Nella prima parte di questa analisi ci siamo dedicati a una panoramica storica della situazione dei diritti delle donne in Tunisia, soffermandoci poi sulle ultime riforme legislative in merito. Affrontiamo ora il dibattito sulla parità di genere nel diritto successorio, cercando in seguito di comprendere le possibili congiunture che hanno condotto a questa ondata riformista
IL DIBATTITO SULLA QUESTIONE EREDITARIA
Come abbiamo visto nella prima parte dell’articolo, il 13 agosto scorso, in occasione della Giornata Nazionale della Donna, il Presidente della Repubblica Tunisina Beji Caid Es-Sebsi ha tenuto un discorso alla nazione, esaltando il ruolo delle donne nel Paese e invocando la necessità di nuove riforme in materia di parità di genere. A questo proposito, il Presidente ha proposto la riforma della legge sulla successione ereditaria: ciò prevederebbe, per cominciare, l’abrogazione della norma attualmente in vigore, che rifacendosi testualmente a un versetto coranico impone l’impari divisione dell’eredità in base al sesso dei fratelli. È questa una tematica annosa che divide la società da decenni, creando dibattiti particolarmente intensi, tanto che lo stesso Bourguiba fallì nel riformare quest’ambito del diritto, a causa delle decise opposizioni della parte più conservatrice dell’arena politico-sociale.
Lo stesso tentativo è stato compiuto da Mehdi Ben Gharbia, attualmente a capo del Ministero delle istanze costituzionali e delle relazioni con la società civile, quando nel maggio 2016, in veste di deputato parlamentare, ha presentato una proposta di legge all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (ARP). In alternativa all’ applicazione letterale della legge religiosa in materia di diritto successorio, egli proponeva la libera scelta: se ad oggi la mancanza di un testamento impone l’applicazione della shari‘a, sarebbe consono che tale divisione non paritaria venisse invece applicata solo in caso di manifesta volontà da parte del defunto. Questa posizione ha ottenuto consensi non numerosi ma trasversali tra le forze progressiste, e rifiuti da quelle conservatrici; a capo dello schieramento religioso ostile a questa riforma del diritto tunisino spiccava in particolare il gran mufti della Repubblica Tunisina Othman Battikh. Tra le ragioni del rifiuto figuravano la chiarezza del Corano in questione e il carattere non prioritario della questione delle quote ereditarie rispetto ad altre problematiche, innanzitutto la lotta al terrorismo. Tale proposta di legge avanzata da Ben Gharbia è infine decaduta a causa delle opposizioni di varie forze politiche, primo fra tutti il partito islamista al-Nahda.
Più risonanza e sicuramente più riscontro sta invece ricevendo il recente avanzamento della stessa riforma da parte del Presidente della Repubblica Es-sebsi. A fare eco alla proposta, il Presidente ha annunciato la creazione di un ‘Comitato per le Liberta Individuali e l’Uguaglianza’. A presiedere tale ente siede la deputata parlamentare Bochra Belhaj Hmida, ex Presidentessa dell’Associazione Tunisina delle Donne Democratiche (Association Tunisienne de Femmes Democrates – ATFD), avvocatessa e attivista per i diritti umani che si è esposta in prima linea per la recente approvazione della legge sulla violenza di genere. La Commissione è incaricata di svolgere un rapporto sulle possibili riforme da compiere per realizzare la completa parità di genere, in pieno accordo dunque con gli articoli 21 e 46 della Costituzione del 2014. È chiaro come uno dei nodi più difficili da sciogliere sarà appunto quello delle quote ereditarie.
Fig. 1 – Bochra Belhaj Hmida, Parlamentare tunisina e Presidentessa del neonato Comitato per le Liberta Individuali e l’Uguaglianza
A sorpresa e a differenza dello scorso anno, il mufti Battikh non si è detto contrario alla proposta, lodando invece il Presidente per un’iniziativa che secondo le sue parole servirà a garantire i diritti delle donne e l’uguaglianza dei sessi, così come prescritto non solo dalla legge, ma anche dalla religione. Ciononostante, l’ambiente religioso tunisino si è in gran maggioranza scagliato contro la ridiscussione di norme che sono concepite come scolpite nella shari‘a; a tal proposito, si sono esposti anche i vertici di al-Azhar, sottolineando come non ci sia in questa occasione alcun spazio per l’interpretazione e come qualsiasi allontanamento dall’attuale stato delle cose sia un tradimento della legge sacra dell’Islam. Appare chiaro il timore dell’Università cariota che una riforma del diritto tunisino in materia di eredità possa scatenare proteste in tutto il mondo islamico.
IL TIMING DELLE RIFORME: PERCHÉ PROPRIO ORA?
Dopo aver brevemente analizzato la situazione storica dei diritti delle donne in Tunisia e gli ultimi sviluppi (qui l’analisi completa), è più che naturale domandarsi le ragioni della tempistica di queste varie proposte di miglioramento dello status delle donne in Tunisia. Cosa può aver spinto il Presidente e il suo partito Nidaa Tunis a esporsi in tal senso proprio adesso? Proviamo, senza allontanarci troppo dai fatti, ad avanzare qualche ipotesi.
Innanzitutto, Es-Sebsi ha più volte ricoperto la carica di ministro durante i governi di Habib Bourguiba, e nel corso della sua campagna presidenziale sì è posto più o meno esplicitamente come suo erede politico, come dimostrato dal fatto che il lancio della sua campagna sia avvenuto proprio dal mausoleo di Bourguiba, a Monastir. Grazie a questa strategia e alle premesse instaurate dal richiamo al ‘padre della Tunisia moderna’, il novantunenne fondatore del partito laico-progressista Nidaa Tunis è quindi riuscito a guadagnare molti consensi.
