Lo scorso primo agosto Pechino ha ufficialmente inaugurato la sua prima base navale a Gibuti, piccolo Stato del Corno d’Africa, dove potrà far attraccare e rifornire anche le proprie imbarcazioni militari. Le implicazioni di questa nuova base vanno tuttavia molto al di là della semplice prospettiva logistica e coinvolgono aspetti cruciali della politica estera cinese
LA BASE – Situata presso il porto di Doraleh, poco distante dalla capitale del piccolo Stato africano, la nuova base cinese è quasi un’allegoria della sfolgorante espansione del Regno di Mezzo sullo scenario globale. In primo luogo, l’intera opera è stata realizzata in tempi sorprendentemente rapidi. I primi contatti tra il governo di Xi Jinping e quello di Ismail Omar Guelleh, al potere in Gibuti dal 1999, per trovare un’accordo sulla costruzione di una struttura permanente di supporto navale infatti risalgono al 2015, mentre l’accordo tra i due Paesi venne raggiunto nel gennaio del 2016. I lavori per l’adattamento del porto di Doraleh partirono quindi il mese successivo, finanziati dalla Cina per una spesa stimata di 590 milioni di dollari, e sono stati terminati meno di 18 mesi dopo, a poco piĂą di due anni dall’inizio delle trattative. Sebbene la cerimonia di apertura ufficiale sia stata celebrata lo scorso primo agosto, un’inaugurazione ufficiosa era giĂ arrivata l’11 luglio, con la partenza da Zhanjiang, cittĂ della provincia della Cina meridionale di Guangdong, di due navi da guerra con a bordo parte del personale militare di stanza alla base, che dovrebbe essere composto da circa 10,000 uomini fino al 2026. L’aspetto piĂą rilevante di questa collaborazione con Gibuti è tuttavia rappresentato dalla sua novitĂ : sebbene l’intervento cinese nella ristrutturazione, costruzione o gestione di porti sia una costante in quasi tutto il mondo, dal Pakistan al Sudamerica, passando per la Grecia, la base di Doraleh è una prima volta particolarmente significativa per Pechino, che mai prima d’ora aveva stabilito basi militari al di fuori del proprio territorio o delle aree immediatamente circostanti.
Fig.1 – Â Personale dell’esercito cinese partecipa all’inaugurazione della base di Doraleh, 1 Agosto 2017
L’IMPORTANZA DELLA REGIONE – Cosa rende Gibuti tanto interessante per la Cina da farlo diventare la sede della sua unica base militare al di fuori delle sue acque limitrofe? Il Paese occupa una piccola porzione di terra prevalentemente desertica, affacciata sulle acque dello Stretto di Bab el-Mandeb e del Golfo di Aden; ed è proprio questa sua posizione il primo dei motivi che giustificano la presenza cinese. Pechino infatti partecipa da diversi anni alle operazioni di contrasto alla pirateria al largo delle coste della Somalia e con la nuova base potrĂ garantirsi un porto di appoggio a breve distanza per le navi impegnate nelle missioni anti-pirateria. Bab el-Mandeb è inoltre uno degli stretti, assieme a quelli di Hormuz e delle Molucche, attraverso cui le rotte mercantili sono costrette passare per accedere all’Oceano Indiano. Il controllo e la sicurezza di questi “colli di bottiglia” sono fondamentali per una potenza commerciale come la Cina; infatti, sulle acque dell’Oceano Indiano transita annualmente la metĂ della flotta cinese, trasportando sia una larghissima percentuale delle esportazioni, che le consistenti importazioni di materie prime, petrolio e gas che Pechino compie da Africa e Medio Oriente. Questi interessi non sono peraltro unici di Pechino, come dimostrato dal grande numero di attori regionali e non che competono per una presenza militare nel Golfo di Aden. La Francia dispone di un contingente della Legione Straniera dislocato nel Paese, che fino al 2011 ospitava uno dei tre reggimenti di stanza al di fuori del territorio francese; sempre nel 2011 il Giappone ha stabilito a Gibuti una base per le sue Forze di Auto-difesa, ovvero l’unica forma di esercito consentita dalla costituzione pacifista di Tokyo. Anche l’Arabia Saudita ha manifestato interesse nella costruzione di una base militare sul territorio gibutiano, forte della comune appartenenza alla Lega Araba; un altro membro della Lega, gli Emirati Arabi Uniti, ha raggiunto un’intesa per costruire una propria base con il confinante Somaliland.
