Il Parlamento Europeo, grazie al suo attivismo nel corso degli anni, è evoluto fino a divenire l’unica istituzione democraticamente eletta a livello sovranazionale, divenendo protagonista di un importante processo di allargamento dei poteri. A quali possibili riforme può andare incontro quest’istituzione nell’attuale momento di crisi apertosi nell’Unione Europea post-Brexit?
INTRODUZIONE
Il Parlamento Europeo è ad oggi un fondamentale organo nel quadro istituzionale dell’Unione Europea, un organo eletto direttamente dai cittadini europei (è l’unica istituzione ad esserlo) e che possiede importanti funzioni, concernenti ad esempio il budget dell’Unione Europea. Tuttavia non è sempre stato così: infatti la storia del Parlamento è una storia di battaglie che quest’assemblea ha dovuto portare avanti al fine di incrementare i propri poteri, passando nel corso degli anni e grazie al suo attivismo da assemblea pressoché esclusivamente consultiva a co-legislatore insieme al Consiglio.
Fig.1 – La sede di Strasburgo del Parlamento Europeo
LA STORIA: DALLA CECA FINO ALL’ELEZIONE A SUFFRAGIO UNIVERSALE
La storia di questa istituzione inizia nel 1951 con il trattato di Parigi, che portò all’istituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), all’interno della quale venne creato il primo embrione di quello che solo successivamente sarebbe divenuto il Parlamento Europeo: l’Assemblea Comune. All’epoca l’Assemblea aveva poteri molto limitati, principalmente consultivi e di controllo politico. Tuttavia, grazie al suo dinamismo, nei decenni successivi fu in grado di stravolgere questo suo iniziale ruolo marginale. Già a partire dal 1957 infatti, in occasione dei Trattati di Roma, si poté assistere all’inizio di quel complicato processo di ampliamento dei poteri che porterà il Parlamento ad avere un ruolo di rilievo nel così detto “quadrilatero istituzionale”. Con i trattati di Roma infatti, venne riconosciuto all’Assemblea il potere consultivo, grazie al quale essa poteva esprimere pareri sulle proposte della Commissione prima che queste venissero adottate dal Consiglio. Tuttavia, il parere espresso dall’Assemblea non era vincolante e spesso accadeva che il Consiglio si esprimesse senza tenerne conto. L’evoluzione del Parlamento Europeo continuò poi negli anni ’70, un periodo che risultò essere di grande importanza per diversi sviluppi che interessarono direttamente anche l’Assemblea: innanzitutto si ebbe la creazione di un budget europeo che andò a sostituire il sistema precedentemente in vigore basato sui contributi finanziari da parte degli Stati membri (decisione del Consiglio del 21 aprile 1970). Questo fu un elemento di grande importanza per l’Assemblea, in quanto, con il Trattato di Lussemburgo (1970), essa ottenne dei poteri relativi a questo nuovo strumento, come il diritto di emendamento del budget comunitario, anche se inizialmente esercitabile solo entro certi limiti (il Parlamento poteva infatti richiedere modifiche solo sulla spesa non obbligatoria, che negli anni ’70 componeva appena il 20% del budget totale). Successivamente, con il Trattato di Bruxelles (1975), i poteri dell’Assemblea relativi al budget vennero incrementati, venendole riconosciuto il potere di respingimento, utilizzabile nel caso in cui non fosse soddisfatta di determinati aspetti dell’esecuzione del bilancio da parte della Commissione. Un altro fondamentale momento di questo decennio fu il 1979, anno in cui si tennero per la prima volta le elezioni dirette dell’Assemblea, le prime tenutesi in Paesi diversi per eleggere un’istituzione sovranazionale.
LA STORIA: DALL’ATTO UNICO A LISBONA
Il processo di rafforzamento dell’Assemblea continuò negli anni ’80, anche grazie alla legittimità raggiunta con l’elezione diretta. Un punto di svolta di questo periodo fu la firma dell’Atto Unico Europeo nel 1986, grazie al quale venne formalizzato il nome di “Parlamento Europeo” (che l’Assemblea aveva già iniziato ad utilizzare in via ufficiosa a partire dal 1962). Inoltre avvenne il primo significativo incremento nel suo potere legislativo, grazie all’introduzione della procedura di cooperazione, con la quale al Parlamento venne chiesto di pronunciarsi prima sulla proposta della Commissione e poi sulla posizione adottata dal Consiglio, guadagnando di fatto la possibilità di una seconda lettura del testo sottopostogli.