Fig. 2 – Cerimonia di giuramento di Beji Caid Es-Sebsi come Presidente della Repubblica
Pur avendo conquistato il titolo di primo partito del Paese alle elezioni del 2014, Nidaa Tunis non ha comunque ottenuto abbastanza seggi per formare un proprio governo e ha scelto di creare un governo di coalizione con gli islamisti di al-Nahda, capeggiati da Rachid Ghannouchi.
L’alleanza con una forza conservatrice ha destabilizzato i sostenitori di Es-Sebsi, e l’iniziale mancata realizzazione delle sperate riforme ha fatto sì che le promesse elettorali di Es-sebsi in ambito sociale non fossero certo considerate mantenute dai suoi elettori. Varie voci suggeriscono, dunque, che le ultime mosse in materia di diritti delle donne siano state parte di una strategia presidenziale volta a riottenere il consenso dei suoi elettori ed elettrici più progressisti, in vista peraltro delle municipali del dicembre 2017 e delle presidenziali del 2019.
D’altra parte, promuovere i diritti delle donne e mostrarsi al fianco della popolazione femminile è senza dubbio un modo per smentire i timori di una possibile deriva conservatrice del Presidente e del suo entourage. Per convalidare tale ipotesi possiamo menzionare la scelta della sovracitata Bochra Belhaj Hmida, che in seguito all’alleanza con al-Nahda si è distanziata da Nidaa Tunis continuando il suo lavoro come parlamentare indipendente, ma ha ben accolto il ruolo di Presidente del ‘Comitato per le Liberta Individuali e l’Uguaglianza’ accordatole da Es-sebsi.
D’altro canto, al-Nahda non si è ufficialmente espresso su questa questione, fatta eccezione per dichiarazioni pronunciate individualmente da propri membri. Questa partita appare infatti decisiva per il movimento, e sarà perciò necessario agire con cautela: in un congresso del 2016, Ghannouchi ha preso le distanze dal background islamista del partito, dichiarando di voler tenere separata la religione dalla politica, sebben non rinnegando ovviamente i valori islamici che continueranno a ispirare l’impegno di al-Nahda. È stata dunque compiuta una svolta progressista in confronto alla tradizionale condotta di questa formazione politica, nella speranza di poter fugare ogni dubbio di connivenza con il radicalismo islamico e di poter dunque raccogliere maggior consenso. Ora, opporsi senza appello alle riforme proposte da Es-Sebsi sarebbe una chiara smentita di tale cambio di rotta, con conseguente annullamento dell’effetto benefico che tale strategia potrebbe portare al partito in termine di numero di voti. Ma, d’altro canto, come potrebbe una forza tradizionalmente conservatrice quale al-Nahda contraddire la shari‘a e le posizioni di al-Azhar su una tematica così fondamentale? Sarà dunque interessante seguire gli sviluppi di tale questione e i probabili tentativi di mediazione del partito; per ora, i vertici del movimento temporeggiano, considerando probabilmente anche le tempistiche che accompagneranno le eventuali riforme, che non si preannunciano certo brevissime.
Fig. 3 – Sostenitori di al-Nahda e di Rachid Ghannouchi durante la campagna elettorale del 2014
Fonti quali Human Rights Watch attribuiscono inoltre questa campagna presidenziale a favore dei diritti delle donne anche alla volontà delle forze al governo di nascondere una legge passata il 13 settembre 2017, la Legge 49 sulla ‘riconciliazione in ambito amministrativo’. Questa nuova disposizione garantisce l’impunità ai funzionari pubblici coinvolti in pratiche di corruzione e peculato, a patto che non ne abbiamo beneficiato a livello personale. Per evitare che il dibattito pubblico s’infiammasse per l’approvazione di tale norma, il Governo avrebbe dunque deciso di concedere riforme a lungo aspettate dalla società civile tunisina, come la possibilità di sposare un non musulmano, concessa proprio all’indomani dell’approvazione della Legge 49 tramite l’abrogazione della tanto discussa circolare del 1973.
CONCLUSIONI
Al fine di comprendere completamente gli eventuali retroscena politici di questo riformismo sarà necessario aspettarne sviluppi concreti, che vadano al di là dei soli dibattiti. È comunque indubbio che le riforme già approvate e quelle proposte siano dei passi avanti importanti, che momentaneamente consegnano alla Tunisia, da sempre all’avanguardia in materia di diritti delle donne, lo scettro di capofila del mondo arabo islamico.
Pur facendo appello alla cautela nei giudizi, è auspicabile augurarsi che questa ondata progressista possa causare un effetto spillover nella regione, portando rinnovamenti anche in altri paesi, come d’altronde già verificatosi in Libano. I timori di al-Azhar a riguardo non fanno altro che confermare che una tale ipotesi non sia poi così lontana dalla realtà.
Lorena Stella Martini
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Le donne in Tunisia: Es-Sebsi dà i numeri
Al fine di perorare la causa dell’uguaglianza di genere in Tunisia, Es-Sebsi nel suo discorso del 13 agosto ha citato qualche numero utile a sottolineare il grande contributo che le donne tunisine danno alla società in ogni suo settore. Le donne tunisine costituiscono infatti:
- il 60% del personale medico;
- il 35% degli ingegneri;
- il 41% dei lavoratori in ambito giudiziario;
- il 60% del personale che si dedica all’istruzione superiore;
- il 34,5 % dei parlamentari: 75 su 217 sono di sesso femminile (in Italia la presenza delle donne raggiunge il 30% come media tra Camera e Senato).
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