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Il default fantasma del Venezuela

Lunedì scorso Standard and Poor’s dichiarava il default parziale venezuelano. Poche ore dopo, il Governo di Maduro annunciava di avere iniziato il pagamento del proprio debito. Cerchiamo di capire cosa è successo in questo incredibile default fantasma

VENEZUELA: DEFAULT PARZIALE 

Se negli ultimi anni il Venezuela ha vissuto in un costante inferno economico, politico, sociale e diplomatico, lunedì notte il Paese latinoamericano ha sfiorato l’apocalisse. Il default di un Paese è, in sostanza, il fallimento: lo Stato è incapace di fare fronte ai propri debiti (successe all’Argentina nel 2001). Così, l’economia crolla, in crisi di liquidità. E nel caso di un default parziale? Lo Stato non sarebbe in grado di pagare solo una parte del proprio debito pubblico. È questo il caso venezuelano, dichiarato in fallimento per il mancato pagamento di 200 milioni di dollari ai propri creditori, in maggior parte canadesi e americani. L’annuncio di S&P ha colto di sorpresa gli analisti finanziari: all’inizio di novembre, il Venezuela aveva ripagato ben 2 miliardi di dollari. Possibile che, dopo un tale pagamento, il governo di Maduro non sia riuscito a trovare la cifra “irrisoria” di 200 milioni?

All’interno del gioco finanziario, i debitori hanno diritto ad un periodo di grazia di 30 giorni, a partire dall’ultimo giorno utile per ripagare il proprio debito. Secondo S&P e Fitch, passati i 30 giorni, il Venezuela non avrebbe ripagato i 200 milioni di interessi che pesano sui prestiti obbligazionari che scadono nel 2019 e nel 2024. Una situazione caotica e pericolosa, che si è verificata a seguito della riunione tra la delegazione governativa venezuelana e 100 creditori. Secondo quanto riportato, proprio il 13 novembre le due parti non sarebbero riuscite a trovare un accordo soddisfacente in una riunione tesa, durata circa 25 minuti.

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Fig.1 – Fila per ritirare denaro contante a Caracas lo scorso 14 novembre

MADURO: STATI UNITI E MERCATI FINANZIARI RESPONSABILI

Come se non bastasse, l’agenzia di rating Fitch ha dichiarato il default restrittivo nei confronti dell’impresa che regge l’economia venezuelana: la compagnia petrolifera pubblica Petroleos de Venezuela (PDVSA). Questa non sarebbe riuscita a pagare due obbligazioni scadute il 27 ottobre ed il 2 novembre 2017. La PDVSA sarebbe stata, inoltre, parzialmente responsabile del default parziale dello Stato: 80 dei 200 milioni di interessi sono proprio a carico del colosso petrolifero. Il presidente Maduro continua intanto sulla sua linea: la responsabilità della difficilissima situazione economica venezuelana sarebbe degli Stati Uniti e della guerra che i mercati finanziari capitalisti scatenano da tempo contro il Governo socialista del popolo venezuelano. Si tratta di una giustificazione troppo semplicistica, dato che è la mancata ristrutturazione dell’economia venezuelana ad avere le maggiori colpe dell’attuale situazione e, di conseguenza, il Governo del Paese; tuttavia, nel caso del default di lunedì Maduro potrebbe avere una parte di ragione.

Ad agosto, infatti, il Governo statunitense aveva imposto sanzioni finanziarie al Venezuela. Queste colpivano la vendita dei bond venezuelani nel mercato finanziario statunitense; bond che, se venduti privi di restrizioni e sanzioni, avrebbero portato molto più danaro nelle casse di Caracas e avrebbero dunque aiutato a ripagare i debiti dello Stato latinoamericano. Già all’epoca, il New York Times avvertiva della possibilità che tali sanzioni potessero portare ad un default di Caracas entro la fine del 2017. Alla fine, il default c’è stato, ma solo per qualche ora.

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Fig.2  -Logo ed insegna della Pdvsa

PRONTO SOCCORSO RUSSO, PRUDENZA CINESE 

Il 15 novembre, il Governo di Maduro comunicava attraverso il Ministro della Comunicazione Jorge Rodriguez che lo Stato aveva iniziato il pagamento degli interessi sul suo debito estero, che secondo le stime ammonta a circa 150 miliardi di dollari. È proprio il debito estero che Maduro cerca di rinegoziare con i propri creditori. Tra questi vi è la Russia, che nelle ultime ore è andata in suo soccorso. Mercoledì 15 novembre, i due Paesi hanno firmato un accordo che prevede una ristrutturazione del debito venezuelano nei confronti della Russia pari a 3 miliardi di dollari: il Paese latinoamericano avrà dieci anni per saldare il proprio debito, e potrà contare con vantaggi sui pagamenti per i prossimi sei anni. Un pronto soccorso, quello russo, che non arriva gratuitamente. Lo Stato latinoamericano rappresenta la perfetta porta di entrata per la Russia nel giardino di casa degli Stati Uniti. Geopolitica e geo-economia si intrecciano negli accordi tra i giganti petroliferi Rosneft, Citgo e PDVSA, ed è logico pensare che la boccata d’ossigeno che la Russia ha offerto al suo alleato verrà ampiamente ripagata in questo ambito.

La Cina, l’altro creditore che ha sostenuto negli ultimi anni la liquidità dello Stato latinoamericano, appare più prudente. Da Pechino infatti non sono arrivati segnali di volontà di rinegoziazione del debito, che ammonta a circa 28 miliardi. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese gioca sulla prudenza e reitera la fiducia nei confronti del governo di Maduro che, dice, sarà perfettamente in grado di saldare i propri debiti, contribuendo così alla crescita delle relazioni tra i due Stati.

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Fig.3 – il Presidente Maduro in una recente immagine

LA CRISI CONTINUA  

Intanto, la crisi venezuelana non accenna a fermarsi. Secondo le stime, l’inflazione senza controllo raggiungerà il 650% nel 2017 e arriverà a toccare il 2.300% il prossimo anno. Dati mostruosi che distruggono il potere di acquisto della popolazione, che anche volendo non potrebbe comprare molto: la carenza di beni di prima necessità non cessa e contribuisce alla crescita vertiginosa del mercato nero.

Sebbene l’aiuto russo sia un segnale importante dal punto di vista politico e diplomatico, non risolve l’enorme problema costituito dal resto dei 150 miliardi di dollari di debito che, in un modo o nell’altro, dovrà pagare. Il default fantasma e l’aiuto russo hanno forse allungato la vita del governo venezuelano, ma il futuro economico venezuelano non presenta nessuna certezza positiva.

Elena Poddighe

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

In caso di vero default venezuelano, si tratterebbe di una disfatta per tutti: gli Stati Uniti vedrebbero crollare rovinosamente un’economia strettamente legata con la loro, la Russia e la Cina un alleato geopolitico e geo-economico di peso, il PetroCaribe il suo centro economico [/box]

Foto di copertina di procsilas Licenza: Attribution License

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Elena Poddighe
Elena Poddighe

Nata a Sassari nel 1993, ho studiato in Italia, Francia e Belgio. Sono laureata in Scienze Politiche e specializzata in Relazioni Internazionali. Dopo l’esperienza Erasmus ho preso sul serio l’idea che tutto il territorio europeo potesse essere casa mia, così mi sposto costantemente da un punto all’altro, scoprendo pregi e difetti di questa nostra bellissima Europa. Non so preparare il caffè e non lo bevo, ma so cucinare e soprattutto mangiare le lasagne!

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