli archivi vaticani corrispondenti alla dittatura argentina sarebbero stati catalogati, per poi essere in seguito resi disponibili per la consultazione secondo i tempi e le condizioni opportune. “Si tratta”, ha aggiunto il religioso, “di rispondere ad alcune domande specifiche su questioni particolari di carattere giudiziario”. Il coinvolgimento della Chiesa Cattolica nelle vicende delle dittature militari latinoamericane è oggetto di discussione tanto per il caso della giunta di Videla quanto per quella di Pinochet e la mossa di Papa Francesco è volta a far coincidere l’elezione di un pontefice argentino con una nuova fase di ricerca – vera o apparente – della verità su quanto accadde in quegli anni. Non è certo l’unico punto rimasto oscuro all’interno della vicenda, la quale resta un capitolo nero della storia del Paese che ha spinto numerose persone ad esprimere il loro dissenso contro la decisione: “Vogliono eliminarci dalla storia per creare la loro storia”, ha detto l’ottantaseienne Estela de Carlotto, la leader delle Abuelas de Plaza de Mayo. Il rischio principale, anche a seguito della nomina dei due giudici sostenuti da Macri, è che questa riscrittura della storia possa trasformarsi da pericolosa ipotesi a dura realtà. Per ora non resta che aspettare, ma le conseguenze di questa sentenza sono già visibili.
Riccardo Antonucci
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Contro la legge del 2×1 si è espresso fortemente anche Monsignor Lozano, presidente della Comisión Episcopal de Pastoral Social, il quale ha criticato la sentenza della Corte mostrando il volto del mondo religioso schierato contro i colpevoli delle violenze del regime. Per conoscere la sua opinione sul tema, clicca qui.
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