Il processo di allargamento dei poteri continuò anche negli anni ’90. Con il trattato di Maastricht del 1992 venne introdotta la procedura di codecisione, che diede un accresciuto ruolo nel processo legislativo al Parlamento, il quale poté da quel momento intervenire attivamente, non solo limitandosi a fornire pareri, ma potendo modificare il testo. Infine, il trattato di Lisbona del 2009 costituì uno dei momenti più importanti per il Parlamento Europeo. Innanzitutto il trattato trasformò la procedura di codecisione nella procedura ordinaria dell’Unione Europea ed espanse la sua applicazione ad un numero sempre maggiore di materie, e, in secondo luogo, chiese al Consiglio di prendere in considerazione l’esito delle elezioni del Parlamento Europeo e di consultare i leader dei partiti del Parlamento prima di nominare un candidato per la presidenza della Commissione. Il Parlamento approfittò di questa regola per proporre il sistema degli ‘spitzenkandidaten’ nel 2014, uno strumento grazie al quale i risultati delle elezioni europee ottennero un’influenza diretta nella scelta del presidente della Commissione. Questo sistema venne utilizzato già a partire dalle elezioni del 2014, quando Jean-Claude Juncker (candidato del Partito popolare europeo), divenne Presidente della Commissione in quanto la sua famiglia politica (il PPE appunto) ottenne la maggioranza dei voti.
Fig.2 – Il quadrilatero istituzionale – Grafico a cura dell’autore
IL PARLAMENTO EUROPEO E IL SUO RUOLO ISTITUZIONALE
Nel corso degli anni il Parlamento è dunque riuscito a ritagliarsi un ruolo importante all’interno del quadro istituzionale dell’Unione Europea. Attualmente i suoi poteri riguardano molteplici ambiti, ma, volendo riassumere, possiamo ricondurli entro 3 aree principali: esso gode di considerevole influenza in relazione al budget dell’Unione, ha il diritto di scrutinare, nominare e sfiduciare la Commissione e, nel contesto del processo legislativo, ha il diritto di emendare e, se del caso, rigettare le proposte della Commissione. Nel contesto istituzionale quella del Parlamento Europeo è la storia di un’Assemblea che, utilizzando gli equilibri intra-istituzionali e la sua vocazione democratica, è riuscita a evolvere fino a divenire un importante organo legislativo.
Un aspetto fondamentale dell’evoluzione del Parlamento Europeo è rintracciabile infatti nella sua capacità di utilizzare l’interesse istituzionale della Commissione nel vedere ridotto il ruolo e il potere del Consiglio per facilitare la sua affermazione. Questa capacità si è riflessa soprattutto nell’espansione del potere legislativo, che è andato sviluppandosi in seno al Parlamento a partire dall’introduzione della procedura di codecisione e dalla sua trasformazione in procedura ordinaria, avvenuta con il Trattato di Lisbona. Questo processo ha anche portato il Parlamento, in conseguenza del suo aumentato potere legislativo, a forgiare un rapporto più stretto con il Consiglio, una tendenza ravvisabile nella creazione del comitato di riconciliazione, uno strumento che cerca di creare un compromesso tra il Parlamento ed il Consiglio nel caso in cui dopo la seconda lettura del testo di una proposta le due istituzioni non siano ancora arrivate ad un accordo. Inoltre, come abbiamo visto nel caso dello Spitzenkandidaten, il Parlamento Europeo ha anche cercato di intervenire nel procedimento di formazione della Commissione, cercando di forzare la mano al Consiglio Europeo, luogo in cui gli Stati Membri sceglievano il presidente della Commissione, andando a “preconfezionare” la scelta del candidato, ossia mettendolo in relazione all’esito delle elezioni europee. Importante nell’affermazione del Parlamento Europeo è stato anche il ruolo di un’altra istituzione, la Corte di giustizia dell’Unione Europea. La Corte si è infatti rivelata un attore di grande rilevanza, basti pensare all’importanza che questa istituzione ha rivestito per lo sviluppo del potere legislativo del Parlamento, ad esempio nel caso della sentenza Isoglucosio (1980), con la quale la Corte ha sancito che il Consiglio è obbligato a consultare il Parlamento Europeo e a tenere conto del suo giudizio prima di adottare le proposte della Commissione. Questa decisione, in una prospettiva storica, può essere vista come l’input che portò alla creazione della procedura di cooperazione nel 1987.
Fig.3 – Il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani
LE RIFORME PROSPETTATE
Nell’ambito dell’attuale momento di riflessione sull’UE, apertosi con il successo del referendum sulla Brexit e per la necessità, in seguito alla diffusione di movimenti euroscettici in tutta Europa, di combattere la disaffezione nei confronti del progetto europeo, si è aperto un dibattito sul futuro dell’Unione, nell’ambito del quale è stato richiesto alle alte cariche delle istituzioni europee, ma anche agli studiosi e alla società civile, di avanzare delle proposte per riuscire a riavvicinare i cittadini al progetto europeo.