Fig. 2 – Containers nel porto di Gibuti, 2016
LA COMPETIZIONE CON GLI USA – La presenza straniera piĂą rilevante è però un’altra. A Gibuti è presente infatti la sede dell’unica base militare statunitense nel continente africano, aperta subito dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre. Nei 250 ettari della base di Camp Lemonnier, situata di fianco all’aeroporto internazionale di Gibuti e alla base giapponese, si trovano oltre 4500 militari americani, numeri in crescita a partire dal 2013 a causa dell’instabilitĂ regionale e del progressivo disimpegno statunitense da Afghanistan e Iraq. Dalla base, che il Pentagono finanzia con oltre un miliardo e quattrocento milioni di dollari all’anno in aggiunta ai 63 che il governo USA paga a Gibuti per l’affitto del terreno, partono operazioni contro obiettivi sensibili in tutto il Medio Oriente, in particolar modo contro gli jihadisti Yemeniti e le milizie di al-Shabaab in Somalia. Con la costruzione della base cinese, quindi, per la prima volta Washington e Pechino si troveranno ad avere distaccamenti operativi a pochi chilometri l’uno dall’altro, il tutto in un periodo di tensione tra i due lati; ed infatti da parte americana non hanno tardato ad emergere preoccupazioni e sospetto per la nuova installazione cinese, che permetterebbe a Pechino di godere di un posto in prima fila per studiare i movimenti e le operazioni statunitensi. Inoltre, la presenza permanente di una flotta militare cinese nell’Oceano Indiano sottrarrebbe agli Stati Uniti il monopolio nella sicurezza delle rotte di comunicazione internazionali, quel “command of the commons” che è uno dei pilastri su cui si poggia l’egemonia statunitense sullo scenario internazionale.
Fig. 3 – Il Segretario statunitense alla Difesa James Mattis in visita alla base di Camp Lemonnier, 23 Aprile 2017
SIGNIFICATO E CONSEGUENZE – La base di Doraleh è quindi destinata a cambiare profondamente le dinamiche geopolitiche dell’Oceano Indiano. In un primo livello di lettura, quello confermato dalle fonti ufficiali cinesi, la nuova base permetterĂ a Pechino di rafforzare i suoi sforzi nel contrasto alla pirateria, proteggendo i flussi commerciali e garantendosi così il mantenimento dei tassi di crescita economica interni. Tuttavia, ad un secondo livello, la presenza di una base inequivocabilmente militare nell’Oceano Indiano manifesta anche la raggiunta capacitĂ di proiezione verso l’esterno della propria forza militare, qualcosa che finora era sempre mancato alla Cina nella sua ascesa a nuova potenza di riferimento globale. Va inoltre notato il cambiamento nella volontĂ politica di Pechino che la nuova base porta con sĂ©: sino al mese scorso, infatti, la Repubblica Popolare aveva sempre rifiutato di stabilire basi militari sul territorio di altri Stati sovrani appellandosi al principio di non interferenza con le vicende interne di un altro Stato, marcando al tempo stesso una differenza con quanto fatto abitualmente ed a livello globale dagli Stati Uniti. La deroga a questo principio è quindi una novitĂ particolarmente significativa che cambia il modo di interpretare le scelte politiche di Pechino ed influisce inevitabilmente sugli altri Stati coinvolti. Oltre alla sopracitata preoccupazione statunitense, si può guardare agli esempi forniti da altri due Stati che competono con la Cina sullo scenario regionale, Giappone e India. Tokyo ha immediatamente scelto di rinforzare la propria base gibutiana per controbilanciare la presenza cinese; Nuova Delhi aveva giĂ espresso preoccupazione per il tentativo cinese di accerchiarla con la cosiddetta “collana di perle”, una catena di porti costruiti da Pechino lungo tutte le coste dell’Oceano Indiano, di cui però non era mai stata dimostrata la possibilitĂ di utilizzo militare. Con la prima vera base navale cinese nell’Oceano che dall’India prende il nome, i sospetti di Nuova Delhi sono destinati a rinforzarsi.
Andrea Rocco
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
La storia di Gibuti è molto diversa da quella del resto del Corno d’Africa. In epoca coloniale, l’intera area venne spartita tra inglesi e italiani, mentre Gibuti divenne la sola colonia francese nella regione. Il legame con Parigi rimase molto forte anche al termine del colonialismo e per ben due volte (nel 1958 e nel 1967) i cittadini del piccolo Stato scelsero di rifiutare l’adesione alla Somalia per rimanere sotto il controllo francese; fu solo nel 1977 che il Paese si staccò da Parigi per proclamarsi Stato indipendente. Attualmente l’Italia è in possesso di una base militare che fornisce supporto logistico ai militari connazionali coinvolti in missioni nel Corno d’Africa. [/box]
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