In questo contesto, il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, sembrerebbe intenzionato ad avanzare due importanti proposte di riforma concernenti l’istituzione. Innanzitutto Tajani vorrebbe una riforma del budget europeo, allo scopo di modificare la collocazione dei fondi, con l’idea di diminuire i finanziamenti destinati alla PAC (la Politica Agricola Comune, che attualmente impegna il 40% del budget europeo) per indirizzare queste risorse a temi quali la sicurezza, l’immigrazione, la disoccupazione giovanile e il cambiamento climatico. Questa riforma sembrerebbe pensata anche con uno sguardo all’Unione Europea post-Brexit, che potrà contare su un budget inferiore a quello attuale (basti pensare che nel 2015 il Regno Unito ha contribuito al budget europeo con circa 18 miliardi) e che dunque dovrà meglio investire le proprie risorse. Quella che emerge è quindi la volontà del Presidente del Parlamento di cercare di impiegare i fondi dell’Unione per affrontare tematiche più vicine ai cittadini, percepite come critiche anche per il futuro dell’Unione stessa. La seconda proposta avanzata da Tajani riguarda invece un punto più politico ma altrettanto complicato, ossia una riforma volta a eliminare il monopolio sull’iniziativa legislativa detenuto dalla Commissione, estendendo questo potere anche al Parlamento Europeo. Tajani ha infatti sostenuto che il Parlamento, alla luce della sua legittimazione democratica, possiede il diritto di esercitare il potere di iniziativa legislativa. Questa riforma sarebbe chiaramente indirizzata al miglioramento dell’accountability democratica dell’Unione, rispondendo in questo modo alla sempre più diffusa critica di un presunto deficit democratico a livello europeo. Tuttavia, una proposta di tale portata non troverà certo la strada spianata, in quanto comporterebbe un cambiamento nei trattati dell’Unione Europea, oltre che la necessità di un accordo tra gli Stati membri, la cui ostilità nel concedere maggiori poteri a un’istituzione sovranazionale come il Parlamento è storicamente dimostrata.
CONCLUSIONI
Quello che sembra delinearsi è dunque un periodo complesso, in cui il Parlamento Europeo, quale assemblea democraticamente eletta e legittimata, potrebbe cercare di rivitalizzare quel processo di ampliamento dei propri poteri che, nel caso della riforma del potere legislativo, potrebbe portarlo a divenire una camera legislativa a tutti gli effetti. Infine, una terza proposta che potrebbe prendere piede in vista delle prossime elezioni europee del 2019 consiste nella creazione delle cosìdette ‘liste trasnazionali’, ovvero nella sostituzione dei 73 posti che verranno lasciati dai membri inglesi del Parlamento Eurpoeo (a seguito della Brexit) attraverso la creazione di un colleggio elettorale unico per tutta l’Unione. Una proposta che porterà gli elettori a scegliere tra liste che raggrupperanno candidati di almeno sette differenti nazionalità e che potrebbe portare ad un aumento di interesse verso le elezioni europee, finora percepite come elezioni di secondo grado rispetto a quelle nazionali. Inoltre questa proposta potrebbe portare ad un miglioramento del livello di democraticità all’interno dell’Unione Europea attraverso la creazione di veri e propri partiti europei, che in quanto tali potrebbero aumentare la visibilità e l’interesse nelle questioni e nelle poltiche europee andando a basare i propri programmi esclusivamente su queste tematiche.
Alberto Tagliapietra
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Il Parlamento Europeo si compone di 750 deputati, oltre al Presidente. I rappresentanti, come previsto dall’articolo 14 del Trattato sull’Unione Europea , vengono eletti a “suffragio universale diretto, libero e segreto”. Alle prime elezione del 1979 non vi era una legge elettorale unica condivisa a livello europeo ed ogni Paese adottò un sistema proprio (alcuni Stati, come l’Italia, scelsero un sistema proporzionale, altri, come l’Inghilterra, optarono per un sistema uninominale. Tuttavia, in seguito alla decisione 2002/772/CE del Consiglio si decise che “in ciascuno Stato membro, i membri del Parlamento europeo sono eletti a scrutinio di lista o uninominale preferenziale con riporto di voti di tipo proporzionale”, di fatto armonizzando la legge elettorale per il Parlamento Europeo in un sistema proporzionale. [/box]
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